Coronavirus/ Quando Gianfilippo Ingrassia debellò la peste che nel 1575 colpì Palermo e la Sicilia

24 febbraio 2020

Oggi vogliamo ricordare il grande medico siciliano di Regalbuto, Gianfilippo Ingrassia, che nel 1575 debellò la peste con “la predisposizione di un cordone sanitario… la realizzazione di un regime di separazione tra sani, sospetti e malati… la chiusura di scuole e luoghi pubblici, la proibizione di visite ai malati o ai defunti, la promozione della quarantena per le navi che arrivavano nel porto… la proibizione di tutti gli assembramenti”

Sappiamo tutti che il momento che stiamo vivendo non è dei migliori. Ed è per questo che proveremo a portare un po’ di ottimismo ricordando la figura di un grande medico siciliano, Gianfilippo Ingrassia, al quale Palermo ha dedicato un ospedale. Lo ricordiamo perché, anche se ormai su con gli anni, tra il 1575 e il 1576, si trovò ad affrontare una grave emergenza sanitaria in Sicilia: compito che affrontò con grande determinazione, con notevoli intuizioni.

Gianfilippo Ingrassia era nato a Regalbuto, un centro oggi in provincia di Enna, nel 1510. Amante, sin da bambino, dei libri, andò a studiare medicina a padova. Qui conobbe Andrea Vesalio, il fondatore dell’anatomia moderna. Si laureò “con tali testimonianze di stima da parte della Facoltà di Padova – leggiamo su Wikipedia – da procacciargli distinta reputazione in tutta Italia e richieste in qualità di medico e professore da molte e cospicue città”.

Dal 1554 al 1556 fu a Napoli dove si distinse per la bravura come medico e, soprattutto, per il suo eccezionale spirito di osservazione.

Tornato in Sicilia “il Senato lo promosse ‘lettore ordinario di medicina’ con lo stipendio di cento onze l’anno (ma ben presto gli fu aumentato a onze 120). Oltre all’insegnamento, che aveva una carica fortemente innovativa per quel tempo, Ingrassia diede inizio con successo alla sua attività medica. Ingrassia rifiutò l’esercizio privato della sua professione, rimettendoci notevolmente considerati i lauti proventi che da essa potevano provenirgli. Nello stesso tempo la buona riuscita di molti e famosi casi clinici procurarono al grande regalbutese l’appoggio considerevole della pubblica autorità che favorì la diffusione dei suoi criteri medici. A tal proposito non bisogna dimenticare che Ingrassia meritò ampiamente la stima generale quando, abbandonando opinioni tradizionali, salvò, con una nuova terapia, un membro della famiglia Terranova. Elevato dal re Filippo II di Spagna, nel 1563, alla carica di protomedico del Regno di Sicilia, proseguì nella sua attività scientifica, divenendo l’autentico fondatore della medicina legale e della medicina pubblica, con risultati teorico-pratici d’importanza fondamentale: basti indicare la grande mole di precisazioni e aggiunte fatte al corpus della medicina greco-araba, le molte correzioni apportate alle opere di Galeno e dello stesso Andrea Vesalio, l’attenta diagnosi di malattie esantematiche, quali il morbillo, la scarlattina, il vaiolo, descritte con un’esattezza che ne attestano la sua sicura e diretta conoscenza”.

Come già ricordato, tra il 1575 e il 1576 la Sicilia fu sconvolta dal flagello della peste. Nominato Consultore sanitario, fu lui che si occupò di affrontare l’emergenza.

Osserva e studia l’evoluzione della malattia da Palermo, città nella quale vive. Promuove la bonifica della palude del Papireto e si batte affinché si trovino “fondi per l’alimentazione dei poveri: se non sono sufficienti le gabelle a sostenere le spese – leggiamo sempre su Wikipedia – bisogna intervenire con collette tra i ricchi e tassare i medici”.

Il grande medico descrive i luoghi dove scoppia l’epidemia:

“La Palermo sommersa dalla sporcizia e con vistose sperequazioni sociali, facendo trasparire le minori opportunità di salute e di cura del basso ceto rispetto all’aristocrazia” (quello della sporcizia è un problema che ancora oggi non è stato risolto…).

“Ingrassia – scrive Wikipedia – arriva alla conclusione che la peste non sia sorta spontaneamente in città ma provenuta da lontano e lì ha trovato cause facilitanti. Nell’opera egli mette a fuoco un concetto importante: a generare la patologia non è solo l’azione dell’agente infettivo, ma anche la predisposizione individuale che può essere di tipo costituzionale o familiare. I ‘seminaria’ sono attratti dall’umore del corpo a causa di una simpatia, cioè di una predisposizione”.

Le intuizioni e i rimedi – a volte drastici – riescono a contenere la diffusione della malattia.

“Il grande successo del suo intervento – leggiamo sempre su Wikipedia – è nell’aver aggredito il morbo su due fronti: quello medico-sanitario e quello istituzionale. A livello medico-sanitario egli descrive con minuzia di particolari l’andamento della malattia, soffermandosi sui segni fisici: petecchie, bubboni, papole, pustole (meno gravi), anthraci. Attribuisce ai medici il dovere di dare giuste prescrizioni ai pazienti, tracciando per grandi linee le strategie di cura con riferimento ai farmaci antitodi, all’applicazione di ventose, scarificazioni, sanguisughe, salassi. Dà ancora consigli ai familiari degli ammalati perché usino cautela al fine di evitare il contagio. Vista la severità della situazione e memore che le sole terapie mediche e chirurgiche portarono nel 1535 a Venezia un elevatissimo numero di morti (60.000), il protomedico, rapportandosi sempre abilmente con l’autorità politica, fa varare una serie di interventi di isolamento, dettati dal criterio dell’urgenza”.

Pensate un po’, questo grande medico siciliano, nel 1575, promuove l’isolamento dei malati: proprio quello che si sta facendo oggi.

Non solo. “A livello istituzionale – leggiamo sempre su Wikipedia – il suo intervento si consolida così nella prevenzione (geniale intuizione del Barreggiamento), cioè in quelle misure atte a ridurre il contagio: l’obbligo di ‘denuncia’ della presenza di un malato da parte della famiglia o del medico, l’istituzione di lazzaretti, la predisposizione di un cordone sanitario… la realizzazione di un regime di separazione tra sani, sospetti e malati (ordina che i convalescenti siano dimessi dall’isolamento solo due mesi dopo la scomparsa della febbre), la chiusura di scuole e luoghi pubblici, la proibizione di visite ai malati o ai defunti, la promozione della quarantena per le navi che arrivavano nel porto… la proibizione di tutti gli assembramenti. Queste misure limiteranno il numero dei morti a mille (altre fonti ne stimano 3000), risultato importante se rapportato al numero di vittime di altri centri colpiti dal morbo seppure meno popolosi”.

Queste prescrizioni, in buona parte, si stanno cominciando ad applicare in alcune Regioni italiane, seppur con ritardo.

Eh sì, sono in tanti, oggi, in Italia, quelli che dovrebbero imparare qualcosa dal grande Gianfilippo Ingrassia!

QUI PER ESTESO LA VITA DI GIANFILIPPO INGRASSIA SU WIKIPEDIA

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