Il coraggio dell’Arma dei Carabinieri nel leggere la storia del Risorgimento nel Sud Italia

17 febbraio 2020

Molto importante il ciclo storico dell’Arma dei Carabinieri curato da Arnaldo Grilli con la decisa e ammirevole volontà di rileggere le “questioni” che in particolare dal 1861 hanno “condizionato, ritardato e limitato il processo dell’unità spirituale del nostro popolo”

di Michele Eugenio Di Carlo 

Deve essere ritenuta un’operazione di ampia valenza culturale quella prodotta dal sito dei Carabinieri (http://www.carabinieri.it/home), che ha proposto un ciclo storico dell’Arma in una serie curata da Arnaldo
Grilli con la decisa e ammirevole volontà di rileggere le “questioni” che in particolare dal 1861 hanno “condizionato, ritardato e limitato il processo dell’unità spirituale del nostro popolo”.

Gli interrogativi ai quali il sito dell’Arma cerca di trovare una risposta dal punto di vita storiografico sono del tutto pertinenti, superando le polemiche sterili e riducendo quegli steccati che dovrebbero condurre ad
una storia del processo unitario davvero e finalmente condivisa. In particolare, quando questi interrogativi entrano nel merito della mancata creazione di uno Stato-Nazione o quando affrontano il tema delle “altre”
Italie di cui è ricco il dibattito politico e culturale.

Emerge in tutto il suo valore l’introduzione della serie curata da Arnaldo Grilli quando, pur di fronte all’ammissione che le domande non riceveranno una risposta certa data l’accesa conflittualità tra tesi
contrapposte, si prefigge di portare alla luce il “come, quando e perché” è stata scritta la Storia d’Italia anche in riferimento alla Questione Meridionale e in merito a tre questioni specifiche e centrali:

a) il “ribellismo politico antiunitario” contro quella che molti Stati europei hanno considerato un’invasione armata avversa al diritto internazionale allora vigente, senza dichiarazione di guerra e poco indagata dalla storiografia ufficiale liberale sabauda;

b) l’arretratezza economica del Regno delle Due Sicilie che recenti studi negano nei termini in cui sono stati rappresentati nel passato (Malanima, Daniele, Fenoaltea, Ciccarelli, Tanzi, Aprile, Collet, Davis e, qualche decennio fa anche Capocelatro, Carlo, Pedio);

c) i fenomeni criminali endemici ed egemonici che avrebbero impedito alle popolazioni di crescere anche culturalmente.

Meno convincente ci appare la tesi secondo la quale il processo di modernizzazione avviatosi con l’Unità si sia concretizzato, in quando la realtà dell’ultimo Rapporto Italia 2020 dell’Istituto di Studi Politici,
Economici e Sociali (https://eurispes.eu/news/eurispes-risultati-del-rapporto-italia-2020/), totalmente ignorato dai media e dalla politica, ci riconduce come scrive il presidente Gian Maria Fara a un divario Nord-Sud vivo e attuale:

«Sulla questione meridionale dell’Unità d’Italia ad oggi, si sono consumate le più spudorate menzogne. Il Sud, di volta in volta descritto come la sanguisuga del resto d’Italia, come luogo di concentrazione del malaffare, come ricovero di nullafacenti, come gancio che frena la crescita economica e civile del Paese, come elemento di dissipazione della ricchezza nazionale, attende ancora giustizia e una autocritica collettiva da parte di chi – pezzi interi di classe dirigente anche meridionale e sistema dell’informazione – ha alimentato questa deriva».

Un appunto doveroso va indirizzato al riferimento sui flussi migratori, quando si legge che il processo di modernizzazione avviato dall’Unità si sarebbe concretizzato guardando ai dati dell’emigrazione «… tra l’800 e primi del ‘900» e al confronto ritenuto positivo «con il momento attuale». Non è un confronto accettabile nella sua accezione positiva perché non tiene conto dai dati reali riferiti al Sud, dove in alcune aree della Sicilia, della provincia di Crotone, della Capitanata e dell’area vesuviana, ancora oggi la disoccupazione sfiora il 30% mentre quella giovanile supera il 50%, determinando sacche di illegalità oltre che un’emigrazione che ha allontanato milioni di meridionali negli ultimi decenni con un fenomeno del tutto paragonabile agli imponenti esodi di fine Ottocento e del Secondo Dopo Guerra.

Non si ritiene neanche opportuno il riferimento positivo alla classe politica “liberale” post-unitaria, pur se opportunatamente giudicata «limitata negli slanci ideali». Una classe “liberale” che avrebbe avuto il merito di aver consentito «l’avvio e lo sviluppo dell’industrializzazione», ma che un’analisi più attenta lega quell’avvio dello sviluppo industriale ad un vero e proprio attacco al sistema bancario e all’economia del Sud, portando a completamento una subdola «politica di drenaggio delle riserve auree del Banco, col risultato di privare il Sud del suo oro e delle sue capacità di credito».

Edmondo Maria Capecelatro, assistente di Storia economica nell’Università di Napoli, e Antonio Carlo, professore incaricato di Diritto del lavoro nell’Università di Cagliari, hanno sostenuto, in riferimento all’industria del Nord in crisi, che quelle riserve auree avevano preso la direzione di finanziare attraverso la Banca Nazionale il nascente sistema industriale settentrionale in crisi, mentre quello meridionale veniva lasciato al proprio destino e privato di capacità di credito. Una situazione derivante da scelte politiche precise che, nonostante l’aiuto statale la situazione delle banche di sconto e di credito mobiliare del Nord si fece critica, decisero con la legge sul “Corso Forzoso” del 1866 di drenare oro dal Sud senza limiti concedendo alla Banca Nazionale un privilegio che le permetteva «di controllare e compromettere, eventualmente, l’attività delle altre banche» e di avere una posizione nettamente dominante.

Sulla vicenda fu persino aperta un’inchiesta parlamentare conclusa nel 1868 con la relazione di una Commissione parlamentare, la quale
certificò che il “Corso forzoso” «era stato fatto essenzialmente per cavare di impaccio la Nazionale e le banche ad essa collegate che, grazie alla loro allegra finanza, erano sull’orlo del fallimento» e che l’inconvertibilità della sola moneta della Nazionale aveva permesso alla stessa «di continuare placidamente il drenaggio di capitali al Sud, essendo rimasta convertibile la moneta del Banco di Napoli» che non poteva «operare alcun ritorno offensivo».

Apprezzabile in ogni caso l’operazione condotta dal sito dell’Arma dei Carabinieri, perché solo dal confronto scientifico, al di fuori delle polemiche sterili, si può uscire dallo scontro culturale che ha animato
per decenni il dibattito sulle questioni legate al processo unitario. Infatti, come ricordato da Lino Patruno sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno, la storia si basa sull’evoluzione delle conoscenze non su forme di immobilismo dogmatico.

Foto museo storico dei Carabinieri tratta da Wikipedia 

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