Senza offesa per nessuno: ma è normale che L’Antica Focacceria di Palermo debba essere gestita da emiliani?

6 febbraio 2020

Nulla contro gli emiliani: anzi ammirazione, perché ci hanno regalato la mortadella. Ma cosa c’entrano gli emiliani con le panelle, le crocché, le rascature e con i panini con la milza? Possibile che un tempio della gastronomia palermitana e siciliana debba essere gestito da emiliani? 

La notizia non è nuova: è solo una variazione sul tema di una storia che va avanti già da qualche anno. La notizia è che L’Antica Focacceria ‘San Francesco’ di Palermo, che ha alle spalle 185 anni di storia, non sarà più gestita dalla joint venture Gruppo Feltrinelli-Cirfood, ma solo dal gruppo Cirfood. Lo sappiamo che arriviamo con un po’ di ritardo, ma la notizia del ‘divorzio’ tra questi due gruppi l’abbiamo letta oggi sul Giornale di Sicilia on line.

Il gruppo Cirfood, per la cronaca, è di Reggio Emilia. Ci chiediamo e chiediamo con tutto il rispetto per il gruppo emiliano: perché un locale che rappresenta un pezzo importante di storia di Palermo e della Sicilia deve essere gestito da un gruppo dell’Emilia Romagna?

In Emilia Romagna hanno i tortellini in brodo, i cappellaci, gli anolini, i cappelletti alla romagnola, le lasagne alla bolognese, le tagliatelle al ragù, la mortadella e perfino le piadine: ma cosa c’entrano loro, gli emiliani, con ‘u pani ca’ meusa (panini con la milza), con le arancine, con le rascature, con le crocché, con i cardi e i broccoli in pastella e via continuando?

Ma possibile che in Sicilia dobbiamo essere colonizzati in tutto, nel nome del business? Ma cosa sono diventate le tradizioni della nostra Isola?

Vabbé che in via Roma c’è un Centro commerciale tedesco, ma tutto debbono prendersi, ‘sti signori che arrivano da lontano? Anche la nostra gastronomia?

E va bene che si prendono gli appalti: è così dagli anni della Cassa per il Mezzogiorno.

E va bene che hanno aperto le aziende vinicole in Sicilia.

E va bene che le banche, in Sicilia e nel Sud, sono tutte del Centro Nord Italia, a parte qualche ‘briciola’.

Dall’Emilia Romagna – e precisamente da Bologna – è arrivato il gruppo che si è impossessato della varietà di grano duro Senatore Cappelli, gloria e vanto del Sud Italia, varietà molto coltivava in Sicilia. Oggi il Senatore Cappelli si può coltivare, bontà loro (ancora non siamo arrivati alla proibizione in campo), ma per vendere il prodotto come grano Senatore Cappelli bisogna passare dai bolognesi!

Non c’è da stupirsi, insomma, se L’Antica Focacceria ‘San Francesco’, che si trova nel cuore del Centro storico della città, di fronte la chiesa di San Francesco, sia finita nelle mani degli emiliani.

Per loro, per gli emiliani, L’Antica Focacceria ‘San Francesco’ è una “scelta strategica”. Non abbiamo dubbi.

Ci domandiamo: cosa succederebbe se un gruppo siciliano divenisse proprietario di uno dei più famosi locali gastronomici della tradizione di Bologna o, in generale, dell’Emilia Romagna?

La storia dell’Antica Focacceria ‘San Francesco’ di Palermo comincia nel 1834, quando nel Regno delle Due Sicilie, tra Napoli e Palermo c’erano i Monzù, cuochi di altissima classe. Quando i Monsù si cimentavano con piatti che ancora oggi fanno parte della tradizione campana e siciliana, in Emilia Romagna – sempre con rispetto parlando – mangiavano polenta e, al massimo, la mortadella (con grande rispetto per la mortadella).

E Monsù è Salvatore Alaimo che, nel 1834, dopo aver deliziato, per venticinque anni, i palati dei Principi di Cattolica, decide di aprire una cucina per il popolo. Era un mezzo precursore del socialismo? Chi lo sa. Si sa che apre la prima ‘Focacceria’ – L’Antica Focacceria – che da allora, a Palermo, è un’istituzione.

Ribadiamo: non abbiamo nulla contro gli emiliani: anzi, ci stanno anche simpatici (chi ha inventato la mortadella non può che essere simpatico).

Il nostro è un discorso diverso: non vogliamo offendere nessuno: ci limitiamo a constatare che una tradizione di un luogo e di un popolo è bene che venga rappresentata da chi fa parte della stessa tradizione.

Nulla di più e nulla di meno. Ancora con rispetto parlando.

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