Le scimmie ubriache e giocatrici d’azzardo

4 febbraio 2020

Gli animali possono rappresentare i vizi degli esseri umani, senza però esprimere lo squallore dei “veri” vizi degli uomini “veri”. L’arte, nel contesto, serve a rendere tollerabile la realtà

di Nota Diplomatica

I secoli 17° e 18° furono un periodo d’oro per le scimmie ubriache e fumatrici di pipe o giocatrici d’azzardo. Il quadro che appare qui sopra, del pittore fiammingo David Teniers il Giovane (1610-1690) – pittore di Corte e direttore delle collezioni dell’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Austria – è un tipico esempio. Il genere è ovviamente da mettere in rapporto con i quadri familiari dei cani che giocano a carte – barando – dell’inizio del secolo scorso ad opera dell’artista americano Cassius Marcellus Coolidge – uno dei quali è stato venduto a un collezionista nel 2015 per $658,000…

Il motivo della somiglianza è ovvio: gli animali possono rappresentare i vizi degli esseri umani, senza però esprimere lo squallore dei “veri” vizi di uomini “veri”. L’arte, nel contesto, serve a rendere tollerabile la realtà.

Mentre i cani giocatori della prima metà del 20° secolo furono a lungo considerati esempi perfetti del cattivo gusto artistico, il genere scimmiesco invece si guadagnò una nomea più “elegante” al suo apice nell’epoca Rococò, tra il Barocco e il Neoclassico: singerie, dal francese per “scimmiata”…

Les singeries andarono ben al di là dei quadri, particolarmente tra gli artisti francesi. Il designer di Corte, Jean Berain il Vecchio, decorava i muri dei palazzi reali con immagini di scimmie vestite e Antoine Watteau dipinse “Lo scultore scimmia”, una parodia degli artisti che “scimmiottavano” i temi naturalistici.

In Germania un’intera orchestra di scimmie “musiciste” fu prodotta in ceramica di Meissen.

In Inghilterra il pittore francese Andieu de Clermont decorò – sempre con i primati pelosi – i soffitti di una splendida villa costruita per Charles Spencer, il terzo Duca di Marlborough.

Nessuna di queste opere, è chiaro, fu intesa per il consumo “popolare”. Del resto, gli aristocratici di massimo rango dell’epoca non avevano nessuna necessità di ostentare il buon gusto imposto da altri. Lo definivano invece, attraverso il loro mecenatismo – e bastava così.

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