Mario Pagliaro: “La produzione di grano nel mondo si ridurrà e ci sarà la corsa alle requisizioni”

24 gennaio 2020

E’ uno scenario apocalittico, quello descritto dallo scienziato Mario Pagliaro, appassionato di climatologia. Pagliaro sostiene che il clima freddo in molte aree del mondo provocherà una drastica riduzione della produzione di grano mondiale. I prezzi – dice – saliranno e in alcuni Paesi il grano verrà requisito dai Governi. Da qui l’invito agli agricoltori siciliani e del Sud Italia a coltivare il grano duro  

Da oltre un anno – quando tutti dicevano e scrivevano che coltivare il grano era un’attività antieconomica a causa dei prezzi sempre più bassi – Mario Pagliaro avverte gli agricoltori siciliani e del resto d’Italia che il prezzo del grano sarebbe rapidamente aumentato, invitandoli a tornare rapidamente a coltivare il frumento. Adesso, addirittura, parla di possibile requisizione del grano in molti Paesi del mondo. Componente del comitato tecnico-scientifico di Legambiente, chimico, ricercatore del CNR, appassionato di climatologia, Pagliaro è uno degli scienziati italiani più citati al mondo.

Noi lo abbiamo più volte intervistato su altri argomenti. Siccome fino ad ora non ha sbagliato le previsioni – da 18-20 euro al quintale il prezzo del grano duro è passato nell’arco di sei-sette mesi a 27-28 euro al quintale – ci colpisce molto la sua tesi sulla requisizione del grano in molti Paesi del mondo per una riduzione della produzione.

Allora, come ha fatto a prevedere un simile aumento dei prezzi?

“Le piogge e poi il ghiaccio che da oltre un anno investono le immense pianure nordamericane hanno ridotto sensibilmente raccolti e superficie coltivata. Quella attuale in America è al punto più basso dal 1909, agli albori della meccanizzazione dell’agricoltura, solo 29 milioni di acri. Solo da Settembre i prezzi sono saliti del 25%. In Canada è iniziato a nevicare a Settembre, portando gli agricoltori ad accelerare per quanto possibile il raccolto. Voi ricorderete forse lo scorso mese di Maggio i viticoltori francesi o quelli trentini con i fuochi accesi fra i filari per salvare la produzione dal ghiaccio. Oppure i campi di grano allagati nelle Puglie in prossimità del raccolto”.

Sì, qualche notizia, soprattutto dalla Francia, è arrivata anche a noi. E nel resto del mondo?

“In Pakistan, 200 milioni di abitanti, dopo che il governo a Luglio ha vietato le esportazioni di grano a causa del pessimo raccolto, il governo nei giorni scorsi è intervenuto per calmierare i prezzi, quasi raddoppiati per farina e pane. In India, le regioni del Nord, esattamente come buona parte del Pakistan, registrano gelo e neve come non si vedevano da decenni. E’ finita sotto la neve nei giorni scorsi persino l’Arabia Saudita, e nevica in Giordania dopo che nei giorni scorsi la neve ha raggiunto il Libano al livello del mare”.

Che notizie ci dà dalla Russia?

“Pochi giorni fa il governo della Russia – di gran lunga il maggior esportatore di grano al mondo – ha annunciato un imminente tetto alle esportazioni: massimo 20 milioni di tonnellate fra Gennaio e Luglio. Si vedrà dopo, in base al raccolto che inizia a Giugno, se mantenere i limiti alle esportazioni, o addirittura aumentarli. Le persone non capiscono l’impatto che fatti simili scelte hanno sulla loro vita”.

Perché nessuno glieli spiega. Può illustrare cosa sta succedendo e cosa succederà?

“I Paesi nordafricani sono letteralmente nutriti dal grano russo. Ma anche la Turchia o il Bangladesh importano enormi quantità di grano dalle Russie. E infatti il governo del Bangladesh si è affrettato a dire che, in caso di chiusura delle importazioni dalla Russia, lo sostituiranno con quello ucraino. Non occorre essere economisti per comprendere che, se un bene scarseggia, i prezzi aumentano. Ma quel che le persone non comprendono più è come il grano sia la fonte di sostentamento primario per buona parte della popolazione mondiale: in forte e continua crescita. Un’esplosione dei prezzi e il suo ulteriore scarseggiare porterebbe a sommovimenti sociali, e a gravi problemi economici in molti Paesi del mondo. In caso di ulteriore aggravarsi, dunque, non è difficile prevedere l’intervento diretto dei governi, fino alla possibile requisizione del grano ove dovessero verificarsi carenze tali da mettere a repentaglio la sicurezza alimentare nazionale”.

Scusi, in Italia si parla del nulla, ma lei tratteggia una situazione gravissima. Cosa possono fare l’Italia e la Sicilia per fronteggiarla?

“E’ urgente ritornare a seminare il grano facendo tesoro della lezione del grande Nazareno Strampelli, al cui genio dobbiamo la disponibilità di molteplici varietà di grano – tutte libere da brevetti – con cui tornare a seminare le regioni meridionali del Paese, partendo dalla Sicilia. Non solo gli agricoltori siciliani non devono cedere per nessuna ragione i loro terreni, ma devono recuperare con urgenza tutti quelli abbandonati dell’interno dell’Isola, fertilizzandoli con la sostanza organica come il compost per poi seminarvi le tante preziose varietà di grano delle nostre zone. I prezzi del frumento, radicalmente più elevati, remunereranno lautamente gli sforzi”.

E questo basterà?

“Dobbiamo essere pronti, se non dovesse bastare. Adesso. In un settore di tale rilievo non ci si può affidare soltanto agli attori del libero mercato, cioè alle imprese. L’Italia importa circa metà del proprio fabbisogno di grano duro, e il 40% di grano tenero. Al di là dell’impatto economico che avrebbe sulle imprese e sui consumatori un ulteriore e forte aumento dei prezzi, dobbiamo chiederci cosa accadrebbe se le importazioni di grano non fossero più disponibili tout cour. Lo Stato deve essere pronto ad intervenire affidando a quello che sarà il nuovo Istituto per la Ricostruzione Industriale anche il compito di provvedere alla sicurezza alimentare della popolazione, e quindi alla coltivazione del frumento su scala e con mezzi che solo lo Stato può mettere in campo”.

Ma se viviamo al tempo dell’ultraliberista Unione europea, con il leader della Lega che, nei giorni scorsi, parlava di lasciare sempre e comunque ai privati ciò che resta delle autostrade pubbliche, come pensa che questo sarebbe possibile?

“Non farlo significherebbe che potremmo non farcela. Prenda un settore strategico come quello delle batterie al litio con cui realizzare il passaggio dalle auto a petrolio a quelle elettriche. Dopo anni di mancati investimenti privati, ora che l’industria cinese ha reso chiaro a tutti che l’unico futuro possibile per l’auto è quello elettrico, nei mesi scorsi i governi di Germania e Francia hanno dato il via ad un grande consorzio pubblico. Funzionerà esattamente come l’IRI delle batterie. L’Italia, se intende restare un Paese industrializzato, non avrà alternativa a fare lo stesso. E il settore cerealicolo è molto più importante”.

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