A quarant’anni dalla morte di Pier Santi Mattarella non si può rinunciare alla verità

5 gennaio 2020

Quando il 6 Gennaio del 1980 l’allora Presidente della Regione siciliana  viene ucciso il PCI era uscito dalla maggioranza del Governo Mattarella e ne aveva provocato la crisi. “Allora semmai questo dato di fatto sottolinea che la mafia, sempre attenta alle cose della politica, colpisce quando un uomo politico, la vittima, è stato reso più debole dalle circostanze della politica”

di Calogero Mannino 

Il tragico attentato che ha stroncato la vita di Pier Santi Mattarella ha aperto una ferita non cicatrizzabile. Non soltanto nella cerchia dei familiari più intimi, ma anche di una cerchia, che il tempo restringe, di compagni della sua vicenda politica. Tutti fortemente interessati alla ricostruzione della ‘verità’ di questo assassinio e del contesto d’insieme in cui fu compiuto, le cui conseguenze non si sono ancora esaurite.

Quando un avvenimento di questa portata, come il delitto Moro, non trova la
ricostruzione oggettiva e quindi ragionevolmente veritiera il vulnus aperto non viene sanato dal tempo e dallo sbiadimento della memoria. Anzi, a volte è certamente sin dal primo momento che vengono addensati e cristallizzati
elementi di confusione e di vero e proprio sviamento dalla verità storica.

Intanto la figura stessa di Pier Santi Mattarella non può essere imbalsamata nel santino agiografico che ne viene fatto, a volte con marcati segni di forzatura arbitraria da parte di coloro che, ancora oggi, ne usano la memoria per scopi di parte. Soprattutto se si ha riguardo, irrinunciabile, alla ricca e complessa figura dello stesso Pier Santi Mattarella.

Lo stesso crimine che lo ha colpito ha un retroterra nella barbara reazione ai tratti della sua personalità: un Uomo da tratti sicuri e fermi. Figlio, sposo, padre, politico, poi si presenta sempre con i caratteri straordinari per la ricchezza della sua umanità matura e profonda, sempre illuminata da una fede religiosa autenticamente sentita.

E’ probabile che nella determinazione dei criminali ci sia stata la delusione di chi sperava di poterlo piegare. Egli fu, con un’espressione letteraria, un uomo verticale. Il suo impegno politico, da democristiano nella Democrazia Cristiana, della cui storia, tra luci ed ombre, andava consapevole e coerente interprete. Le stesse linee del disegno politico che portò avanti si muovevano entro queste caratteristiche.

Eletto Deputato all’Assemblea regionale siciliana nel 1967, si era collegato, indipendentemente dalla caratterizzazione di corrente che aveva in quel tempo, ad un gruppo che, facendo capo all’on Nino Lombardo, che portava avanti in quella legislatura una politica di rinnovanento del costume, con l’abolizione del voto segreto, che nella cronaca della vita politica regionale aveva determinato non pochi passaggi travagliati, compreso il milazzismo.

Di questa politica ne era l’antagonista irriducibile. Al punto che all’interno della DC si passò da una continuità della guida dorotea alla segreteria regionale di Giuseppe D’Angelo.

Le elezioni del 1971 segnarono per la DC un momento negativo. Accanto alla riforma della burocrazia regionale era stata portata avanti una riforma della legge urbanistica che aveva determinato una reazione provocatrice: un’autentica onda nera, in parallelo alla contemporanea rivolta di Reggio Calabria.

La DC siciliana – tutta – ma con la guida  di quel gruppo dirigente dei Giuseppe D’Angelo, Nino Lombardo, Rosario Nicoletti, Francesco Parisi e Mannino fu ferma nell’opposizione e nella resistenza ad un’opinione che
piegava verso la reazione in testa al Movimento Sociale.

Era anche una stagione politica difficile sul piano nazionale. Il centro-sinistra non godeva più dell’appoggio del PSI, si era esaurita la fase del secondo centro-sinistra. In quelle circostanze l’on Moro apri nella DC la fase della ‘Strategia dell’attenzione’ verso il PCI.

Con la segreteria regionale Nicoletti, in successione all’on D’Angelo impegnato a Roma in altre responsabilità, la linea di riflessione proposta da Moro fu la linea della DC siciliana.

L’on Pier Santi Mattarella e il Padre on Bernardo seguirono Moro.

In Sicilia, con la segreteria Nicoletti, furono realizzate, avanti ad ogni esperienza nazionale, avanzate forme di collaborazione con il PCI. E quando maturò il tempo ,Pier Santi divenne Presidente della Regione sulla base di una maggioranza che ricomprendeva il PCI, del quale era segretario, in quel momento, Achille Occhetto.

A Roma Andreotti aveva formato il I° Governo di Solidarietà nazionale.

Intanto nella linea politica della DC siciliana, proprio in quel tempo, maturò una più attenta considerazione del problema ‘mafia’. Il ritardo dello sviluppo del Mezzogiorno, con l’aggravante di una insidiosa emergenza mafiosa, determinarono l’impegno della DC siciliana che rappresentò la base politica della Presidenza di Pier Santi Mattarella.

Per fedele ricostruzione ai fatti: nel Comitato regionale della DC siciliana si determinò una divaricazione tra maggioranza e minoranza sulla proposta di Nicoletti di collaborazione con il PCI e la proposta per la Presidenza della Regione dell’on.Mattarella.

Gli andreottiani – cioè l’on Salvo Lima – si schierarono a favore. Anche per la sincronia con il Governo Andreotti.

Costituito il Governo con una maggioranza che comprendeva il PCI, che assumeva la Presidenza dell’Ars con l’on Pancrazio De Pasquale, il Presidente Mattarella fu artefice di una concreta politica di cambiamento e di forte impegno per lo sviluppo della Sicilia.

Il contrasto alla criminalità mafiosa fu  caratterizzato da un impegno civile e culturale del quale fanno fede gli atti pubblici del tempo.

Il 16 maggio del 1978 quando fu consegnato in via delle Botteghe Oscure il
cadavere dell’on Moro, la politica di Solidarietà nazionale subì una vera
e propria interruzione.

Anche in Sicilia il PCI interruppe l’appoggio al Governo Mattarella. Che andò in crisi anche perché il PSI siciliano in quel tempo era sulla linea
‘degli equilibri più avanzati di Francesco Di Martino, cioè seguiva la linea del Partito comunista.

Il 6 gennaio del 1980 l‘assassinio di cui fu vittima vedeva il Governo regionale di Pier Santi Mattarella in crisi.

Ancora oggi – condannata la cupola di Cosa nostra – non si conosce l’identità
dei killer. Questo dato ha condotto le indagini sulla pista del terrorismo nero. Niente esclude la confluenza degli interessi o delle responsabilità tra Cosa nostra e terrorismo.

Però questo mancato obbiettivo di ricostruzione veritiero del fatto criminale
non può autorizzare anche chi ha avuto responsabilità giudiziarie in quel tempo a sostenere delle pure divagazioni.

Il delitto Mattarella venne in successione temporale all’assassinio di Michele Reina, segretario provinciale della DC palermitana, esponente della corrente andreottiana dell’on Lima. Nelle apparenze, ma non soltanto, anzi queste sono indizi sufficienti per affermare che tra i due delitti vi è un collegamento.

Una parte politica – alla quale si sono prestati anche altri che avrebbero interesse alla verità – ha sostenuto che la causa-obbiettivo dei due delitti era l’interesse ad impedire l’alleanza politica della DC con il PCI.

Ma il PCI era uscito di già dalla maggioranza del Governo Mattarella e ne aveva provocato la messa in crisi. Allora semmai questo dato di fatto sottolinea che la mafia, sempre attenta alle cose della politica, colpisce quando un uomo politico, la vittima, è stato reso più debole dalle circostanze della politica.

Questa avvertenza non fu sufficiente per determinare un diverso orientamento politico alle decisioni anche del PCI.

Allora una corretta ricostruzione politica è il contributo migliore – possibile e doveroso – per riconoscere la dimensione storica della figura di Pier Santi Mattarella. Non come artefice di politiche mai pensate da lui.

Orgoglioso della storia della Democrazia Cristiana, come era orgoglioso suo padre, Pier Santi pensava invece a rendere la DC forte per guidare il Paese in una fase storica in cui il terrorismo aveva colpito Moro, il suo leader. Ma contemporaneamente Cosa nostra muoveva all’attacco contro le linee del rinnovamento proposte dalla DC e nella DC.

Il ricordo di oggi, forte del sentimento che lo ispira, non può rinunciare alla verità. Si farebbe torto alla storia: anche quella grande e generosa di Pier Santi.

Foto tratta da La Sicilia

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