Tafarofobia: paura di risvegliarsi in una bara sotto due metri di terra!

29 ottobre 2019

Il quotidiano ‘Il Mattino’ di Napoli racconta di un caso un po’ diverso: la donna – per sua fortuna – non si è svegliata sotto terra, ma pochi minuti prima di essere cremata…

Di storia strane, in bilico tra la vita e la morte, ne succedono ancora tante. E’ di queste ore la disavventura di una donna di 70 anni, creduta morta, che si è risvegliata pochi minuti prima della cremazione!

E’ successo in Thailandia, come racconta Il Mattino di Napoli:

“La donna, che soffriva di gravi problemi dovuti ad un aumento del volume della tiroide, aveva improvvisamente smesso di respirare e i medici non avevano potuto far altro che constatarne la morte… Il funerale, tenutosi il 23 ottobre, avrebbe dovuto concludersi con la cremazione della salma. Prima, però, come vuole la tradizione, il marito della donna, Thawin Sopajorn, aveva iniziato a lavare il viso della moglie, ed è qui che è avvenuto qualcosa di assolutamente fuori dal comune…”.

Insomma, la donna non era affatto morta: era viva e lo è ancora!

Diverso il caso della cosiddetta Tafarofobia, ovvero la paura di risvegliarsi in una bara sotto due metri di terra! Così siamo andati a rileggere un articolo di due anni fa dell’AGI:

Fino al secolo scorso, scrive l’AGI, la Tafarafobia era “una fobia piuttosto diffusa. C’era addirittura chi, come nel racconto di Edgar Allan Poe, The Premature Burial, poi diventato un film di Roger Corman con Ray Milland, si faceva costruire una tomba dalla quale era possibile uscire. Già, perché, con una medicina meno progredita capitava spesso che stati di catalessi o coma venissero diagnosticati come decessi. Alcuni andavano incontro a una fine orribile. Altri, più fortunati, si risvegliavano prima di finire in una cassa di legno. Sia pure meno sovente, succede ancora oggi”.

Perché questi casi accadono ancora?

“Le ragioni delle dichiarazioni di morte errate – leggiamo sempre nell’articolo dell’AGI del 2017 – possono essere le più disparate, spiega al Guardian l’anatomo-patologa Carla Valentine. Nel caso di Paul Mutora, il keniota che, quest’anno, fu ritenuto defunto dopo aver ingerito dell’insetticida per poi ridestarsi in obitorio, è ad esempio probabile che l’atropina somministratagli per salvarlo ne avesse rallentato il battito a un punto tale da farlo sembrare morto. Janina Kolkiewicz, la novantunenne polacca trovata apparentemente priva di vita dalla famiglia in casa, era presumibilmente finita in uno stato di ibernazione a causa delle temperature rigide”.

“È un fenomeno molto raro – cerca di rassicurare Valentine – e per lo più i nostri sofisticati test medici fanno sì che non accada. E, come evidente dai casi di cui sopra, questi sventurati tendono a svegliarsi comunque in obitorio e di sicuro non raggiungono uno stato nel quale rischiano di venire sepolti vivi”.

Ma le cose stanno proprio così? I dubbi rimangono.

QUI L’ARTICOLO DELL’AGI

 

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