INCHIESTA/ Rapporto sui tumori in Italia. L’amianto che uccide nel silenzio generale

15 ottobre 2019

Negli uomini il trend mostra una diminuzione delle neoplasie del polmone e della prostata, ma aumentano i tumori del pancreas, il melanoma e i tumori della tiroide.  I casi di tumore sono maggiori al Nord e vanno via via riducendosi scendendo verso le regioni meridionali. Il problema dell’amianto che in Italia non viene smaltito perché mancano le discariche e non si sa dove metterlo

di C. Alessandro Mauceri

E’ stato presentato il rapporto “I numeri del cancro in Italia” frutto di una collaborazione tra AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), AIRTUM (Associazione Italiana dei Registri Tumori), Fondazione AIOM (che apporta il contributo sostanziale dei pazienti Oncologici e delle loro associazioni), PASSI d’Argento (sistema di sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità sullo stato di salute della popolazione) e SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citodiagnostica) che traccia un quadro della situazione su tutto il territorio nazionale.

Buone notizie per una delle piaghe degli ultimi decenni: i nuovi casi di tumore in Italia tendono a diminuire, nel 2019 sono stati diagnosticati 371mila casi (196mila uomini e 175mila donne), 2mila meno del 2018. Bene, quindi. O forse no.

Se da un lato, i numeri relativi all’incidenza di tumori in Italia parlano di un piccolo calo dei nuovi casi diagnosticati, dall’altro, però, la mortalità per tumore rimane altissima: i tumori sono la seconda causa di morte (29% di tutti i decessi), dopo le malattie cardio-circolatorie (37%). Eppure, in entrambi i casi, spesso le cause sono per buona parte note. I dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) indicano per il 2016 (ultimo anno al momento disponibile) che dei circa 600.000 decessi verificatisi quell’anno, poco più di 179.000 erano attribuibili a tumori (maligni e benigni).

Sorge spontanea la domanda: perché non si fa nulla (o molto meno di quanto si potrebbe) per ridurre queste morti? Se un terzo dei tumori deriva dal tabagismo e un terzo da errati stili di vita, questo significa che si sarebbero potute evitare oltre 100mila morti anticipate! Perché allora non vietare definitivamente il fumo (invece di permetterne la vendita ma obbligando a scrivere CAUSA LA MORTE oppure NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE sulle confezioni: un comportamento ipocrita e che, tra l’altro, violerebbe l’art. 32 della Costituzione)? E perché non incentivare iniziative e programmi per ridurre stili di vita sedentari?

I risultati di iniziative come le campagne di screening e prevenzione messe in atto dal Servizio Sanitario Nazionale hanno avuto risultati positivi: sono diminuiti i tumori dello stomaco, del fegato e del colon-retto. Restano però differenze spiegabili ma non giustificabili. A cominciare dall’incidenza dei tumori per sesso: se negli uomini il trend mostra una diminuzione per le neoplasie del polmone e della prostata, dall’altro aumentano i tumori del pancreas, il melanoma e i tumori della tiroide. Un problema che potrebbe derivare dall’aumento dei fattori di rischio.

Da decenni, quando si parla di tumori, i problemi maggiori riguardano i fattori che li generano. Tra le cause del cancro, le più frequenti sono probabilmente quelle di tipo ambientale, seguite da quelle genetiche, infettive, legate agli stili di vita e a fattori casuali. Circa un terzo dei tumori negli USA (ma il rapporto non doveva parlare dell’Italia?) è causato dal fumo di tabacco; un altro terzo, invece, sarebbe dovuto ai cosiddetti stili di vita (dieta, sovrappeso, abuso di alcool e inattività fisica). Anche le infezioni sono un problema rilevante: causano circa l’8% dei tumori.

Stranamente, minore di quanto si potrebbe pensare la percentuale di tumore dovuta alle radiazioni ionizzanti e all’esposizione ai raggi UVA che sarebbero responsabili del 2% dei tumori. Anche il fattore ereditario sarebbe poco responsabile dei tumori: “meno del 2% della popolazione è portatrice di mutazioni con sindromi ereditarie di rischio neoplastico”, si legge nel rapporto.

Interessante anche il legame tra tumori ed età in cui si sono manifestati. Sia per gli uomini che per le donne la percentuale maggiore di casi di tumore si è registrata in soggetti di età superiore ai 70 anni, seguita dalla fascia d’età 50/69 anni. Decisamente inferiore la percentuale di nuovi casi di tumore nella fascia d’età 0/49 anni. Il punto è che il tempo di manifestarsi di un tumore a volte è di anni o addirittura di decenni. Un fatto, questo, che limita in modo pesante la possibilità di definire con certezza il rapporto di causa ed effetto e di intervenire per tempo: spesso le misure utili vengono adottate troppo tardi.

Altro aspetto degno di nota che emerge dal rapporto è quello basato sull’area geografica. I dati forniti da AIRTUM 2010-2015, mostrano che in Italia, per quanto riguarda “i principali indicatori epidemiologici (incidenza, sopravvivenza, mortalità e prevalenza)” esiste “un gradiente Nord-Sud per la maggior parte delle sedi tumorali”. In altre parole, i casi di tumore sono maggiori al Nord e vanno via via riducendosi scendendo verso le regioni meridionali.

“Alla base di queste differenze possono esserci fattori protettivi (differenti stili di vita, abitudini alimentari, fattori riproduttivi) che ancora persistono nelle regioni del Centro e Sud/Isole, ma anche una minore esposizione a fattori cancerogeni” si legge nel rapporto.

E’ vero, “Il cancro come le altre malattie non-trasmissibili (NCD) è causato da fattori di rischio multipli, che in genere agiscono in maniera sinergica”, “la causa del cancro è da considerare nell’insieme di fattori in cui nessuna è di per sé in grado da sola di causare la malattia”. Spesso, però, l’ambiente non solo può innescare il processo che genera un tumore, ma ne influenzerebbe la possibile progressione.

Tra le cause dei tumori (ma stranamente anche di questo si parla poco e si fa ancora meno) un posto speciale è dedicato all’amianto.

“Il ruolo dell’asbesto nella cancerogenesi del MM è noto da oltre 50 anni e la quota di MM attribuibile all’esposizione a questo minerale fibroso è nell’ordine del 90%, con una variabilità geografica sostanzialmente determinata dalla modalità con cui avviene l’esposizione”, si legge nel rapporto. L’asbesto risulta inoltre implicato anche nella genesi del carcinoma polmonare, di alcune pneumoconiosi (asbestosi) e di altre patologie pleuropolmonari (versamento pleurico, placche pleuriche, atelettasia rotonda).

Il fattore di rischio principale del mesotelioma maligno, MM, “è rappresentato dall’esposizione (inalazione) all’asbesto (amianto) nelle sue due forme presenti in natura: anfiboli (actinolite, amosite, antofillite, crocidolite, tremolite) e serpentino (crisotilo)”. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) classifica TUTTI i tipi di asbesto come carcinogeni per l’uomo (sebbene con potere cancerogeno diverso). Ancora una volta è il tempo il cattivo consigliere. L’incidenza del MM dipende dalle caratteristiche dell’esposizione (nelle sue diverse forme: occupazionale, residenziale, domestica), compreso il tempo in cui questa si sia verificata: l’esposizione precoce nel corso della vita conferisce infatti un maggior rischio, se si considera che il tempo di latenza tra esposizione e diagnosi del MM può raggiungere i 40-50 anni.

I rischi legati all’esposizione o inalazione di amianto sono noti da decenni. E ogni anno vengono denunciati i numeri relativi alla presenza di amianto e le conseguenze. Solo pochi giorni fa, il Cnr ha organizzato un convegno dal titolo ”Amianto: gestione del sistema e tutela della salute” nel quale sono stati ripetuti i pericoli che questo materiale rappresenta per la salute, nonostante nel nostro Paese sia stato messo al bando da oltre un quarto di secolo.

“L’esposizione ad amianto – ha dichiarato Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale (Sima) – causa tumore polmonare (mesotelioma pleurico), laringeo e ovarico, oltre a condizioni di fibrosi polmonare”.

Ancora una volta numeri impressionanti: in Italia, ogni anno, circa 6.000 decessi sono da ricondursi all’amianto (nel mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sono 125 milioni le persone esposte a rischio amianto). Morti che hanno un costo umano enorme, ma anche un costo “diretto” (ritiro dal lavoro, cure e morte) non indifferente: nei 28 Paesi dell’Unione europea sarebbe pari allo 0.7 per cento del Pil dell’Ue (410miliardi/anno).

Ciò nonostante, nel Bel Paese ci sarebbero ancora tra 32 (secondo Cnr-Inail) e 40 milioni di tonnellate (secondo l’Osservatorio nazionale amianto) d’amianto ancora da bonificare. “In Italia – ha detto Miani – sono 96.000 i siti contaminati da amianto censiti e presenti nel database del ministero dell’Ambiente”.

Parlare di queste cause (come per il rapporto tumori) o monitorare il fenomeno (come per l’amianto) non basta a risolvere il problema. E’ necessario adottare misure specifiche e urgenti. Delle quali, però, raramente si parla. Durante la settimana dell’ambiente appena conclusa, ad esempio, non una sola parola è stata dedicata al problema dei tumori e alle cause ambientali che li generano. Né all’amianto e all’inquinamento che produce.

Anche gli appelli (sempre più sporadici) di pochi personaggi che hanno a cuore la salute dei cittadini e decidono di parlarne in Parlamento spesso cadono nel vuoto. Due anni fa, in un discorso alla Camera dei Deputati, Laura D’Aprile sottolineò che “uno dei principali problemi è che mancano le discariche: a volte i monitoraggi non vengono effettuati perché poi nasce il problema di dove poter smaltire l’amianto. Ci sono regioni che hanno fatto delibere definendosi a discarica zero e quindi quando faremo la programmazione del conferimento a livello nazionale ci andremo a scontrare con queste regioni”.

Ma come è possibile pensare a discariche per i rifiuti speciali se non si riesce a gestire nemmeno quelle per i rifiuti “normali”? Tornano in mente i problemi delle discariche dei RSU di molte grandi città italiane, Palermo, Catania, Roma e molte altre. Sono tantissimi i Comuni che, concretamente, hanno dimostrato di non essere in grado di gestire il problema dei rifiuti. Con conseguenze gravi per l’ambiente e per la salute dei cittadini.

La conclusione? La conclusione è che molti ricercatori continueranno a parlare di tumori, delle cause che li generano e che spesso sono note o arcinote da decenni, del rischio connesso con l’amianto (anche questo ben noto e dimostrato). Tutti pronti a pubblicare studi, rapporti, approfondimenti. Poi tutto finirà nel dimenticatoio. E decine di migliaia di persone (solo in Italia) continueranno a morire per cause evitabili.

Foto tratta da Telenord

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