La Banca del grano duro in Sicilia: iniziativa lodevole o tentativo di ‘finanziarizzare’ anche questo settore?/ MATTINALE 423

10 ottobre 2019

In generale, l’idea di portare una ventata di ‘democrazia del prezzo’ e di innovazione nel mondo del grano duro siciliano non è sbagliata. Ma è pur sempre un’operazione di finanza nell’unico mondo – quello dell’agricoltura – dove le persone, grazie a Dio, tengono ancora i piedi per terra e non vanno dietro a ‘derivati’ e ad altre diavolerie della finanza. Lo diciamo subito: in noi tale iniziativa suscita più di una perplessità   

Fino ad ora ci siamo tenuti un po’ lontano dall’iniziativa. Magari perché, in agricoltura, siamo un po’ conservatori e l’idea di una Banca del grano duro ci lascia un po’ perplessi. Perché, alla fine, se proprio la dobbiamo dire tutta, in un mondo dove trionfa la ‘finanziarizzazione dell’economia’, l’unica cosa che resta ‘vera’, reale è proprio l’agricoltura. L’idea che qualcuno – perché di questo si tratta – vada a costruire prodotti finanziari sul grano duro della Sicilia non ci affascina. Anche perché, come ora proveremo a illustrare, non riusciamo a capire se i produttori di grano duro della nostra Isola ne trarranno benefici.

Per illustrare questa iniziativa partiamo da un articolo pubblicato da AgroNotizie, giornale on linea che noi seguiamo attentamente per la precisione con la quale analizza l’andamento di mercato del grano duro nel Sud Italia.

AgroNotizie definisce l’iniziativa un esempio di “trading innovativo del grano duro”.

“Si chiama Sicilian Wheat Bank – leggiamo ancora su AgroNotizie – e opererà come camera di compensazione tra cerealicoltori, stoccatori e industria di trasformazione della filiera del grano duro siciliano. Il progetto è stato presentato dal Comitato promotore il 7 ottobre scorso ad Enna, alla presenza di una folta platea. La formula è accattivante. Conviene all’agricoltore, che porta il suo grano, contratta il prezzo direttamente con la banca e incassa subito, all’atto del deposito nei locali di stoccaggio in un’area personalizzata dove sarà conservato in atmosfera modificata, il 50% del valore pattuito, mentre riceverà il resto a vendita avvenuta. Consente allo stoccatore di utilizzare lo strumento per ampliare la propria operatività. Infine, lascia le mani libere al trasformatore, che può scegliere esattamente cosa comprare – la filiera sarà interamente tracciata con tecnologie blockchain – e a che prezzo e senza vincoli di quantità, anzi potendo tagliare i costi di magazzino presso il molino”.

Con rispetto parlando, a noi questa descrizione sembra un po’ idilliaca. Abbiamo anche qualche dubbio sul giudizio positivo. Perché, infatti, l’iniziativa “conviene all’agricoltore”? Perché incassa “il 50% del valore pattuito” dopo aver contrattato il prezzo direttamente con la banca in ragione delle caratteristiche del grano? E poi che succede? L’agricoltore “riceverà il resto a vendita avvenuta” del grano.

Ma non è un po’ troppo facile? Da tre anni il prezzo del grano duro del Sud è inchiodato a 18-20 euro al quintale. L’eccezione è rappresentata da quest’anno, con il prezzo in salita grazie a un andamento climatico che ha messo in ginocchio la produzione di grano di mezzo mondo. Scenario che Mario Pagliaro, chimico, ricercatore presso il CNR e appassionato di climatologia, ha previsto già dallo scorso giugno.

L’agricoltura siciliana è in crisi. Il grano duro del Sud Italia è in profonda crisi. I Governi nazionali – prima i Governi di centrosinistra della passata legislatura e poi il Governo tra grillini e leghisti non solo non hanno fatto nulla in favore del grano duro del Mezzogiorno d’Italia, ma hanno coperto chi ha speculato sul mondo della cerealicoltura meridionale.

Emblematico lo scippo della varietà di grano duro antica Senatore Cappelli ai danni degli agricoltori meridionali da parte di una società del Nord Italia. Di fatto, la privatizzazione, con tanto di brevetto posto su un essere vivente, di una delle più importanti varietà di grano duro antico del Sud Italia. Cosa, questa, denunciata dal presidente di Confagricoltura Sicilia, Ettore Pottino.

Da tre anni GranoSalus si batte per ottenere la CUN – Commissione Unica Nazionale – per porre fine alla speculazione al ribasso del grano duro del Sud Italia. Quello che è stato tra i protagonisti di questa iniziativa, il senatore Saverio De Bonis, non è riuscito a far decollare la CUN, la cui sede – questo è l’aspetto grottesco di questa vicenda – per volere degli industriali, dovrebbe essere localizzata a Bologna, pur sapendo che l’area italiana d’elezione per la produzione del grano duro è il Sud!

In tutto questo siamo letteralmente invasi dal grano duro estero – e segnatamente dal grano duro canadese, se è vero che in un anno l’importazione in Italia dello stesso grano canadese è aumentata di sette volte!

E come li rivolviamo tutti questi problemi? Con la ‘finanziarizzazione’ delle cerealicoltura siciliana? E’ legittima qualche perplessità o qualcuno si offenderà?

AgroNotizie illustra così il piano d’investimento:

“Si parte dall’obiettivo di ‘coinvolgimento di tremila produttori agricoli’, come scritto nel sito, e si punta a realizzare, con riferimento alla Sicilian Wheat Bank ‘un volume di affari che supera i 60 milioni di euro’. Per far questo è necessaria una ‘raccolta fondi proveniente da investitori pubblici e privati per un ammontare complessivo pari a circa 4,5 milioni di euro’. Sono inoltre necessari ‘conferimenti in natura di beni mobili ed immobili da parte dei partners della logistica che entreranno a far parte del capitale di rischio di Piattaforma logistica intermodale’. Invece i ‘conferimenti in denaro’ saranno a cura ‘dei partners finanziari mediante la sottoscrizione del capitale di rischio dell’Istituto nazionale di intermediazione per il credito agricolo’. Il tutto per ‘un investimento iniziale di circa 3,5 milioni di euro’ ed ‘un ritorno dell’investimento in circa cinque anni’”.

Le notizie più complete le potete approfondire nel’articolo di AgroNotizie.

Noi, a conclusione della nostra perfettibile illustrazione dell’iniziativa ci limitiamo a qualche considerazione.

L’idea, come dire?, di portare la democrazia nella domanda del grano duro non è sbagliata: anzi. L’importante è che questa storia non prenda la piega, volendo essere un po’ letterari, della figura di Melquìades in Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez!

Ricordiamoci che l’iniziativa si inserisce in un contesto internazionale dove il mercato di Chicago ‘fa’ il prezzo dei cereali in tutto il mondo e dove – con riferimento all’Italia – gli industriali del Nord, che controllano la produzione e il mercato della pasta, hanno sempre fatto e continuano a fare il bello e il cattivo tempo.

Noi che siamo un po’ ‘antichi’ ci limitiamo a porre una domanda con una premessa.

La premessa è che gli agricoltori – così abbiamo letto – incasseranno il 50% del prezzo pattuito. Il restante 50% lo incasseranno a grano venduto.

E se il prezzo andrà giù? C’è una garanzia per chi ammassa il prodotto? Alla fine – dopo tutta la ‘filosofia’ – l’iniziativa si impernia sull’ammasso del grano duro che diventerà il “complemento oggetto” sul quale la finanza ‘costruirà’ i propri prodotti finanziari.

Ribadiamo: se il prezzo andrà giù che succederà?

Foto tratta da Dagospia  

QUI L’ARTICOLO PER ESTESO DI AGRONOTIZIE

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