Quello che oggi vogliamo ricordare è un uomo coraggioso, serio, che non ha avuto paura ad affrontare i mafiosi. Andava protetto, soprattutto dopo la sua celebre lettera al ‘Giornale di Sicilia’ e dopo le polemiche con alcuni suoi colleghi industriali di quegli anni? Secondo noi, sì
Erano le sette e quaranta di mattina quando i mafiosi a Palermo, in via Vittorio Alfieri, uccidono l’imprenditore Libero Grassi. Un delitto che per Cosa nostra avrebbe dovuto essere esemplare: il titolare di un’impresa tessile, infatti, non solo non aveva voluto pagare il ‘pizzo’, ma con una lettera al Giornale di Sicilia nel gennaio 1991:
“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui”.
Anche in Tv dice a chiare lettere che non ha alcuna intenzione di pagare i mafiosi.
Avrebbe dovuto essere protetto e, soprattutto, sostenuto. Ma non viene protetto.
“La stessa Sicindustria – leggiamo su Wikipedia – gli volta le spalle. In una lettera pubblicata sul Corriere della Sera il 30 aprile 1991 afferma che «l’unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana» e definisce “scandalosa” la decisione del giudice catanese Luigi Russo (del 4 aprile 1991) in cui si afferma che non è reato pagare la ‘protezione’ ai boss mafiosi”.
Di Libero Grassi rimane il ricordo di un uomo libero che ha avuto il coraggio di affrontare i mafiosi a viso aperto.
Sulla Stato italiano che non è riuscito a proteggerlo abbiamo poco da dire.
Foto tratta da palermotoday