Il ‘caso’ di Calogero Mannino tra cronaca e storia: una storia che comincia a fine anni ’70 del secolo passato…

24 luglio 2019

Questo non è un articolo di cronaca giudiziaria. E’ solo il tentativo, sicuramente perfettibile, di una ricostruzione ‘politica’ di una vicenda, molto siciliana, che ha coinvolto un uomo politico che, paradossalmente, era forse il più lontano dalla “vecchia Sicilia”. E’ il racconto – ribadiamo: sicuramente perfettibile – di un cronista politico che si avventura, tra ricordi e testimonianze, lungo i sentieri scoscesi della politica siciliana negli anni veramente bui della Prima Repubblica in Sicilia

Facciamo una premessa: questo articolo non tratta il ‘caso’ di Calogero Mannino sotto il profilo giudiziario. O, quanto meno, non tratta questa vicenda sotto il profilo tecnico-giudiziario, perché non ne abbiamo le competenze. Se sfioriamo alcune vicende giudiziarie, ciò avviene sia perché, spesso, in Sicilia la cronaca giudiziaria ‘invade’ la politica, sia perché nelle vicissitudini dell’ex Ministro Mannino, legate alla Giustizia, è impossibile non intravedere particolari scenari politici che affondano le radici nel 1992 – l’anno delle stragi – e, andando indietro nel tempo, anche nel periodo a cavallo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 del secolo passato.

I fatti sono noti. Dopo una vicenda giudiziaria cominciata negli anni subito successivi a Tangentopoli, conclusasi con l’assoluzione, Mannino viene tirato in ballo, quando ha già superato i settant’anni di età, in una nuova vicenda giudiziaria legata alla – vera o presunta – trattativa tra lo Stato e la mafia.

Se nell’inchiesta degli anni ’90 era stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (vicenda, lo ribadiamo, dalla quale è venuto fuori assolto), nella seconda inchiesta che lo vede coinvolto l’ipotesi accusatoria è quella di attentato a corpo politico dello Stato.

Chi scrive ha oggi sessantanni (e tra meno di un mese saranno sessantuno). Di professione fa il giornalista. E nel 1985 – anno in cui Calogero Mannino viene designato dagli organi del suo partito al vertice della segretaria regionale della DC siciliana – comincia ad occuparsi proprio di politica regionale.

Qualche ricordo degli anni ’80 – e, volendo, anche degli anni che vanno dal Governo regionale siciliano di Angelo Bonfiglio (1974-1978) fino al Governo regionale di Piersanti Mattarella (1978-1980) – lo abbiamo anche noi.

Che ricordi abbiamo? Di fine anni ’70 – anche per questioni familiari, visto che il padre di che scrive era molto conosciuto nel mondo della politica siciliana di allora – ricordiamo una certa comunanza di idee tra l’allora segretario regionale della DC, Rosario Nicoletti, Piersanti Mattarella e Calogero Mannino.

Nicoletti era palermitano. Persanti Mattarella non era palermitano (era nato a Castellammare del Golfo), ma lo era quasi diventato, sia perché per tre anni ha fatto il consigliere comunale a Palermo (dal 1964 al 1967), sia perché, nel 1967, viene eletto per la prima volta in Assemblea regionale siciliana nel collegio di Palermo.

Chi, invece, con Palermo non aveva molto a che vedere era Mannino, nato ad Asmara, ma cresciuto a Sciacca, provincia di Agrigento.

Allora, sotto il profilo elettorale, la Sicilia era divisa in due: Sicilia occidentale e Sicilia orientale. Mannino veniva eletto alla Camera dei deputati nella Sicilia occidentale. E, nolente o volente, doveva comunque avere a che fare con Palermo.

Però se nella DC siciliana di quegli anni, tra i personaggi che contavano (e Mannino allora era già molto noto, se è vero che nel 1976 era stato eletto per la prima volta alla Camera dei deputati) c’era un politico molto misurato, che a Palermo si muoveva sempre con grande attenzione, ebbene, questo era proprio Mannino.

In quegli anni, a Palermo, la segreteria regionale della DC siciliana si trovava nel ‘grattacielo’ di via Emerico Amari, di fronte la sede della Camera di Commercio. E si trovava tre o quattro piani sopra (non lo ricordiamo con precisione) la segreteria dell’onorevole Salvo Lima.

Chi scrive ricorda che, ogni tanto, circolava la battuta:

“I due oggi si sono salutati appena”.

“Manco ciao si sono detti…”.

“I due” erano Salvo Lima e Calogero Mannino che, per quello che noi ricordiamo, non sono mai andati d’accordo.

E, a tal proposito – questo invece lo ricordiamo bene perché eravamo presenti in qualità di cronisti – non possiamo dimenticare una riunione a Palermo, nei saloni di Villa Igiea, del 1991 (l’anno dovrebbe essere questo) in cui Mannino lascia la guida della segreteria regionale della DC siciliana. Perché lo ricordiamo? Perché in quell’occasione Lima non risparmiò ‘bordate’, anche velenose, a Mannino.

Se andiamo indietro nel tempo – ma in questo caso eravamo proprio agli albori della nostra attività giornalistica e qualche passaggio l’abbiamo ricostruito successivamente – non possiamo dimenticare quanto avvenuto nel 1983.

Ricordiamo che, in quegli anni, l’allora segretario nazionale della DC, Ciriaco De Mita, quasi per giustificare il risultato forse non troppo esaltante del suo partito in non ricordiamo più quale competizione elettorale, disse:

“Abbiamo messo fuori dal partito Vito Ciancimino…”.

In realtà, se proprio la dobbiamo raccontare tutta, Ciancimino, intanto, non era stato messo fuori dal partito. E’ stato messo nelle condizioni – questi almeno sono i nostri ricordi – di non contare nulla nella segreteria regionale del partito durante il congresso di Agrigento del 1983.

Non è importante – sempre a nostro modesto giudizio – quello che avvenne durante il congresso della DC di Agrigento, ma quello che avvenne prima.

Nel maggio del 1982 Ciriaco De Mita viene eletto segretario nazionale della DC. Di solito, i congressi regionali si celebrano prima del congresso nazionale. Non andò così in Sicilia, perché nel 1982, nella nostra Isola, l’atmosfera era, come dire?, un po’ ‘bollente’.

Il 30 aprile del 1982, a Palermo, erano stati uccisi l’allora segretario del PCI siciliano, Pio La Torre, e il suo autista, Rosario Di Salvo. Il 3 settembre dello stesso anno, sempre a Palermo, erano stati trucidati il generale Carlo Albero Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Le polemiche avevano coinvolto dirigenti della DC siciliana, così il congresso regionale era saltato.

Al congresso nazionale si era visto che Ciancimino, in Sicilia, non era poi così irresistibile, se è vero che la sua forza non arrivava al 10%.

Al congresso regionale della DC siciliana – convocato ad Agrigento – per entrare con propri rappresentanti negli organi regionali del partito bisognava raggiungere una certa percentuale: e Ciancimino, potente per altri versi, non lo era abbastanza nella DC dell’Isola.

Era stato deciso di comporre una lista unica per dare spazio a tutti, Ciancimino compreso. Ma sembra che in una riunione pre-congressuale (non sappiamo se a Roma o a Palermo) alcuni esponenti – a quanto pare esponenti della sinistra DC della quale anche Mannino era autorevole rappresentante – abbiano preso la parola dicendo:

“Io lista unica non ne faccio”.

“Io nemmeno”.

“E neanche io”.

Un ‘siluro’ a Ciancimino? Chi scrive, allora, era troppo ragazzo. Anni dopo questa vicenda l’abbiamo ‘letta’ così.

Morale: con la sua scarna percentuale – e forse anche per il fatto che nessuno lo voleva accanto – il potente Vito Ciancimino si ritroverà fuori dalla ‘plancia di comando’ della DC siciliana. Uno smacco!

Un anno dopo il collaboratore di Giustizia, detto anche pentito di mafia, Tommaso Buscetta, dichiarerà al giudice Giovanni Falcone che “Ciancimino era nelle mani dei Corleonesi” (in realtà, forse era il contrario: ma questa è un’altra storia). Nello stesso anno Ciancimino verrà arrestato.

L’ex sindaco di Palermo non uscirà di scena: tant’è vero che, a fine anni ’80, si scoprirà che Ciancimino e i suoi soci storici condizionavano la gestione degli appalti al Comune del capoluogo della Sicilia, proprio negli anni della ‘Primavera’ di Palermo… E potente e ascoltato resterà fino a poco prima della sua morte avvenuta nel 2002.

Perché stiamo ricordando tutto questo? Perché, a nostro avviso, molti dei problemi di Mannino affondano le radici nella cosiddetta Prima Repubblica.

Attenzione: noi non siamo tra quelli che negano la trattativa tra Stato e mafia: a nostro avviso Stato e mafia trattano dagli anni dell’impresa dei Mille.

Lo scenario cambia non con le stragi del 1992, ma qualche anno prima, quando con la caduta del Muro di Berlino – a nostro modesto giudizio – cambiano molte cose, anche nel rapporto tra mafia e Stato.

Ribadiamo: la nostra è e resta un’analisi politica e non giudiziaria, anche nel rapporto tra mafia e Stato.

Quello che notiamo, in conclusione, è che, del gruppo di democristiani siciliani di fine anni ’70 che non andavano a genio a certi personaggi (della DC, ma non soltanto), Mannino, a quasi ottant’anni, è l’unico sopravvissuto. Ne ha viste di tutti i colori, certo. Ma forse oggi, dopo la seconda assoluzione, è un po’ più sereno.

Foto tratta da ilfattoquotidiano  

 

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