Raccolta del pomodoro: lo sfruttamento del lavoro voluto dall’elite globalista. Ma anche altro…

7 luglio 2019

Correttamente, il filosofo e commentatore Diego Fusaro ricorda gli effetti perversi creati dall’elite globalista, che ha imposto di deportare, via mare, “masse di schiavi dall’Africa” disposti a lavorare per paghe da fame. Ma c’è anche un altro aspetto, sempre imposto dalla stessa elite globalista: la distruzione della nostra agricoltura per avvelenarci con prodotti di pessima qualità che arrivano da chissà dove 

Scrive il filosofo e commentatore marxista, Diego Fusaro, a proposito dei braccianti agricoli per la raccolta del pomodoro ‘deportati’ in Europa dall’Africa:

“Busta paga agosto 1987. Stagione raccolta pomodori: 20 giorni con straordinari in busta: 1.613.300‬ Lire. Prima che il Muro crollasse, prima che l’elite globalista decidesse di deportare via mare masse di schiavi dall’Africa disposti a fare il medesimo a 1 euro e 50 l’ora. Porti aperti, mi raccomando. Utili idioti fucsia del capitale, gridatelo più forte: porti aperti, di modo che il massacro al ribasso dei lavoratori proceda al meglio”.

Aggiungiamo noi: l’elite globalista non ha deciso e imposto soltanto di importare “masse di schiavi dall’Africa disposti a fare il medesimo a 1 euro e 50 l’ora”: ha anche deciso e imposto di importare immensi quantitativi di pomodoro prodotto in altre parti del mondo a costi di gran lunga più bassi del costo complessivo del pomodoro italiano.

Il risultato è che non siamo solo invasi da manodopera a bassissimo prezzo, ma anche da prodotti – in questo caso di pomodori – spesso di pessima qualità.

Fusaro ha ragione da vendere quando afferma che la deportazione, via mare, di schiavi dall’Africa ha ridotto le retribuzioni.

Ma c’è un altro problema: l’importazione, a prezzi bassissimi, di prodotti agricoli che arrivano da chissà dove che stanno praticamente distruggendo l’agricoltura italiana e, segnatamente, l’agricoltura del Sud Italia.

Attenzione: nel caso del pomodoro – ma non soltanto del pomodoro – distruggono l’agricoltura, non l’industria legata alla stessa agricoltura. Anzi, le industrie di trasformazione di prodotti agricoli ci guadagnano: acquistano a prezzi stracciati il pomodoro o la passata di pomodoro e la rivendono.

Infatti: è proibito acquistare pomodoro e passata di pomodoro a un costo venti volte inferiore al pomodoro e alla passata di pomodoro italiana? No! Tutto regolare.

Poi, però, cosa arriva sulle tavole degli italiani?

A proposito del pomodoro proponiamo ai nostri lettori quello che ci ha detto lo scorso anno Cosimo Gioia, agricoltore, produttore di grano duro, ma anche di pomodoro dalle parti di Valledolmo, entroterra della Sicilia, in provincia di Palermo. Questa dichiarazione è un po’ un’integrazione alla giusta considerazione del filosofo Fusaro sullo sfruttamento della manodopera.

Per la cronaca, il pomodoro di Valledolmo è – anzi era, visto che in giro, ormai, se ne vede sempre di meno – considerato uno dei migliori per la preparazione della salsa.

“La nostra è un’ottima salsa di pomodoro – ci dice Cosmo Gioia -. Ma non siamo più nelle condizioni di produrre il pomodoro. E questo nonostante ci sia il mercato, perché, lo ribadisco, il pomodoro di Valledolmo si vende bene. Ma ormai produrre è diventato difficile, se non impossibile”.

“Il perché è presto detto – aggiunge Gioia -. Intanto ci scontriamo con chi, rispetto a noi siciliani, produce il pomodoro di pieno campo a prezzi bassissimi. Il costo del lavoro in Cina e in Africa è irrisorio. Impossibile competere. Poi noi utilizziamo in modo oculato pesticidi di ultima generazione che hanno un certo costo e sono sicuri. In certe aree del mondo, invece, utilizzano ancora pesticidi che in Italia sono stati banditi negli anni ’60 e ’70, prodotti chimici dannosi per la salute umana che costano pochissimo. Ribadisco: impossibile competere”.

“Direte – aggiunge Gioia -: il pomodoro per salsa di Valledolmo si vende bene. Vero. Ma costa anche produrlo. E il costo del lavoro, per chi rispetta la legge, è impossibile. Per chi non la rispetta scatta l’accusa di ‘caporalato’. E, in ogni caso, i controlli non danno tregua. Insomma, tra costo del lavoro e controlli è meglio non coltivare più il pomodoro”.

“Noi, ogni anno – conclude Gioia – seminavamo a pomodoro di pieno campo non meno di venti ettari. E, talvolta, anche di più. Tra semina e raccolta davamo lavoro a un bel po’ di persone. Da qualche anno abbiamo smesso. E come me hanno smesso in tanti. Oggi coltiviamo, sì e no, un ettaro di superficie a pomodoro. Quello che serve per la nostra casa. Mi chiede che passata di pomodoro mangiano i siciliani? Provi a rispondere lei”.

Tra i risultati ottenuti dall’elite globalista, per dirla sempre con Fusaro, non c’è soltanto lo sfruttamento di manodopera a basso costo, messa a disposizione dei ‘caporali’: c’è anche la crisi dell’agricoltura e l’arrivo, sulle nostre tavole, di prodotti dannosi per la nostra salute.

 

 

 

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