Perché, oggi, per la Sicilia, è importante ricordare la figura di Antonio Canepa

3 giugno 2019

Il 17 giugno, come ogni anno, ricorderemo il grande Antonio Canepa. Fondatore dell’EVIS, Canepa era il vero leader degli Indipendentisti siciliani. E’ dopo la sua morte – come ricostruisce bene l’autore di questo articolo – che si arriverà alla tregua tra Sicilia e Italia: è dopo la sua morte, ancora oggi mai del tutto chiarita, che prenderà il via il grande inganno dell’Italia, costretta a cedere sull’Autonomia siciliana che lo stesso Stato italiano si rimangerà, complici gli ”ascari’ siciliani   

di Fabio Petrucci

La figura di Antonio Canepa, il pensatore e il guerrigliero, il docente universitario trasformatosi in comandante dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS), è tra le più complesse ed importanti della storia del Novecento siciliano. La vicenda umana del docente nato a Palermo nel 1908 e morto in circostanze mai pienamente chiarite in località Murazzu Ruttu, nei pressi di Randazzo, il 17 giugno 1945, si inscrive nella più ampia vicenda politica del Separatismo siciliano degli anni Quaranta del secolo passato.

Un fenomeno, quest’ultimo, certamente complesso e non privo di contraddizioni, ma che con superficialità ed ingiustizia è stato troppo spesso etichettato come parentesi estemporanea, se non addirittura eterodiretta da qualche potenza internazionale. Un fenomeno il cui significato autentico e profondo, viceversa, è rintracciabile solo in quella che potremmo definire la “costante indipendentista della storia siciliana”; una costante che lo stesso Canepa, nel suo famoso pamphlet “La Sicilia ai Siciliani”, illustrò brillantemente.

La Sicilia in cui si consumò l’ultimo atto della vicenda umana e politica del professor Antonio Canepa era una terra giunta allo stremo, nella quale la morte e la fame provocate dalla Seconda Guerra Mondiale costituivano soltanto l’ultima pagina di un dramma lungo ottant’anni: il dramma della Sicilia sotto il tallone del Regno Sabaudo.

Se si presta attenzione agli eventi della storia isolana dall’annessione del 1860 al periodo interbellico, infatti, emerge con forza l’immagine di un popolo assai restio a rinunciare alla difesa dei propri diritti e della propria identità; un popolo altresì umiliato ed avvilito dalla povertà, dall’emigrazione, dall’esplosione del fenomeno mafioso e dall’arretratezza indotta: tutte conseguenze della riduzione dell’Isola a colonia interna del Nord Italia.

Dalla rivolta di Castellammare del Golfo del 1862 al più celebre tentativo rivoluzionario del “Sette e Mezzo” avvenuto a Palermo nel 1866, dall’emersione di una forte fazione “regionista” all’interno dell’elité politico-culturale siciliana all’eroica parentesi dei Fasci Siciliani fino ad arrivare alle numerose iniziative editoriali, culturali e politiche susseguitesi sin dentro l’epoca fascista, la storia pullula di esempi utili a dimostrare quella che lo storico Santi Correnti ha definito «una continuità ideale nel pensiero politico dei siciliani, per la difesa degli interessi e dei diritti della loro isola».

Un dettaglio non sfuggito all’occhio attento di Antonio Gramsci, per il quale «la Sicilia ha dimostrato in numerose occasioni di vivere una vita a carattere nazionale proprio, più che regionale (…) La verità è che la Sicilia conserva una sua indipendenza spirituale…»

Questo, quindi, il contesto in cui maturò – al crepuscolo del fascismo (da Canepa avversato per anni e in vari modi) – l’imponente ondata del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia: un fronte trasversale di cui il carismatico Antonio Canepa rappresentò l’anima socialista e rivoluzionaria, convinto che l’emancipazione delle classi subalterne dell’Isola passasse necessariamente dalla conquista dell’indipendenza politica. In tal senso, Antonio Canepa, al pari di altri “partigiani” di lotte anticolonialiste, fu sostenitore della necessità storica di tenere assieme “questione nazionale” e “questione sociale” come anelli di una stessa catena.

Fu con questo spirito che nel febbraio del 1945 Canepa, con lo pseudonimo di Mario Turri, diede vita all’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia, concepito come un’armata di liberazione nazionale e rivoluzionaria. Fu con questo spirito che, dopo una vita avventurosa e vissuta pericolosamente, Canepa affrontò la morte, giunta improvvisa il 17 giugno 1945, nel corso di un conflitto a fuoco con i Carabinieri del Regno d’Italia durante il quale perirono anche i due giovanissimi guerriglieri indipendentisti Carmelo Rosano (22 anni) e Giuseppe Lo Giudice (18 anni).

Ad oltre settant’anni di distanza, una fitta nebbia di mistero continua ad aleggiare sulle dinamiche della strage e sugli interessi politici (anche internazionali) che potrebbero averla determinata. Quel che è certo è che, con la morte di Canepa, il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, giunto al culmine della sua popolarità e della sua forza, perderà ben presto mordente. Alla Sicilia insorta verrà offerto un “armistizio” sotto forma di Statuto speciale, con un’Autonomia sulla carta molto ampia, ma di fatto destinata ad esiti ingloriosi ed infausti.

Con gli occhi dell’infelice Sicilia del 2019 gli indipendentisti siciliani non possono che continuare a guardare ad Antonio Canepa, al di là delle ideologie di riferimento e del mutato contesto storico, come ad una delle figure più influenti della storia siciliana degli ultimi duecento anni. Una figura che meriterebbe ben altra considerazione da parte della storiografia e che certamente rientra a pieno titolo nel Panthéon dei Siciliani non solo illustri, ma anche e soprattutto liberi e fieri, di cui la nostra Isola ha tanto bisogno di conservare ed anzi rinnovare il ricordo.

Foto tratta da gazzettinonline.it

 

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