La ‘traduzione’ dell’astensionismo siciliano e la richiesta di un partito del territorio

28 maggio 2019

I risultati delle elezioni europee nella nostra Isola ci dicono che il 65% dei siciliani non si è fatto ingannare. E’ arrivato il momento di riunire le forze siciliane esistenti – da anni divise, individualiste, parcellizzate in mille protagonismi – davanti ad un tavolo per programmare quella rivoluzione politica che la gente di Sicilia ha fatto capire di domandare a gran voce

da Eugenio Preta
riceviamo e pubblichiamo

Dopo sondaggi, exit pool, elucubrazioni dei politici di servizio ed i risultati che avranno fatto pure la gioia di qualcuno e la disperazione di qualcun altro, un dato incontrovertibile che proviene dall’Isola è dato dal forte astensionismo: solo il 36% di votanti, abbacinati da un un malinteso senso civico (la solita solfa del dovere di votare per non lasciare scegliere agli altri – infatti, cosa fatta – eccetera), ci dice che il 65% dei siciliani non si è fatto ingannare.

Un dato che testimonia una disaffezione evidente, ancora più sconvolgente se consideriamo le schede nulle e quelle bianche, computate anch’esse nel conto complessivo dei votanti. Significa che 2 siciliani su 3 hanno detto no alle segreterie dei partiti che si sono costruiti una legge elettorale su misura, una prevaricazione a cui la Consulta non ha avuto il coraggio di rimediare, anzi ne ha avallato l’invenzione della soglia di sbarramento del 4% su base nazionale, colpendo soprattutto la nostra Isola dove è stato reso impossibile presentare una lista identitaria e sicilianista.

Non si trattava solo di riuscire a superare, poi, la soglia di sbarramento. Già a monte la difficoltà evidente sarebbe stata quella di raccogliere 30.000 firme in Sicilia, moltiplicate poi per tutte le altre 4 circoscrizioni, 150.000 firme come prevede la legge.

It’s Time now Got a Revolution”, come cantavano i Jefferson airplane di Grace Slik prima di diventare astronavi è arrivato il momento di avviare la rivoluzione: è arrivato il momento di riunire le forze siciliane esistenti – da anni divise, individualiste, parcellizzate in mille protagonismi – davanti ad un tavolo per programmare quella rivoluzione politica che la gente di Sicilia ieri ha fatto capire di domandare a gran voce.

L’elezione del nuovo Parlamento europeo veicolata dai media per interi mesi come la lotta dei buoni contro i cattivi ha detto solo che la Sicilia è rimasta al palo, con qualche eurodeputato eletto sovente con i resti dei voti, per gentile concessione del partito centralista.

Pochissime voci autoctone, vietate ope legis.

Il territorio siciliano – le esigenze della sua gente già mai curate dagli eletti nazionali – ancora oggi non avrà voce in capitolo nel contesto europeo: l’Isola, uniforme, rimane Figlia di un Dio minore, ritenuta semplicemente terra di serie B, il Meridione, variegato, difforme, di proporzioni variabili, sicuramente vedrà gente nata e cresciuta in quel territorio.

Basta però con le assimilazioni improprie. Siciliani con le bende sugli occhi si sono entusiasmati per Salvini o per Meloni e li hanno votati senza invece capire che avrebbero portato solo voti nella padella di quei partiti, certamente non in Sicilia (senza dimenticare la Sardegna ) che poi avrebbero distribuito i posti disponibili a loro piacimento.

L’astensione siciliana ha raggiunto paradossalmente anche il risultato di vedere ridotta di un’unità la rappresentanza attribuita alla circoscrizione a causa proprio della stessa astensione registrata.

Adesso servirebbe una Grande Assise dei movimenti sicilianisti esistenti, senza cominciare a porre i paletti del sarcasmo e del disfattismo, includendo in un discorso globale tutti quelli che hanno a cuore le sorti di quest’Isola ed hanno dato prova comprovata di non averla mai venduta all’oncia.

Basta con le assimilazioni gratuite. A scanso di equivoci iniziamo a mettere dei paletti con il ribadire che Sicilia non è Sud. Essere Sud vorrebbe dire far parte di un’entità che ha un Nord, ma anche un Centro, quindi essere sempre accorpati a qualcosa che alla fine è distante sia geograficamente sia ideologicamente o culturalmente: essere Sud sempre di qualcosa, altro da sé, perciò.

Sicilia è Sicilia e basta. Non ci va di continuare a vivere nella confusione e nell’arruffata congerie meridionalista; non ci stiamo, noi siamo popolo, da soli, senza aggettivi. Anzi saremmo anche Nazione…, non abbiamo niente a che vedere con calabresi o campani o pugliesi, se non l’assimilazione, che il Nord ha sempre scientemente favorito, equiparando tutto il Sud a paritarie condizioni di povertà, di sottosviluppo, di necessaria emigrazione, talvolta di inaffidabilità che coincide spesso, nella vulgata corrente, con l’innatismo criminale.

(Un Mengele del Nord, Cesare Lombroso, è divenuto luminare delle scienze criminali per una teoria, ancora oggi vergognosamente celebrata, che identifica nelle caratteristiche somatiche del meridionale l’archetipo del criminale).

Il voto di ieri ci lascia ancora non rappresentati come entità particolare in Europa: perché i nostri problemi possano avere una certa rilevanza e possano venire portati all’attenzione del tempio istituzionale sarà necessario ricorrere all’opera benevolente di qualche eletto centralista .

Notiamo che al Nord, di questo Sud, cui sono affibbiati come peculiarità particolari termini come mafia, ‘ndrangheta, camorra o sacra corona, rimangono esclusivamente termini sudisti e meridionali, antichi briganti, lasciando perbenismo e buona educazione regnanti in questo Nord altezzoso, esente da malaffare fino a quando questo Sud non si insinua nei gangli di quella società tanto da inquinarla e creare corruzione e crimine.

Ribadiamo e controfirmiamo: il Sud dell’Italia non è Sicilia.

Usciamo finalmente dalla mistificazione duo-sicilianista che ci portiamo dietro quasi fossimo un tutt’uno; ricordiamoci dei moti del 1820, di Paternò Castello, della sanguinosa repressione del generale napoletano Florestano Pepe, e ancora dei moti del 1848 e del re Bomba, Ferdinando che bombardò dal mare l’insorta Messina. Con il Regno detto delle Due Sicilie, i siciliani non sono mai andati d’accordo, storicamente, quindi basta con le mistificazioni.

Le elezioni, a detta di titolati esperti di demoscopia, che dimenticano però la malafede dei partiti centralisti, si vincono al Sud.

Ma facciamo attenzione: paradossalmente i territori di questa Sicilia, oggi tanto decantati e perseguiti, costituiscono un’ultima frontiera, l’eldorado della politica che, perdute le antiche ideologie e suddivisioni, si sforza di trovare nuovi motivi per sollecitare la gente e carpirne la buonafede.

Non restiamo qui a ricordarvi il vecchio federalismo pattizio siciliano (1946) da non confondere col nuovo federalismo municipale leghista, ma le ragioni del buon Niccolò sono ancora valide e per giustificare i mezzi si inventano nuove alchimie: i partiti del Sud. Salvini, quindi, Meloni, Berlusconi e tanti altri, proprio per allargare la possibilità di incidere, di guadagnarsi potere, e naturalmente prendere per il naso, sempre e comunque, noi siciliani.

Foto tratta da siciliand.om

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