A 27 anni dalla strage di Capaci: il ricordo non diventi occasione di miseri scontri elettorali

20 maggio 2019

Intanto non sono mancati i passi avanti. Ci siamo liberati della finta antimafia che assegnava patentini di legalità, gestendo e accrescendo il proprio potere all’insegna dell’illegalità. E se la verità sulle stragi del 1992 non è ancora emersa, è importante, nel ricordare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, evitare le strumentalizzazioni elettorali 

di Adriana Vitale

Ventisette anni sono passati da quel 23 maggio 1992 di sangue e bombe. Come ogni anno, da allora, si avvicinano i giorni delle commemorazioni, nel ricordo di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Fiumi di parole sono state riversate da allora, salvo alcuni casi, privi di significato e sostanza, intrisi d’ipocrisia, talmente evidenti da provocare nausea e rigetto. Il nome di eroi usate come foglie di fico, nel misero tentativo di nascondere brutture e lordure.

Non diventi, oggi, scontro politico, non è questo il luogo. Non diventi becera propaganda elettorale, non è questa l’occasione. Non diventi terreno di scontro ideologico, non è questo il tema. Giù le mani dalla memoria collettiva del dolore e del ricordo che appartiene a tutti.

Sarebbe intollerabile l’uso propagandistico/politico. Sarebbe solo offendere la memoria di veri uomini coraggiosi che hanno fatto della lotta politico/mafiosa il loro vessillo fino all’estremo sacrificio. Non sia un’altra occasione persa per cambiare, per migliorare, per trarre insegnamenti e aggiustare il tiro, per dire mai più.

Un altro anno è passato dall’ultima commemorazione e l’albero di Falcone tra non molto si vestirà a festa. Un solo unico giorno all’anno per ricordare, con tanto di retorica, di passerella e d’ipocrisia, la vita di un eroe. Un solo giorno, tutti gli altri giorni, uomini senza scrupoli si sono nutriti di un potere parallelo con la semplice aggiunta “anti”. Come dimenticare chi non perdeva occasione per rinnovare la patente “antimafiosa”?

Nessuno è immune della responsabilità della loro morte, il mal costume li ha uccisi, tutti abbiamo pigiato il telecomando che ha provocato la strage e lo facciamo ogni volta che taciamo, ogni volta che prostituiamo la nostra libertà per un misero favore, ogni volta che vediamo frodare lo Stato e ci voltiamo da un’altra parte.

Siamo noi che nutriamo in maniera miserabile chi vive dei nostri consensi. Il sistema politico/mafioso non si sconfigge con le manifestazioni a cadenze annuali, che hanno il solo sapore ipocrita di chi gode della passerella di prima donna o di chi pronuncia la frase più originale. La mafia si sconfigge con il lavoro per tutti; la mafia si sconfigge con un sistema scolastico adeguato ai tempi e degno di tale nome, in luoghi dignitosi e accoglienti per i nostri ragazzi; la mafia si sconfigge cancellando dal vocabolario la parola omertà; la mafia si sconfigge colpendo la corruzione e l’evasione, risorse che andrebbero allo sviluppo in un Paese civile.

La mafia si può sconfiggere, basta cambiare gli usi e i costumi che l’alimentano, basta comprendere che i diritti dell’uomo non sono favori.

L’estremo sacrificio di questi uomini, nel recente passato, è stato ridotto, da una certa antimafia, a patente e distintivo su cui taluni figuri hanno costruito carriere e potere: ebbene, non diventi, oggi, occasione di miseri scontri elettorali.

Non si perda l’opportunità di costruire la speranza attraverso la meditazione composta e sobria. Ognuno di noi si carichi sulle spalle lo stesso fardello del giudice Falcone e, in nome della legalità, faccia camminate sulle proprie gambe le idee di chi si è sacrificato per migliorare la nostra vita, per coltivare la grande speranza di poter raccontare ai nostri figli, un giorno non lontano, una storia che inizia: “C’era una volta la mafia…”.

Foto tratta da ultimatv.it

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