Agricoltura del Sud in crisi: controlli sul lavoro sì, controlli sui prodotti no/ MATTINALE 258

3 maggio 2019

Il tema che affrontiamo oggi è spinoso. Perché di mezzo c’è lo sfruttamento sul lavoro, anche minorile. Ma nascondere la testa sotto la sabbia non serve a nulla. Perché se è vero che il ‘caporalato’ e, in generale, lo sfruttamento del lavoro in agricoltura va combattuto, va trovato anche il modo per tutelare gli agricoltori e i consumatori italiani. Questione molto presente nel Sud Italia e in Sicilia  

L’economia di Un Paese si distrugge con le leggi di uno stesso Paese. Sembra una battuta, ma purtroppo più diventare realtà. Soprattutto se, di mezzo, c’è la globalizzazione dell’economia, che mette a confronto realtà produttive diverse, frutto di culture, condizioni economiche e sociali e di leggi diverse.

Nei giorni scorso, su questo blog, Alessandro Mauceri ha raccontato come, oggi, il mondo faccia finta di non vedere lo sfruttamento di milioni di bambini ridotti a schiavitù. Il 16 aprile è stata la giornata che avrebbe dovuto impegnare tutti i cittadini del mondo a riflettere sul fatto che, oggi, milioni di bambini, invece di giocare e andare a scuola, vengono sfruttati come veri e propri schiavi per poi vendere i beni nei Paesi cosiddetti industrializzati (QUI L’ARTICOLO DI ALESSANDRO MAUCERI).

Lo sfruttamento del lavoro minorile ha due effetti. Da un lato distrugge la vita di milioni di bambini; dall’altro lato mette in difficoltà quei Paesi dove certi beni di consumo vengono prodotti nel rispetto della dignità umana.

In alcuni Paesi del mondo il costo del lavoro è più basso a prescindere dall’eventuale sfruttamento del lavoro minorile.

Noi, oggi, proviamo ad esaminare gli effetti di questi diversi costi di produzione in agricoltura. E’ un tema che i nostri lettori conoscono molto bene, dal momento che, ormai da anni, l’agricoltura del Sud Italia, con riferimento all’ortofrutta, è sotto scacco proprio per l’invasione di prodotti esteri che costano molto meno dei nostri prodotti.

Ci sono esempi che I Nuovi Vespri ha più volte sottolineato. Il pomodoro, fresco e trasformato, è uno di questi. L’Italia è letteralmente invasa da pomodori freschi e da passata di pomodoro esteri (cinesi e nord africani).

In alcuni casi – e questo è veramente paradossale – i pomodorini Datterini del Camerun sono arrivati anche a Pachino, la cittadina siciliana nota per il Pomodorino e per il Datterino di Pachino! (QUI IL NOSTRO ARTICOLO).

Il fenomeno più eclatante, quest’anno, si sta verificando con l‘olio d’oliva extra vergine italiano. Lo scorso anno la produzione italiana di olive, per avverse condizioni climatiche, ha subito una riduzione del 50-60%. La conseguenza logica è che la produzione di olio d’oliva extra vergine di quest’anno (che è il frutto della produzione di olive dello scorso anno) si è ridotta del 50-60%.

E’ noto che, quando l’offerta di un bene si riduce il prezzo aumenta. Quest’anno l’olio d’oliva extra vergine italiano – che poi è olio d’oliva extra vergine che, per il 90%, viene prodotto nel Sud Italia, e precisamente in Puglia, in Calabria e in Sicilia – a ‘bocca di frantoio’, cioè nei luoghi di produzione, si vendeva ad un prezzo che oscillava tra 10 e 12 euro al litro.

Ebbene, com’è possibile che, in questo momento, i centri commerciali italiani siano pieni di bottiglie di olio d’oliva extra vergine ‘italiano’ del costo di 7 euro al bottiglia, 6 euro a bottiglia, 5 euro a bottiglia e anche a 4 euro a bottiglia, sempre da un litro?

C’è o no qualcosa che non funziona?

Siamo arrivati al cuore del problema. In certi Paesi del mondo, vuoi perché c’è lo sfruttamento minorile, vuoi perché c’è lo sfruttamento di comuni lavoratori, vuoi perché le condizioni economiche sono diverse (vuoi perché, nel caso dell’agricoltura, in certi Paesi si utilizzano pesticidi molto efficaci, ma dannosi per la salute umana) i costi di produzione sono molto più bassi.

Ne sanno qualcosa i produttori siciliani di pomodoro di pieno campo, che si confrontano con Paesi dove il costo del lavoro è inferiore dell’80-90%.

Ne sanno qualcosa i pastori sardi e siciliani, che si confrontano con i pastori rumeni, ovvero con un Paese dell’Unione europea – la Romania – dove produrre il latte di pecora il latte di pecora costa molto meno che in Italia.

A questo problema si aggiungono altri due problemi. Il primo l’abbiamo già accennato: l’uso della chimica ‘pesante in agricoltura, che in Italia è vietato da anni e in certi Paesi, invece, non è vietato. Chi fa ricorso a certi pesticidi è avvantaggiato, perché produce a costi più bassi rispetto all’Italia.

Se poi si sommano due elementi: costo del lavoro più basso e possibilità di utilizzare pesticidi che in Italia sono vietati, i nostri produttori sono perdenti in partenza.

E infatti alcuni prodotti cominciano a non essere coltivati, perché non è più conveniente.

Quando un produttore di pomodoro di pieno campo della Sicilia deve rispettare precise regole agronomiche e deve pagare un operaio avventizio quasi 80 euro al giorno e, se non è in regola con tutto questo, rischia di pagare multe salatissime, è chiaro che la nostra agricoltura è sata tagliata fuori dal mercato.

Cosa bisognerebbe fare? Avallare lo sfruttamento dei lavoratori extra comunitari e tornare al Ddt per eliminare i parassiti? Certamente no!

Con i fondi europei si potrebbe ridurre il costo del lavoro. E, contestualmente, si potrebbero avviare i controlli sulle derrate alimentari che arrivano in Sicilia dai Paesi esteri. Davvero è impossibile controllare la quantità e la qualità dei residui di pesticidi e di erbicidi contenuti nell’ortofrutta che arriva dai Paesi esteri?

Non è impossibile: ma non si fa. Perché – questa è la ‘musica’ della globalizzazione dell’economia – così facendo si bloccherebbe l’economia…

Sapete perché non vengono controllati i carichi di grano che arrivano in Italia dall’estero con le navi? Perché queste navi che viaggiano in mare per quindici-venti giorni di fila non possono restare ferme in un porto italiano per due o tre giorni, perché il grano che non si è rovinato per quindici-venti giorni di navigazione, guarda che caso, si ‘rovinerebbe’ restando bloccato due o tre giorni per i controlli sanitari!

Tutti sappiamo che il grano che arriva con le navi è trattato con prodotti chimici (come farebbe e restare venti giorni in una stiva senza trattamenti chimici?), ma facciamo finta di niente.E la nave va, si potrebbe dire…

Ricordiamoci che quando leggiamo su un giornale che in una Regione italiana del Centro Nord Italia o del Sud Italia è stata scoperta un’azienda agricola con lavoratori in nero è stata sì eliminata un’ingiustizia ma, contemporaneamente, sono state create le condizioni per far entrare in Italia prodotti agricoli esteri senza alcun controllo sanitario.

Ultima domanda: cos’ha fatto, fino ad oggi, la politica siciliana per affrontare questo problema? Nulla!

Gli agricoltori siciliani se lo ricordino quando, tra qualche settimana, verranno chiamati a votare per il rinnovo del Parlamento europeo. sappiano che quegli esponenti della vecchia politica siciliana che oggi gli chiedono il voto sono gli stessi che li hanno condannati all’attuale condizione di crisi.

Foto tratta da latinatoday.it

 

 

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