San Biagio Platani tra strade e case abbandonate, ma con il miracolo degli Archi di Pasqua

12 aprile 2019

Già, il miracolo. Perché proprio di un miracolo si tratta, se è vero che un piccolo centro dell’entroterra della Sicilia, nel cuore dell’Agrigentino, con le strade cadenti e le case con le porte sbarrate da chi ha dovuto lasciare il proprio paese alla ricerca di un lavoro fuori dalla nostra Isola, a un certo punto, quando si approssima la santa Pasqua ritrova la forza per far vivere una tradizione: la tradizione degli Archi di Pasqua

di Adriana Vitale

San Biagio Platani, piccolo paese dell’entroterra siciliano, devastato dalla crisi, quasi isolato da strade fatiscenti, case on le porte sbarrate in ogni strada e vicolo, che ha visto partire intere famiglie e con esse un pezzo di economia, scuole ridotte ad un unico corso. Non esiste una famiglia che non abbia subito la devastante e massiccia emigrazione. Non esiste madre che non ha subito lo strappo di un figlio, su cui ha investito per regalarlo a chi può offrirgli una vita dignitosa, e in nome di questo amore gratuito si priva del proprio bene avvertendo una lacerazione intima, dolorosa, inenarrabile mentre sorride e inghiotte lacrime amare consapevole che l’unica festa, da quel momento in poi, sarà “La festa del ritorno” per poi continuare a inghiottire lacrime amare e rinnovare la pena del distacco, verso la quale non esiste antidoto capace di lenire il bruciore di una ferita che mai si rimarginerà.

Un paese che, come tanti altri, trascorre le proprie giornate con un lento incedere, quasi rassegnato, che non riesce a trovare alcuno stimolo per ritrovare se stesso, la propria vivacità, il gusto del bello e dello stare insieme. Strade deserte, qualche avventore nei bar e null’altro, fino a quando uno scossone risveglia le coscienze e nasce la voglia di fare, la voglia di reagire, la voglia di rimettersi in gioco per rivivere l’antico orgoglio. Non si guarda appartenenza, non si guardano interessi, si guarda ad un solo ed unico obbiettivo: scrollarsi di dosso l’apatia, ritrovare la voglia di vivere e l’orgoglio, mettere insieme anime, capacità, desiderio di esprimere ciò che per troppo tempo è rimasto chiuso nell’anima e che bussa ed esplode, la voglia di ritrovare lo spirito antico.

Ed ecco che il popolo si rialza e opera il miracolo, alimenta il culto della bellezza, della tradizione, della cultura. Qualcuno sostiene che non si mangia cultura, ma non è così, forse, anzi certamente, il riscatto di un popolo impedirà che altre case si chiuderanno e che si bloccherà quella che è stata un’emorragia inarrestabile. La cultura è l’arte del bello che ha come effetto collaterale il risveglio di un economia, al momento una “manna” per contrastare la povertà e perché no anche dello spirito e la gioia di vivere. Il miracolo degli “Archi di Pasqua”. Che sia un esempio per tutti.

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