L’amara polvere della dignità

2 aprile 2019

La scriveremo la storia della nostra odissea, perché rimanga nella memoria di tutti noi e sia da monito a chi si crede immune. Noi che abbiamo attraversato le pene dell’inferno a causa di chi ha deciso di toglierci la normalità e la dignità del lavoro che rende libero l’uomo. Libero dal non mendicare e di scegliere, libero dalle catene del bisogno, libero di vivere. Sì, la scriveremo questa storia, che è la nostra, di tante, troppe creature che non si sono mai arrese

di Adriana Vitale

Come ogni notte, ormai da molto tempo, ci svegliamo e proviamo sempre la disarmante sensazione di vivere legati, avvolti da robuste catene, che privano i movimenti, e delle quali con forza e determinazione vorremmo liberarci, ma più cerchiamo di svincolarci, più ci sentiamo stringere.

Quando si perde il lavoro, inesorabilmente questo stato di cose, trascina con sé la perdita della libertà e con essa rischi di perdere la dignità e quando si perde la dignità si è costretti a vivere come un mendicante, un ostaggio, un prigioniero e comprendi che la tua vita è nelle mani altrui. Ed è allora che cominci a lottare e lo fai in nome di una libertà che possa riconsegnarti la dignità e non farti più mendicare.

La dignità di un uomo si misura con la libertà di essere solo padroni di se stessi. Poco importa se i nemici sono tanti, poco importa se la strada è in salita, poco importa se durante il cammino si presenterà una strada irta che ti farà cadere mille volte, che ti lacererà il corpo e con esso l’anima, umiliandola e mortificandola. Hai un dovere preciso, ed è quello di rialzati e continuare a camminare, alla fine troverai la libertà.

A volte ci chiediamo se ne è valsa la pena, se è giusto che altri debbono godere dei sacrifici altrui, specie dopo che ti puntano, che ti schiaffeggiano, che sminuiscono i tuoi sacrifici, che deridono, che ti sputano addosso, che tutto gli è dovuto e alla fine, magari, credono che certi risultati si raggiungono per virtù di chissà quale miracolo.

Sì, nello sconforto, ti poni queste domande, ma poi te ne fai una ragione perché ti guardi allo specchio e vedi orgoglio, interroghi la tua coscienza e vedi onestà e correttezza. Puoi guardare i tuoi figli negli occhi e non vergognarti, puoi camminare a testa alta.

Non ci siamo mai fermati da quattro anni a questa parte. Sentiamo la stanchezza sulle gambe per quanto abbiamo camminato, per tutte le volte che siamo stati in piedi ore e ore ad aspettare una notizia che potesse alleviare la fatica, qualche notizia che potesse giustificare gli indescrivibili sacrifici.

Quanto dolore sulle gambe stanche di chi non si è mai fermato, di chi non ha mai voluto accettare che la propria dignità fosse calpestata e umiliata, di chi ci ha sempre creduto. Quante speranze infrante. Quante delusioni. Quante promesse disattese.

Ma siamo sempre qui con le nostre fatiche, per urlare BASTA, per dire che a tutto c’è un limite. Se potessero parlare le piazze che abbiamo calcato, racconterebbero le lacrime di dolore che hanno solcano i nostri visi e un vissuto che pesa sulle nostre gambe stanche. Portiamo comunque dentro di noi l’orgoglio di aver difeso il nostro domani a mani nude.

Armati di coraggio abbiamo, giorno dopo giorno, indossato l’abito più bello, quello della festa, impreziosito di onestà, correttezza, civiltà, orgoglio. Non è comunque finita, abbiamo la consapevolezza che le nostre gambe stanche devono ancora camminare, ma con l’auspicio che possano percorrere strade in discesa dopo tante salite e finalmente fermarsi, riposarsi.

Questi sono i pensieri di tante, troppe creature che sentono sulle proprie gambe la fatica per quanto hanno camminato. Siamo ad un miglio, un solo miglio che si chiama speranza e coraggio, un miglio fatto di digiuno e di notti all’addiaccio per cibarsi e dormire al caldo domani: percorriamolo con fierezza, forza e determinazione, troveremo un nastro, un nastro da spezzare che si chiama libertà.

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