La Sicilia cade a pezzi e il presidente Musumeci pensa al Ponte di Messina!/ MATTINALE 322

27 marzo 2019

Invece di pensare alle autostrade e alle strade che cadono a pezzi, il presidente della Regione butta fumo negli occhi dei siciliani rilanciando l’eterna questione del Ponte di Messina. Un tentativo un po’ goffo per non affrontare le questioni di fondo della Sicilia di oggi: ovvero la questione finanziaria, la viabilità al collasso, la sanità pubblica allo sbando e l’agricoltura siciliana massacrata dalla globalizzazione dell’economia

Slogan e fughe in avanti per gettare fumo negli occhi dei siciliani in vista delle imminenti elezioni europee. Così il Governo regionale di Nello Musumeci intende andare avanti fino a quando non si chiuderanno le urne che ci diranno i nomi dei nuovi eletti del Parlamento di Strasburgo.

In queste ore assistiamo al rilancio grottesco del Ponte sullo Stretto di Messina. Cavallo di battaglia nel Sud alle elezioni politiche del 2001, diventato il simbolo della presa in giro di Silvio Berlusconi nei riguardi dei meridionali (s’ammuccarunu i picciuli della progettazione, più il pagamento delle ‘penali’, il resto è rimasto sulla carta: una beffa per il Sud!), il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria torna in auge in queste ore, proprio mentre la Sicilia cade a pezzi.

Pensate un po’ che cosa dobbiamo sentire nella primavera del 2019 mentre l’autostrada Palermo-Catania è un disastro, mentre l’autostrada Palermo-Messina si sbriciola, mentre le frane sono ormai all’ordine del giorno (l’ultima a Porto Empedocle, provincia di Agrigento, nel cuore del centro abitato), mentre le strade a scorrimento veloce sono spesso impercorribili, mentre le strade provinciali, in molti casi, non esistono più, con problemi enormi per i cittadini e per le imprese (soprattutto per gli agricoltori).

Mentre succede tutto questo il presidente di una Regione con enormi problemi finanziari (provocati, in massima parte, dal precedente Governo regionale di centrosinistra, ma anche dalle mosse ‘tattiche’, rigorosamente errate, dello stesso presidente Musumeci) che cosa fa? Lancia l’idea di un referendum sul Ponte sullo Stretto di Messina!

Abbiamo scritto che il rilancio del tema onte di Messina è grottesco: ci siamo sbagliati: siamo, infatti, al di là del grottesco, al di là del ridicolo, oltre tutto ciò che di tragicomico è immaginabile.

E’ vero, il presidente Musumeci è a corto di argomenti. Ha annunciato che il suo Movimento – Diventeràbellissima – non svolgerà un ruolo attivo alle elezioni europee. Tra l’altro, da quello che fino ad ora si è capito, Forza Italia, alle elezioni europee, farà a meno di candidati catanesi, visto che – così almeno si dice fino ad oggi – non sarà in lista l’ex parlamentare nazionale Basilio Catanoso, da sempre molto vicino all’attuale sindaco della città Etnea, Salvo Pogliese.

Fuori dalle elezioni europee, Musumeci ha comunque l’esigenza di nascondere una Regione siciliana senza soldi: una Regione che, sulla manovra economica e finanziaria 2019, andrà sicuramente allo scontro con il Governo nazionale.

In ballo ci sono, infatti, i 2,1 miliardi di euro di ‘buco’ che non possono essere ‘rateizzati’ in 30 anni (QUI UN NOSTRO ARTICOLO). Come scriviamo spesso, la legge voluta dal Governo Renzi nel 2016 non si può applicare dopo l’intervento della Corte Costituzionale. E la Regione siciliana, che gli piaccia o no, dovrà tornare alla legge Monti del 2012, ‘spalmando’ in dieci anni i 2,1 miliardi di euro.

La ‘botta’ si annuncia pesante, perché la Regione, oltre alle ‘rate’ dei mutui che già paga ogni anno (li paga ancora con i soldi della sanità pubblica siciliana? questa è una bella domanda alla quale dovrebbero rispondere le opposizioni, giusto per fare sapere ai siciliani come stanno le cose), per un indebitamento di oltre 8 miliardi di euro, dovrà aggiungere altri 210 milioni all’anno per dieci anni.

Anche se di queste cose non parla quasi nessuno non significa che il problema non sussista: viene solo tenuto nascosto.

Come nascosto viene tenuto lo stesso problema per i Comuni siciliani in dissesto e che si accingono a dichiarare lo stesso dissesto: i ‘buchi’ dei bilanci dovranno essere coperti con mutui decennali e non più trentennali.

In tutto questo ci sono anche le ex Province della nostra Isola, tutte rigorosamente senza soldi. I parlamentari nazionali e regionali siciliani di centrodestra – che nella passata legislatura, al pari dei loro colleghi di centrosinistra, tacevano quando il Governo Renzi svuotava le ‘casse’ delle ex Province siciliane non erogando più risorse, ma tenendosi, anzi, i fondi della RC Auto e imponendo alle stesse ex Province un folle prelievo forzoso annuale – improvvisamente ‘scoprono’ che Roma sta esagerando con le ex Province siciliane. E che dovrebbe essere eliminato subito il prelievo forzoso.

Su questo tema va detta la verità, perché continuiamo ad ascoltare ricostruzioni sbagliate, soprattutto da parte di qualche parlamentare nazionale di centrodestra che, o non sa come stanno le cose, o mente sapendo di mentire.

Alle ex Province siciliane, per andare avanti occupandosi delle competenze previste dalla legge Delrio, servono almeno 550 milioni di euro all’anno.

La Regione dice (ma noi non ci crediamo) di essere disposta a metterci poco più di 100 milioni di euro all’anno (togliendoli alla sanità pubblica?).

Se il Governo nazionale dovesse interrompere il prelievo forzoso, alle ex Province siciliane resterebbero poco più di 250 milioni all’anno. E siccome non sappiamo dove la Regione troverebbe i circa 100 milioni di euro all’anno (anche se noi lo immaginiamo, visto lo stato pietoso in cui è ridotta la sanità pubblica siciliana…), nella migliore delle ipotesi mancherebbero sempre poco più di 200 milioni di euro all’anno (con i 100 milioni della Regione trovati chissà come e chissà dove); mentre mancherebbero 300 milioni di euro all’anno nell’ipotesi ordinaria, che è la più probabile. 

Morale: con i 250 milioni di euro dell’eliminazione del prelievo forzoso le ex Province siciliane e l’attuale Governo regionale che le controlla manterrebbero in piedi la strutture per continuare a pagare il personale (oltre 6 mila dipendenti che non costano meno di 200 milioni di euro all’anno), più una cinquantina di milioni di euro per le ‘clientele ordinarie’.

Con poco più di 50 milioni di euro all’anno le ex Province siciliane forse arriverebbero ad assicurare il trasporto degli alunni disabili nelle scuole (a proposito: qualcuno ha mai approfondito questo tema? vi assicuriamo che sarebbe molto interessante…), il resto finirebbe in clientele più o meno elettorali.

Le strade provinciali resterebbero prive di manutenzione (non a caso la Regione continua a chiedere l’intervento di Roma: magari i soldi per gestirle in regime commissariale: cioè appalti a ruota libera); idem per gli edifici scolastici.

Questo è il motivo strettamente contabile per il quale noi auspichiamo il momentaneo fallimento delle ex Province siciliane e il trasferimento del personale altrove. 

Le ex Province dell’Isola non vanno eliminate, ma trasformate, secondo quanto prevede l’articolo 15 dello Statuto autonomistico siciliano, in veri Liberi Consorzi di Comuni: dove ogni Comune, autonomamente, sceglierà come organizzarsi con altri Comuni per dare vita a un ente territoriale intermedio, senza alcun vincolo di numero, nel senso che non è scritto da alcuna parte che i Liberi Consorzi di Comuni della Sicilia debbano essere nove: potranno essere anche due o quaranta: su questo tema Roma non ha motivo di intervenire.

Viabilità a pezzi, sanità allo sbando (NE ABBIAMO PARLATO IERI A PROPOSITO DELLO SCENARIO DELIRANTE CHE SI VIVE NEI PRONTO SOCCORSO DELLA NOSTRA ISOLA, CON UNA PROPOSTA PRECISA: TOGLIERE LA GESTIONE DELLA SANITA’ PUBBLICA ALLA REGIONE SICILIANA, CHE LA SUSA COME ‘BANCOMAT’ PER PAGARE SPESE CHE CON LA SANITA’ NON HANNO NULLA A CHE SPARTIRE), agricoltura in crisi: questi sono, per grandi linee, i problemi che il Governo regionale di Nello Musumeci dovrebbe affrontare, non il referendum sul Ponte sullo Stretto di Messina.

Ai cittadini siciliani va anche detto di stare molto attenti a quei politici che parlano di Project financing come la soluzione di tutti i problemi. Attenzione, perché le infrastrutture realizzate con fondi privati debbono essere comunque pagate e, in parte, remunerate, come stabilito da recente giurisprudenza.

Che significa questo? Che se un’opera pubblica – per esempio un parcheggio – viene realizzata in Project financing e poi si dimostra non redditizio, saranno i cittadini a pagare – con un aumento di tasse e imposte – il costo dell’opera e magari anche una parte della remunerazione.

Quindi quando il presidente della Regione, Musumeci, rilancia sul Ponte sullo Stretto di Messina ci dovrebbe spiegare con quali soldi intenderebbe avviare la realizzazione dell’opera.

Tutto questo, naturalmente, dopo aver prima sistemato strade, autostrade e ferrovie siciliane (a cominciare dai raddoppi), altrimenti il Ponte di Messina non servirebbe a nulla!

 

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