Quarantuno anni fa – 16 marzo 1978 – il rapimento di Aldo Moro: ripensando a quegli anni

16 marzo 2019

In questo articolo Antonio Piraino, che allora era un giovane studente di Economia e Commercio a Palermo impegnato nel movimento cattolico, ricorda quel giorno, quando, arrivando all’università, il bidello, con la radio tra le mani, gli comunicava la notizia. Le assemblee infuocate, gli scontri e l’Italia che ha perso una grande occasione per diventare un Paese più giusto

di Antonio Piraino

Per un gruppo di docenti e studenti universitari cattolici “di sinistra” il marzo 1978 era iniziato in modo magico: Moro aveva portato a compimento il grande disegno democratico di coinvolgere i comunisti nel governo di solidarietà nazionale; Piersanti Mattarella si apprestava a diventare presidente della Regione siciliana; dopo anni di presenza minoritaria, se non irrilevante, il Movimento Cattolico Università (MCU) teneva testa nelle assemblee e nelle piazze al variegato fronte del Movimento Studentesco.

La notizia della strage e del rapimento mi investi letteralmente mentre entravo in facoltà di Economia e Commercio dopo aver posteggiato la bici. “Piraino hanno rapito Moro, hanno fatto una strage” mi urlò il bidello con la radiolina incollata all’orecchio che sapeva del mio ruolo di rappresentante di facoltà “cattolico”.
In pochi minuti concordai la linea con gli amici: blocco delle lezioni, assemblea di Ateneo in facoltà. Con determinazione e rabbia per superare le perplessità di qualche collega e prof, ma il pieno appoggio di un preside grande scienziato “comunista”: Silvio Vianelli, che subito ebbe chiara la tragedia che si era abbattuta sul Paese e il dolore di noi giovani cattolici.

Nel frattempo da tutte le facoltà si convergeva in aula Magna dove i colleghi del movimento studentesco, in un clima di tensione, contestavano il nostro diritto a presiedere l’assemblea, fin quasi allo scontro fisico, evitato dalla mediazione e saggezza del capo degli anarchici, che riconobbe a sorpresa la legittimità della nostra richiesta: Gino Amodeo.

Fu un confronto drammatico. Da una parte noi ed i giovani comunisti usciti allo scoperto a richiamare la bestialità della strage e le ragioni dell’inedita alleanza governativa, dall’altra i colleghi del Movimento Studentesco a difendere le ragioni dell’attacco.

Dopo una decina di ore di dibattito ( insomma un’altra era glaciale), fu deliberato lo sciopero per la giornata successiva con il riconoscimento a noi cattolici ad aprire, come si esa soliti dire, la testa del corteo.
E così l’indomani sfilammo avanti ai sindacati in una delle più grandi manifestazioni della Città ripetendo ossessivamente:

“Erano fratelli e li hanno uccisi”.

Oggi, a 41 di distanza, resta chiara la consapevolezza che quel gruppo di “amici” che aveva in Piersanti Mattarella il leader di riferimento, capì subito a partire dal dolore, che cambiava la storia del Paese. E così è stato. Chi ha prima rapito e poi freddamente ucciso o permesso l’uccisione di Moro (si legga per tutti Il puzzle Moro di Giovanni Fasanella) ha colpito al cuore il più grande disegno riformatore del Paese dall’unità d’Italia.

Quale? Quello di un Paese inclusivo, fondato sulla mitezza, nel quale non c’erano nemici ma avversari, profondamente giusto sul piano sociale da Nord a Sud, dotato di una grande industria pubblica, capace di svolgere una politica estera autonoma, soprattutto in tutta l’Africa, per promuovere gli interessi italiani in sinergia (non predatrice) con quelli dei Paesi partner.

Insomma troppo per un Paese pur sempre uscito sconfitto dalla seconda guerra mondiale.

Foto tratta da vistanet.it

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