Le storie delle dighe di Rosamarina e Arancio e le intuizioni di Rino Nicolosi

12 dicembre 2018

Questo articolo del chimico e primo ricercatore al Consiglio Nazionale delle Ricerca (CNR), Mario Pagliaro, punta i riflettori su due grandi opere dell’ingegneria italiana realizzate in Sicilia. L’occasione per parlare di un grande presidente della Regione siciliana, Rosario ‘Rino’ Nicolosi, al quale si devono alcune grandi intuizioni che hanno consentito la modernizzazione della nostra Isola   

di Mario Pagliaro

Non avevano forse mai visto nulla di simile prima i tecnici della Regione siciliana verificando, pochi giorni fa, i dati relativi all’acqua raccolta in soli tre giorni, tra l’1 e il 4 Novembre, dal grande lago artificiale di Rosamarina: oltre 35 milioni di metri cubi portati dalle piogge cadute sui 500 chilometri quadrati di territorio che circondano il lago e che, grazie alla sua pendenza, permette la raccolta naturale delle acque piovane (il cosiddetto “bacino imbrifero”, foto di Davide Munì, da Google).

Il risultato è che l’invaso adesso contiene oltre 67 milioni di metri cubi d’acqua (pari ad oltre 67 miliardi di litri) sui 100 di capienza autorizzata. A consentirlo è l’omonima diga sul fiume San Leonardo voluta dalla Regione siciliana e inaugurata nel 1990 dal suo presidente pro-tempore: Rosario ‘Rino’ Nicolosi (nella foto sotto tratta da nuovosud.it)

Quando si insedia presentando il suo governo al Parlamento regionale nel Gennaio del 1985, Nicolosi trova i lavori di costruzione (iniziati nel 1980) interrotti dal 1983: lo resteranno fino al 1987, quando il suo governo (ne presiederà ben 5, fino all’Ottobre del 1991) contribuisce a sbloccarli.

In 3 anni, la diga è conclusa. Lo sbarramento della diga, alto ben 93 metri, è del tipo ad arco-gravità: un capolavoro di ingegneria di quelli che allora rendevano l’ingegneria e l’industria delle costruzioni italiane all’avanguardia mondiale.

Oltre a farne la più grande diga italiana “ad arco-gravità”, è proprio questo sbarramento che valorizza, dal punto di vista ambientale, le formazioni rocciose dolomitiche (per quanto incredibile possa sembrare, infatti, la Sicilia ospita anche rocce dolomitiche) e la bellissima morfologia della valle del fiume San Leonardo (la stretta gola fra ripide pareti rocciose di Rosamarina).

La scelta di realizzare una diga ad arco-gravità consente di minimizzare il dimensionamento delle opere, ed in particolare della struttura della diga, mentre i lavori condotti da una delle maggiori aziende italiane delle costruzioni preservano la bellezza ambientale e paesaggistica di un territorio dove oggi si svolgono anche attività sportive (sci nautico e pesca sportiva, le acque sono ricche di pesci) ed escursionistiche (il lago è costeggiato da una strada sterrata e nei dintorni si può visitare lo splendido paese normanno di Caccamo).

A quasi trent’anni dall’ultimazione, la diga si comporta esattamente come previsto dal progetto esecutivo firmato da ingegneri italiani e approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nell’Aprile del 1978: la struttura ha il comportamento elastico desiderato, con una deformazione massima della cresta verso valle di circa 14-17 mm in linea con i risultati del progetto che indicavano come massimo lo spostamento di 20-23 mm; mentre le sponde non hanno segnalato problemi di stabilità.

Come avviene con le altri grandi dighe italiane, infatti, la struttura della diga è costantemente monitorata con molteplici sistemi di misura. Dopo quasi 30 anni, la più importante attività di manutenzione straordinaria prevista è quella di ripristinare i dispositivi di drenaggio.

Palermo, addio alla sete – Quando nell’Ottobre del ’91 Nicolosi lascia il governo della Regione siciliana per candidarsi alla Camera alle elezioni del 1992 (per una legge regionale deve farlo 6 mesi prima delle elezioni), la diga Rosamarina non è ancora collegata all’acquedotto di Palermo.

Bisognerà attendere il Luglio del 2003 per l’entrata in funzione delle nuove condotte che portano l’acqua della diga anche a Palermo. Attraverso una galleria in pressione che si sviluppa per oltre 1 chilometro e mezzo nella falda Est del Monte Rosamarina l’acqua viene condotta a un manufatto sotterraneo dal quale la galleria si biforca: un ramo raggiunge la vicina vasca di carico Est; l’altro prosegue per 2 chilometri per raggiungere la vasca di carico Ovest.

Dalla vasca Est una condotta va a connettersi, dopo il trattamento dell’acqua nell’impianto di depurazione “Imera”, con l’Acquedotto Scillato per Palermo, poco distante da Buonfornello.

Dalla vasca di carico Ovest parte una condotta che invece raggiunge Casteldaccia e poi risale sino al depuratore di Risalaimi, poco distante da Misilmeri. Le acque, miscelate con quelle provenienti dall’invaso dello Scanzano al fine di ridurne l’alcalinità (le roccie di dolomite, chimicamente un carbonato doppio di calcio e magnesio, a contatto con l’acqua la rendono leggermente alcalina), vengono poi dirette a Palermo.

Grazie alla sua enorme capienza, quello di Rosamarina è l’invaso con cui è stato risolto l’annoso problema dell’approvvigionamento idrico di Palermo, garantendo nel contempo l’irrigazione dei terreni agricoli per 50 km dell’area litoranea ad Est di Palermo.

L’uso dell’acqua della diga è infatti duplice: irriguo e potabile.

L’azione pubblica per lo sviluppo – La diga è l’ultima grande infrastruttura realizzata nella regione più grande d’Italia. Anche grazie alla sua formazione universitaria di chimico industriale, a credere convintamente nell’importanza delle grandi infrastrutture (acquedotti, dighe, porti, aeroporti, reti elettriche, gasdotti, reti viarie) indirizzandovi grandi risorse economiche durante gli anni dei suoi 5 governi regionali – che coincidono peraltro con gli ultimi anni di forte espansione dell’economia italiana – è Rosario ‘Rino’ Nicolosi.

Nato ad Acireale nel 1942, frequenta uno dei migliori e più antichi Licei classici della Sicilia: il Gulli e Pennisi. Quando si diploma sostenendo esami scritti e orali su tutte le materie di studio, non è ancora in vigore uno dei primi provvedimenti legislativi che contribuiranno al declino della qualità della formazione liceale in Italia: quello del 1968 che ridurrà a 2 sole le materie oggetto di esame orale, di cui una a scelta dello studente, e a due soli gli scritti.

Paradossalmente, a firmare il provvedimento è l’allora leader della corrente della Democrazia Cristiana alla quale aderisce Nicolosi quando, nel 1966, viene eletto per la prima volta consigliere comunale ad Acireale.

Paradossalmente, perché l’esigenza di qualificare culturalmente gli amministratori pubblici siciliani, e in particolare la dirigenza pubblica, sarà costantemente al centro della sua azione amministrativa: è lui infatti a far nascere a Palermo il Centro ricerche e studi direzionali della Regione (Cerisdi) ubicandolo presso il Castello Utveggio, restaurato per tale scopo, dopo decenni di abbandono; e poi portando ad Acireale la sede siciliana della Scuola superiore della Pubblica amministrazione.

Nicolosi parla l’italiano senza inflessioni dialettali, è chiaramente un dirigente politico di livello nazionale ed estende la sua azione politica persino ai Paesi mediterranei dell’Africa, perché ne comprende l’importanza per un futuro di pace e di comune sviluppo. Quando lascia il governo, i disegni di legge di iniziativa governativa, in larga parte approvati, sono oltre 900 ed imprimeranno alla Sicilia un’accelerazione nell’iter di modernizzazione senza eguali in oltre 70 anni di esistenza della Regione siciliana (nata nel 1946, prime elezioni nell’Aprile del ‘47).

Fra i provvedimenti, ricordiamo solo la costituzione del Parco dell’Etna, 54mila ettari di estensione, e l’intesa fra Regione ed Enel per l’elettrificazione delle isole Alicudi e Filicudi con l’utilizzo di uno speciale tipo di cavo elettrico aereo per minimizzare l’impatto sul paesaggio.

“In occasione del dibattito parlamentare prima dell’approvazione della legge finanziaria” dirà ricordandolo uno dei relatori al convegno di presentazione del volume “Rino Nicolosi: umanesimo e modernizzazione” al Palazzo Reale di Palermo nel Dicembre del 2010 “rispondeva personalmente lui, e non gli assessori, a tutti gli emendamenti della legge”.

Esattamente come avvenuto nel resto d’Italia, dove a guidare il grande sviluppo italiano del dopoguerra sono le industrie delle Partecipazioni statali, in Sicilia lo sviluppo è guidato dalla Regione siciliana e dalle Partecipazioni regionali.

La programmazione economica e l’intervento diretto dello Stato nelle attività produttive è una precisa scelta politica dei tre grandi Partiti che governeranno l’Italia dal 1947 al 1992: la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista e il Partito Comunista, anche se quest’ultimo, per i suoi legami con l’Unione Sovietica, non potrà mai accedere al governo diretto della nazione.

Oggi la grandezza e l’audacia dell’azione economica dei governi regionali della cosiddetta “Prima Repubblica” è dimenticata. Sono pochissimi, ad esempio, a sapere che è stata la Regione siciliana, costruendo la diga sul fiume Carboj, a creare il Lago “Arancio” nel territorio dei Comuni di Sambuca di Sicilia, Santa Margherita di Belìce e Sciacca con il quale dopo il 1952 ha fatto, letteralmente, ‘fiorire il deserto’ del Belìce trattandosi della zona con la più bassa piovosità in Italia.

Oggi, quel territorio ospita una fiorente attività agricola e un’industria del turismo in fortissima crescita, entrambe rese possibili proprio dalla programmazione economica pubblica oggi dimenticata.

Nicolosi cerca anche di modernizzare la grande rete di imprese pubbliche di cui dispone la Sicilia di una delle quali, la Azienda asfalti siciliani, è peraltro dirigente in congedo. “La sua azione aveva quasi il taglio di quella di un grande amministratore delegato”, dirà al convegno del 2010 Vito Riggio, dal 1985 al 1988 stretto collaboratore di Nicolosi presidente.

La lezione di Rino Nicolosi – Mostrandosi oltremodo interessato alla nascita del Partito popolare italiano da lui definito “il fatto più grande della storia italiana dopo il Risorgimento” Antonio Gramsci scriverà nel 1919 un passaggio divenuto celebre:

“Il cattolicesimo democratico fa ciò che il socialismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida… I popolari stanno ai socialisti come Kerenskj a Lenin”.

Diversamente da quanto auspicato dal filosofo marxista fondatore del Partito Comunista Italiano, tuttavia, la fine del Partito Popolare poi divenuto Democrazia Cristiana non aprirà affatto la via al socialismo: ma ad un prolungato periodo di liberismo economico con la vendita o la chiusura delle aziende pubbliche e l’adesione a politiche economiche di austerità antitetiche tanto al socialismo che alla Dottrina sociale della Chiesa i cui esiti – deindustrializzazione, bassi salari, disoccupazione ed emigrazione di massa, deflazione economica, collasso delle infrastrutture prive di manutenzione, e denatalità diffusa – sono ormai manifesti in tutta Italia.

E’ dunque chiara la lezione dell’azione politica ed umana di Rosario ‘Rino’ Nicolosi ai dirigenti politici siciliani che emergeranno nei prossimi anni in margine alla più grave e prolungata crisi economica del dopoguerra: guidati dal futuro, dovranno riscoprire la grandezza della programmazione economica e dell’intervento pubblico della Regione nell’economia al servizio della comunità e del sistema produttivo.

Esattamente il modello di economia mista pubblico-privato che adottarono tanto Sturzo (che da pro-sindaco di Caltagirone, nel 1905, dotò per prima la sua città di un moderno impianto di illuminazione alimentato dall’elettricità) che Rosario Nicolosi durante i suoi quasi 7 anni di governo della Sicilia.

Per saperne di più
“Rino Nicolosi: umanesimo e modernizzazione. Scritti e discorsi” – Presentazione del libro curato da Gabriele D’Autilia (Edizioni Alinari – 24Ore) e dibattito organizzato dall’Assemblea regionale siciliana, Palermo, 17-Dic-2010: https://goo.gl/HMG1TE

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