L’Italia nata nel 1860 ha falsificato e continua a falsificare la storia del Regno delle Due Sicilie

23 novembre 2018

LA STORIA DEL SUD VISTA CON GLI OCCHI DI UN BAMBINO/ Questo capitolo del romanzo è importantissimo. Il maestro – che ricordiamo insegna in una scuola elementare del Regno delle Due Sicilie – poco prima della ‘Conquista del Sud’ ad opera dei Savoia, avverte i ragazzi che i ‘conquistatori’ cambieranno la storia nascondendo la verità: cosa che si è puntualmente verificata  

di Domenico Iannantuoni

– Cari ragazzi- Esordì il maestro questa mattina, eccomi
a voi con il racconto mensile. So che lo stavate
aspettando con trepidazione.-
Si fermò per qualche secondo vicino alla cattedra e poi prese il
solito grosso libro e lo aprì.
– Come già sapete vi leggerò una storia vera, accaduta
circa dieci anni fa nel nostro Stato, ed in Italia del Nord
e che è bene che voi conosciate con precisione perché un
domani questi eventi potrebbero essere nascosti o
camuffati. Noi non possiamo conoscere il futuro, questo
no, ma con un po’ di immaginazione possiamo
individuarne i possibili sviluppi, e molte volte a pensar
male ci si azzecca. Sicuramente siamo parecchio odiati
nel contesto europeo, la nostra forza autarchica, il nostro
progresso scientifico, la nostra ricchezza ed il nostro
assetto sociale ci sono molto invidiati, soprattutto dalla
nazione più potente del mondo: l’Inghilterra…chissà.

Comunque il 1848 fu un anno orribilis…concessione
della Costituzione nel Regno delle Due Sicilie, guerra
esterna, guerra interna in Napoli e poi contro Ruggero
VII in ìn Sicilia, abolizione della costituzione…un bel
’48!
– Il mio racconto, oltre che dai dati documentali è anche
suffragato da una mia personale amicizia con il Dott.
Giuseppe Antonio Pasquale Barletta (7), nostro uomo di
primario ingegno che partecipò personalmente alla
campagna di Curtatone, Montanara e Goito e pure ebbe
qualche comparsa perfino a Venezia.

Tutto era in fermento in Italia nel 1848, fermento sostenuto
dall’inglese Lord Mintho e dall’Inghilterra che odiava Napoli
e la sua dinastia, la Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, sempre
appoggiata dall’Inghilterra, che soffiava sul fuoco della
rivoluzione, le sette che volevano il cambiamento di tutto, la
Città di Milano che con le sue cinque giornate aveva scacciato
gli austriaci e sollevato l’ingresso del Piemonte in guerra,
Giuseppe Garibaldi che rientrato in Italia se ne va a Como a
ricercar volontari, Pio IX che sperando in una pacifica
transizione dei poteri e nella magnanimità dell’Austria, si rende
disponibile a governare la Lega Italiana, Carlo Alberto che
impegna il suo esercito di oltre cinquantamila uomini in una
guerra contro l’Austria ma che segretamente, spinto
dall’Inghilterra, vuole il governo su tutta l’Italia, Ferdinando II
che si impegna (ingenuamente) a dare sostegno militare a Carlo
Aberto, il Granducato di Toscana in subbuglio e favorevole alla
guerra, così come lo Stato della Chiesa, il Ducato di Parma e
Piacenza, quello di Modena e la rinata Repubblica di Venezia
sotto la guida di Daniele Manin.

Nacque tutto per le cinque
Giornate di Milano?
In questo contesto, ed in prossimità del fatto che nel brevissimo
periodo Pio IX, avrebbe fatto cadere il suo disegno di sostegno
alla Lega Italiana, vi racconto cosa accadde al primo corpo di
spedizione napoletano.

Mentre una certa donna lombarda, Cristina Trivulzio
Belgioioso, venuta a Napoli, formò un gruppo di centoventi
volontari per inviarli nello scacchiere di guerra ove il loro
comportamento fu vicino al pessimo, il 1° Battaglione del 10°
di Linea di 800 uomini, al comando del Colonnello Rodriguez,
partiva quel 5 Aprile, prima via terra poi sul Palinuro verso
Livorno e poi per la Lombardia, non avendo ancora il Papa
concesso il libero passaggio delle truppe.

Il 14 aprile un secondo battaglione di volontari crociati
(Rossaroll) di 558 uomini, insieme ad un secondo Battaglione
(altri 800 uomini) del 10° di Linea, al comando del maggiore
Viglia, partì via mare sul piroscafo a vapore Archimede.

Re Ferdinando sottoscriveva il 7 aprile una proclamazione
nunziante ai suoi popoli la partenza delle soldatesche; e
dichiarante:
“Pigliar la causa italiana con quelle forze che lo Stato del
Regno permetteva. Tener come fatta la lega italica, dacchè
volevala il consenso unanime dè principi e dè popoli; egli primo
averla proposta, egli primo mandar ministri a Roma Già iti
soldati e militi per mare e per terra per operare con l’esercito
dell’Italia di mezzo: le patrie sorti decidersi su campi lombardi;
i Napolitani doversi stringere al loro principe, uniti esser temuti
e forti. Confidare nel valore dell’esercito, nella magnanima
impresa: per ispiegar vigore fuori, volersi dentro pace e
concordia; però sperar nell’amor pel popolo, nella Guardia
nazionale, per serbar l’ordine e tutelar le leggi; contassero sulla
sua lealtà alle libere istituzioni che ha giurate e vuol mantenere.
Unione, abnegazione e fermezza; e sarà certa l’italiana
indipendenza. Tacciano avanti a tanto scopo le men nobili
passioni; e ventiquattro milioni di italiani avranno una patria
potente, comune patrimonio di gloria, e nazionalità da pesare
nelle bilance d’Europa.”

Fatti d’arme.
Al 1° Battaglione di linea Napolitano, Carlo Alberto medesimo
gli ordinò di prendere possesso del Ponte di Goito (in
muratura), mentre egli si dirigeva a Pastrengo. Il nostro 2°
Battaglione del 10° appena arrivato al campo toscano del Gen.
Ferrari ha il suo battesimo di fuoco con gli austriaci, poi
d’impeto il giorno 8 , il 2° Battaglione sloggiò il nemico. Il
Battaglione Napolitano del Viglia, più due battaglioni di
volontari di cui uno Napolitano e due di linea toscani,
rioccuparono Montanara lasciata libera per errore del Gen.
Ferrari. Il giorno 13 maggio gli austriaci attaccarono a
Curtatone, il battaglione volontari napolitano, uno di livornesi,
altro di granatieri toscani, due compagnie di bersaglieri,
ventiquattro cavalli, e pochi artiglieri attorno a un obice e un
cannoncino: poco più che duemila. I Napolitani usciti dalle
trincee l’affrontarono, seguiti dal resto del campo; il che,
parendo fossero più che non erano, sgominò gli Alemanni, che
cadder lasciando morti e prigionieri. Ivi cadde il livornese Dott.
Montanelli, arringatore di studenti per la guerra italica.
Contemporanea zuffa seguiva a Montanara. V’eran due
battaglioni di linea toscani, quattro compagnie del nostro 10°,
due battaglioni volontari, cinque cannoni, e pochi cavalli
toscani, intorno a duemila. Il generale Laugier, udendo
l’inimico. Pose due cannoni sulla strada. Fra due battaglioni di
volontari trincerati, sostenuti dalla linea toscana dietro il
centro. I Napolitani, da manca sulla via di Curtatone serbavan
le comunicazioni con quest’altro campo, con a destra i cavalli
nascosti da una casina. I Tedeschi assaltaron di fronte,
lanciando tre Battaglioni a molestar la sinistra; ma il Laugier
ordinò al Giovannetti e quindi ai Napolitani e a due compagnie
toscane di avanzare sul destro del nemico. La cosa riuscì; e una
delle compagnie nostre col capitano Cantarella prese di forza
una casina. Il ministro toscano Corsini presente alla battaglia
battea le mani dicendo: Viva i Napolitani!

Radetzki con oltre ventimila uomini si diresse quindi a
Curtatone e Montanara con superiorità numerica di oltre
quattro volte…dopo aspri combattimenti e privi di artiglieria
Laugier ordinò la ritirata. Le compagnie Napolitane, trovatesi
tra due fuochi, passarono a nuoto il fiume. Il napolitano Pilla,
morì sostenendo con il suo battaglione pisano la generale
ritirata. Il Battaglione Napolitano perduti 250, tra morti e
prigionieri e 86 feriti, ridotto a duecento appena, passò la notte
a Goito, e a dimane andò a Brescia.

A Montanara comandava il Giovannetti. I nostri stavan divisi
così. La compagnia cacciatori a sinistra, l’ottava fucilieri al
centro, e i granatieri e la quinta indietro. Dalle undici del
mattino sino a tardi la sera, il combattimento contro gli austrici
fu violentissimo. Quindi fu ordinata la ritirata verso
Castelluccio. Le nostre compagnie che al mattino contavano
287 uomini, a sera contarono 183 mancati 104 tra morti e
prigionieri. Questo misero avanzo fu messo a guardia del ponte
di Goito. Al vecchio Caldarella, salvato sulle braccia dei
soldati, fu assegnata da Carlo Alberto la medaglia al valor
militare.

Il 10° di linea, del colonnello Rodriguez, stava fermo sul ponte
di Goito. Egli ordinò ai suoi di non prendere sgomento e di
essere prodi. Gli alemanni tardarono e fu la salvezza. Carlo
Alberto visitò a mezzodì il ponte e lodò le difese fatte dai soldati
Napolitani. Colà eranvi otto compagnie del Rodriguez e il
maggiore Viglia: tre stavano sul parapetto della testa del ponte,
una presso un muro di giardino con feritoie, guardanti il fiume
verso il molino, altra su due case dietro il ponte, e l’ultime tre a
sinistra della linea di battaglia sarda, di costa alla riva del
fiume. I Tedeschi li investirono sulle ore tre, occupando una
casina propinqua: però i nostri lasciato il parapetto per
sloggiarli, rischiaron di cader prgionieri, e furono salvi da
un’altra compagnia mandata dal Viglia. Rinnovarono l’assalto,
e da ultimo aiutati da un battaglione sardo, a forze unite li
respinsero.

Gli austriaci allora si raggomitolarono sulla dritta, e urtarono
sulla sinistra avversa; ma patirono gravi danni dalle artiglierie,
sicché disordinati retrocessero a Rivalta. Peschiera si arrese.
Al Rodriguez fu data la croce di S. Maurizio e Lazzaro; ad altri
ufficiali medaglie del valor militare.
Una grande vittoria che vide i Napolitani artefici in tutto e così
paganti in tutto a livello di vite (8).

Il maestro fermò la lettura ma nella nostra classe rimase un
silenzio tombale. Avevamo quasi tutti la bocca semichiusa, per
non dire aperta. Un racconto bellissimo, vero e sentito.
Il maestro ci disse:
– Cari ragazzi, sulla situazione delle nostre altre truppe al
comando del generale Guglielmo Pepe, e della resistenza
di Venezia, ve ne parlerò in un altro racconto. Vorrei ora
soffermarmi su Curtatone, Montanara e Goito.-

La classe iniziò a risvegliarsi e vociare in silenzio, ma il maestro
alzò il braccio destro a mezz’aria e chiese di nuovo il silenzio.
– Questo che vi ho letto è un corto brano di storia che il
nostro Giacinto dè Sivo rilasciò tempo fa ai giornali. E’
storia vera. Quale la mia preoccupazione? Che questa
storia verissima non sarà riportata ai posteri, che i nostri
morti napoletani non saranno ricordati nel futuro! Io
sento, spero sia solo mia immaginazione, che la Storia ci
sarà contro, che l’Inghilterra vincerà con una dinastia
che non sarà la nostra e sarà posta la “damnatio
memoriae” nei nostri confronti.
– Poi l’Inghilterra sta preparando il Canale di Suez che
permetterà di “scavalcare l’Africa per i navigli
provenienti dall’oceano indiano…e questo fatto non mi
convince…

Quanta verità usciva dalle parole del maestro, pensai io. E’ vero,
se il Rodriguez, se il Viglia, se Ferdinando II non saranno mai
ricordati nel futuro…allora tutto sarà perso. Chi scriverà la
storia vera? Ma sarà mai scritta di nuovo?
La campana di fine studio suonò e lasciammo la scuola in gran
silenzio. Ognuno di noi era un Rodriguez, ognuno un Viglia,
ognuno un soldato di Curtatone, Montanara e Goito, ognuno un
napoletano!

(7) Giuseppe Antonio Pasquale Barletta, noto ricercatore scientifico, nato ad Anoia il 30/10/1820 e morto a Napoli il 23/02/1893, anche fondatore e
direttore dell’Orto Botanico di Napoli.

(8) Tratto da uno scritto di Giacinto dè Sivo, drammaturgo, letterato e storico del Regno delle Due Sicilie, Maddaloni (Regno delle Due Sicilie)

QUI TROVATE LE PUNTATE PRECEDENTI 

Foto tratta da gonelli.it

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