Perché sulle pensioni Luigi Di Maio rischia di finire in ‘fuori gioco’/ MATTINALE 163

16 ottobre 2018

Sulle pensioni – sul calcolo delle pensioni – non bisogna fare confusione. Giusta l’introduzione del calcolo contributivo. Ma questo deve valere per il futuro. Sarebbe scorretto, infatti, applicare il metodo retroattivamente, perché non si possono ledere diritti acquisiti 

In un mondo reso incomprensibile e caotico dal populismo al potere, l’unico modo per capirci tra noi italiani è quello di usare metafore tratte dal calcio, lo sport nazionale, quello dei 60 milioni di allenatori della Nazionale. E per fare capire agli italiani il significato del taglio delle pensioni, tema assai caro a Luigi Di Maio, il quale, non avendo mai lavorato, non ha potuto maturare il significato, lo scopo e i rapporto tra lavoro e pensione, niente è più efficace della regola del fuorigioco.

Ma procediamo con ordine.

Una legge nazionale ha ancorato l’importo delle pensioni ai contributi versati. Giustissimo. La legge però, si sa, dispone per l’avvenire, quindi questa regola, in uno Stato di diritto, non dovrebbe valere che per il futuro. Ma siamo tornati ai tempi di MasanielIo, in cui “facimm’ammuino” è regola generale.

Di Maio, pare, vorrebbe estendere il principio del contributivo anche ai periodi lavorativi in cui per la quantificazione delle pensioni vigeva il principio retributivo. Così facendo, ad esempio, chi è andato in pensione usufruendo di entrambi i sistemi, nel caso in cui, sommandoli, godesse di una pensione di 3.500 euro mensili, di cui 1.000 euro calcolati con sistema retributivo, si vedrebbe ridotta la pensione a 2.500 euro mensili.

Ma i contratti di lavoro, siano essi definiti puntualmente in atti privati con articoli, patti e condizioni, sia che siano ricostruibili attraverso l’esame dei vari istituti che li compongono, sono come la regola del fuorigioco. Il gol segnato in fuorigioco è nullo. Non esiste. E il risultato non cambia.

Che cosa sta cercando di fare Di Maio? Sta dicendo alla squadra che nel primo tempo della partita si è vista annullare tre gol per fuorigioco, che nel secondo tempo il fuori gioco non vale. Dunque, fuori di metafora, se tra le regole del mio contratto di lavoro c’è che la pensione va calcolata col metodo retributivo, questa regola deve valere sempre. Essa ha fatto parte di una più generale regola di ingaggio, un patto stipulato in buona fede, che ha reso appetibile un lavoro a paragone di un altro, che lo ha reso sopportabile, che ne ha reso accettabili i rischi.

Solo una grande catarsi politica potrebbe rendere possibile un simile sconvolgimento. Ma non ne vedo nessun segnale. Non ho letto che Amato, Mattarella, i giudici della Corte costituzionale, i politici che vanno in pensione con auto blu, autista e scorta al seguito si vedranno ricalcolate le pensioni con il metodo contributivo a decorrere dall’asilo.

Non ho letto che 180 miliardi di euro sono stati sottratti all’evasione fiscale, anzi ho letto dell’esatto contrario.

Non ho letto della riduzione del 30% delle inutili spese militari. E mi fermo qui.

E’ vero che “l’Italia ha estremo bisogno di un patto generazionale in cui genitori e nonni siano disposti a rinunciare a qualcosa per aiutare il Paese a creare spazi e occasioni per i loro figli e nipoti”. Ma io personalmente, piuttosto che vedermi strappare i miei soldi da uno Stato corrotto e truffaldino lotterò per tenere fede al patto non scritto in vigore oggi, quello in cui i genitori e i nonni mantengono con i loro risparmi e le loro pensioni quei figli che non trovano né spazio, né lavoro e restano fino a trent’anni a casa.

E quale alternativa offre lo Stato? L’emigrazione!

Foto tratta da investireoggi.it

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