Stragi di mafia/ Il Caso Calcara: “Verità di Stato”

11 ottobre 2018

Arriverà a breve nelle librerie il nuovo libro “Il Caso Calcara: “Verità di Stato”, un incredibile intreccio tra mafia, politica e imprenditoria. Protagonisti: un Giudice ucciso, un “Giuda” traditore e quattro falsi pentiti

Sinossi

Autunno 1991 – Castelvetrano è un comune in provincia di Trapani. Non ha certo la dimensione di Palermo, né la triste storia che ne ha fatto la capitale siciliana della mafia. Eppure è a Castelvetrano che nel 1991 si riunisce il ghota della mafia. Perché si riunirono i vertici di “Cosa Nostra”?

Ci sono voluti anni perché si arrivasse al processo in corso a Caltanissetta che vede imputato Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92. Stragi pianificate nell’autunno dell’anno precedente, quando quattro strani personaggi, auto proclamatisi “pentiti di mafia”, con le loro dichiarazioni diedero luogo ad arresti e processi.

Rosario Spatola, Giacoma Filippello, Pietro Scavuzzo e Vincenzo Calcara, narrarono agli investigatori inverosimili storie di mafia, coinvolgendo soggetti politici e uomini delle istituzioni, in un tutt’uno indistinto con piccoli criminali e uomini di mafia. Quattro falsi pentiti che approfittando del fatto che all’epoca non c’erano ancora collaboratori di giustizia che avessero parlato della mafia del trapanese e, in particolare, della famiglia mafiosa dei Messina Denaro, vennero ritenuti attendibili, poiché le dichiarazioni dell’uno coincidevano con quelle degli altri, salvo poi scoprire che questi “pentiti”, più che conoscere i fatti sui quali facevano le loro “importanti rivelazioni”, venivano messi nelle condizioni di sapere cosa ognuno di loro avesse raccontato ai magistrati.

Sarà soltanto grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia del calibro di Patti, Siino, Brusca, Sinacori e altri, che l’attendibilità di questi pentiti verrà sconfessata da chi realmente faceva parte di “Cosa Nostra” ed era a conoscenza della composizione e delle aree di pertinenza delle varie famiglie mafiose.

Se “le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, come riportato in uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza del cosiddetto Borsellino Quater, le dichiarazioni di Spatola, Filippello, Scavuzzo e Calcara, in particolare quelle di quest’ultimo, sembrano avere una valenza tale da far impallidire l’opera depistatoria di Scarantino.

Il depistaggio di Scarantino avvenne dopo la strage nella quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino, lo pseudo pentito Vincenzo Calcara, che secondo le sue propalazioni fu incaricato di uccidere il giudice Paolo Borsellino, non parlando mai di Matteo Messina Denaro (come hanno affermato il pm Massimo Russo e il giudice Alessandra Camassa) di fatto finì con il favorire, consapevolmente o inconsapevolmente, il progetto stragista dell’attuale boss latitante che proprio durante quel periodo a Castelvetrano incontrava i vertici di Cosa Nostra per pianificare le stragi.

Vincenzo Calcara

Calcara, che nel corso di un’udienza al processo per l’uccisione del giornalista Rostagno si è autoaccusato di un omicidio rimasto impunito, è lo stesso pentito che a distanza di anni, nel libro “Dai memoriali di Vincenzo Calcara. Le cinque entità rivelate a Paolo Borsellino”, curato dalla giornalista Simona Mazza, racconta di aver preso parte al trasporto di esplosivo per un attentato a Paolo Borsellino. Perché non venne mai processato per questi e altri fatti dei quali ha a lungo parlato anche nel corso di telefonate intercorse con Gian J. Morici?

Questo libro è scritto sulla scorta di atti documentali, testimonianze e affermazioni dello stesso Calcara. Aspetti inediti, notizie penalmente rilevanti, sul più colossale dei depistaggi. Uomini come il questore Rino Germanà, scampato miracolosamente a un agguato, l’allora vicequestore Michele Messineo, il professore Antonio Vaccarino, che sotto lo pseudonimo di Svetonio operò per conto del Sisde nel tentativo di catturare Matteo Messina Denaro, e altri che intralciavano i piani del boss, dovevano essere eliminati o infangati, grazie alla partecipazione di pezzi dello Stato, affinché la mafia potesse realizzare, indisturbata, la strage di via D’Amelio, nella quale persero la vita il Giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Eddie Walter Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.

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