Oltre 100 milioni di poveri nell’Unione Europea. Da qui il vento ‘populista’. E tra qualche giorno in Svezia…

4 settembre 2018

Tra qualche giorno in Svezia si va al voto. Stando ai sondaggi il ‘Partito-Stato’ dei socialdemocratici, da sempre al 45%, potrebbe precipitare al 25! Mentre i ‘Populisti-sovranisti’ di Jimmie Akesson passerebbero dal 5 al 20%. Gli errori di PPE e PSE, che fino ad oggi hanno governato la UE. Sullo sfondo le elezioni europee della prossima primavera. Il paradosso di Popolari e Socialisti che difendono le politiche del rigore imposte dai liberisti, mentre i ‘Populisti-sovranisti’ propongono il ritorno agli Stati sovrani pensando a Keynes… 

Oltre 100 milioni di poveri su circa 500 milioni di abitanti. Il 20 per cento della popolazione. A cui si abbina un’impressionante crescita dei partiti politici contrari all’arrivo dei migranti. Questa, in estrema sintesi, la ‘radiografia’ dell’Unione Europea a nove mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Non sono dati esaltanti: non lo sono, soprattutto, per i Popolari e i Socialisti che governano l’Unione e che sono i responsabili di quanto avvenuto e di quanto sta avvenendo.

A cosa porterà la somma di disoccupazione e insofferenza verso un’integrazione dei migranti sempre più problematica è una mezza incognita. Lo scenario immaginabile va ‘letto’ in due modi: in un quadro generale, con l’ipotesi di un partito transnazionale per fare muro contro i cosiddetti ‘populisti’ (si ipotizza di farlo capeggiare al leader francese Emmanuel Macron, ma non si sa con quali possibili risultati, sia perché la Francia conta 8 milioni di disoccupati e il Governo francese non è quindi un esempio da proporre, sia perché, eventualmente uniti, PPE e PSE potrebbero prendere meno voti rispetto alla presenza di entrambi i partiti nella competizione elettorale).

Guai in vista, insomma, per le due tradizionali forze politiche – i già citati Popolari europei del PPE e i Socialisti europei del PSE – che in questa fase storica non sembrano avere chiara la strada da percorrere.

Spaventano i dati sull’occupazione. Nell’ottobre dello scorso anno Il Sole 24 Ore descriveva uno scenario tutt’altro che tranquillizzante:

“Nel 2016, nell’Unione europea, 117,5 milioni di persone (il 23,4% della popolazione) erano a rischio povertà o esclusione sociale. Cosa si intende per rischio povertà? Una persona deve trovarsi in almeno una di queste tre condizioni: avere un reddito inferiore all’equivalente del 60% del reddito medio nazionale, far parte di un nucleo familiare con intensità lavorativa molto bassa o vivere in una grave deprivazione materiale”.

“Le situazioni più gravi – leggiamo sempre su Il Sole 24 Ore – sono state registrate in Bulgaria (40,4%), Romania (38,8%) e Grecia (35,6%). I più bassi? Nella Repubblica ceca (13,3%), Finlandia (16,6%) e Danimarca (16,7%). L’Italia, secondo la classifica di Eurostat, nel 2016 ha una percentuale del 28% che è altissima ma ci pone circa in mezzo nella classifica. Sono quindi 17 milioni le persone a rischio povertà”.

“Entrando più nel dettaglio – prosegue l’articolo – scopriamo che un italiano su dieci è interessato da grave deprivazione materiale (all’inzio della crisi, e quindi nel 2008 questa percentuale era al 1,5%), mentre il 20% circa ha un reddito inferiore del 60% del reddito medio nazionale (anche in questo caso si registra un peggioramento). Infine, l’11,7% appartiene a un nucleo con intensità lavorativa molto bassa (nel 2008 era il 10,4%). Tutti questi indicatori sono più alti delle medie Ue rispettivamente al 7,5%, al 17,2% e al 10,4 per cento”.

E ancora i dati di Eurostat:

“A livello europeo, la flessione della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è stata solo dello 0,3% dal 2008 al 2016. E in Italia? La situazione negli ultimi anni si è aggravata. In Italia infatti la percentuale di popolazione a rischio di povertà o di esclusione sociale è pari al 28,7%, superiore dunque alla media europea (i dati, puntualizza Eurostat, sono del 2015). Nel 2008 questa percentuale in Italia era del 25,5%: in sette anni è aumentata di oltre il 3%” (QUI UN ARTICOLO).

Quello che ci hanno sempre raccontato sui governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni – e cioè che avrebbero governato bene – viene smentito dai fatti. Anche i dati sul debito pubblico non sono incoraggianti. Le società private di rating – che non si capisce perché vengono chiamate ‘agenzie’ – cercano, in queste ore, di drammatizzare la situazione italiana. Ci dicono che l’attuale Governo “non deve sforare il 3% del rapporto deficit-PIL per non peggiorare i conti pubblici”. L’Italia, per dirla in breve, dovrebbe contrarre le spese e, possibilmente, aumentare la produttività.

Ma nessuno dice che i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni i conti pubblici italiani li hanno peggiorati, se è vero che il debito pubblico italiano, dal novembre del 2011 ad oggi, è passato da mille e 800 miliardi di euro circa a 2 mila e 40 e rotti milioni di euro!

Ma l’Italia – dove i sondaggi danno la Lega in crescita – non è, come già ricordato, l’unico problema dell’Unione Europea. Semmai – questo il vero timore degli attuali governanti della UE – il nostro Paese potrebbe avere anticipato uno scenario che rischia di proporsi alle ormai imminenti elezioni europee.

Perché se si sta discutendo della formazione – più elettorale che politica – di una sorta di ‘Patto transnazionale’ per frenare i ‘populisti’, la stessa cosa si sta facendo dall’altra parte. Si va dal Fronte Popolare di Marine Le Pen in Francia a Sebastian Kurz in Austria, dai Paesi del gruppo di Visegrad (ovvero Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) ad alcune realtà della ex Iugoslavia, dalla destra olandese fino alla Svezia, dove il tradizionale “Partito-Stato” socialdemocratico è in grande affanno, con la destra sovranista che, dal 5%, viene oggi data al 20%!

Non sappiamo se il ‘Patto tra i populisti d’Europa’ prenderà piede. Ma è un fatto, oggettivo, che i leader di formazioni politiche moderate che, fino ad oggi, si sono sempre riconosciute ne PPE stiano oggi pensando di lasciare il Partito Popolare Europeo.

Tornando alla Svezia – Paese sul quale vale la pena aprire una ‘finestra’ – a spaventare è il sostanziale fallimento del modello di integrazione. Qui i socialdemocratici, abituati a ‘viaggiare’ sul 45% dei consensi, stando agli ultimi sondaggi, si ritroverebbero al 25%!

La Svezia, peraltro, anticipa le elezioni europee, se è vero che si voterà tra pochi giorni per le elezioni politiche.

“Bruxelles guarda a Nord con terrore – si legge in un articolo pubblicato da Gli occhi della guerra – perché, anche se la Svezia ha gli stessi abitanti dell’Ungheria di Viktor Orban, il suo peso politico e simbolico è di ben altro genere. Cosa accadrebbe se si aprisse una falla anche in Scandinavia, addirittura nel Paese più progressista, bastione del multiculturalismo e dei valori universali dell’accoglienza?”.

In Svezia non c’è disoccupazione. Ma il Paese, o meglio, chi l’ha governato fino ad oggi paga per la tradizionale scelta terzomondista che non sta dando i risultati sperati. Anzi. La Svezia è un Paese di 9,5 milioni di abitanti e ha accolto 600 mila migranti dal 2014, 163 mila richiedenti asilo solo nel 2015. Di fatto, in proporzione alla propria popolazione, è il Paese europeo che ha accolto più migranti.

Ma i risultati, come già ricordato, sono tutt’altro che incoraggianti;

“La situazione è sfuggita di mano – leggiamo sempre ne Gli occhi della guerra -. Vasti territori urbani, a Stoccolma, a Uppsala, a Malmö, soprattutto a Göteborg, sono in mano alla criminalità straniera, non accessibili alla polizia e ai giornalisti, gli stupri sono aumentati del 30 per cento in cinque anni, nelle scuole circolano ogni genere di armi, non si contano i regolamenti di conti tra bande di diversi origini etniche, numerosi gli attentati islamisti, nel 2017 un camion guidato da un affiliato Isis ha fatto cinque morti. L’ultimo caso che ha sconvolto l’opinione pubblica (e potrebbe avere un forte impatto sul voto) è stato l’incendio di decine, centinaia di auto da parte di gang d’incappucciati alla periferia di Trollhattan, città industriale nell’Ovest, già sede degli stabilimenti della Saab e oggi una delle aree più colpite dall’ondata di violenze. La debole reazione del premier (“Ma cosa diavolo state facendo?”) ha fatto indignare le tute blu, da sempre zoccolo duro dei socialdemocratici”.

Il governo svedese ha capito che l’atmosfera non è delle migliori. Ha ridotto gli ingressi ad appena 23 mila migranti. Ma questo non sembra sia bastato a contenere l’ondata di paura che oggi è presente in questo Paese. Così Sverige Demokraterna, i Democratici di Svezia, formazione politica dichiaratamente di destra (basti pensare al simbolo della torcia: lo stesso simbolo del Fronte Nazionale di Marine Le Pen), sono in crescita.

Il leader dei sovranisti svedesi, Jimmie Akesson, non ha ancora 40 anni. E porta avanti un programma sintetizzato in poche righe da Gli occhi della guerra:

“Rifiuta il potere sovranazionale di Bruxelles, invoca l’uscita immediata dall’Unione e una politica protezionista aumentando le tariffe sui prodotti stranieri; soprattutto vuole archiviare la politica dell’accoglienza umanitaria ipotizzando la fine del mitico welfare svedese”.

Davanti a mezza Europa in rivolta ci si dovrebbe interrogare sugli errori commessi negli ultimi cinque anni da chi ha governato la UE: per esempio, l’insistenza quasi ossessiva nel portare avanti politiche economiche antikeynesiane, l’aumento spaventoso delle diseguaglianze sociali, la disgraziata guerra in Libia voluta soprattutto da un Paese dell’Unione Europea – la Francia – che con il suo colonialismo è responsabile, in buona parte, della migrazioni di milioni africani verso l’Europa (QUI UN ARTICOLO SUL COLONIALISMO FRANCESE IN AFRICA DI FRANCO BUSALACCHI).

E ancora altri errori: come l’embargo alla Russia di Putin, che si è tradotto in un calo delle esportazioni di alcuni Paesi europei verso la stessa Russia.

Poi le politiche agroalimentari, che hanno sistematicamente penalizzato le agricoltura dell’Europa mediterranea. Come la cosiddetta “invasione di olio d’oliva tunisino” che è servita e serve agli speculatori, che fanno affari d’oro penalizzando, ad esempio, il Sud Italia, segnatamente Puglia, Calabria e Sicilia dove si produce il 90% circa dell’olio d’oliva extra vergine italiano. 

Potremmo citare anche l’esempio degli agrumi del Marocco e, in generale, l’ortofrutta che arriva, senza alcun controllo, dal Nord Africa e dalla Cina, penalizzando gli agricoltori, con particolare riferimento al Sud Europa. Impossibile, per i produttori di ortofrutta italiani (ma non soltanto italiani), competere con Paesi dove il costo del lavoro è di gran lunga inferiore a quello del Vecchio Continente.

Per non parlare del grano duro (ma anche del grano tenero) europeo, che deve vedersela con grani esteri, spesso di dubbia qualità.

Sul grano duro l’Unione Europea ne ha combinato di tutti i colori, innalzando i limiti relativi alla presenza di contaminanti (glifosato e micotossine DON) per consentire l’ingresso, in Europa, di grano duro estero (canadese, ma non solo) spesso di pessima qualità.

A completare il discredito che oggi travolge non la UE, ma chi l’ha governata (parliamo sempre di PPE e PSE) c’è il CETA, il trattato internazionale tra Unione Europea e Canada che danneggia gli agricoltori europei, sacrificati sull’altare degli interessi delle multinazionali.

Vero è che alcuni prodotti agroindustriali europei hanno trovato mercato in Canada: ma è anche vero che gli utili vanno ai titolari delle industrie di trasformazione dei prodotti, non certo agli agricoltori, che del CETA vedono soltanto l’arrivo di prodotti agricoli canadesi, spesso non di qualità, che fanno concorrenza ai prodotti agricoli italiani.

Ciò che infastidisce non è solo il merito di questo trattato – assai discutibile, come abbiamo visto – ma il metodo antidemocratico con il quale è stato imposto: è in applicazione dal settembre dello scorso anno, senza che i Parlamenti dei 27 Paesi europei si siano pronunciati!

In conclusione, non possiamo non segnalare il paradosso politico dell’Unione Europea di oggi. Con i Popolari e i Socialisti, che dovrebbero difendere le politiche economiche keynesiane e che, invece, sono schierati in difesa degli interessi del più becero liberismo. 

Mentre i cosiddetti ‘Populisti’ – che in alcuni casi hanno una matrice di destra – rivendicano politiche economiche keynesiane e antiliberiste che dovrebbero essere prerogativa dei Popolari e, soprattutto, dei socialisti. 

Di fatto – e questo è un dato sotto gli occhi di tutti – PPE e PSE, oggi, portano avanti politiche contrarie alla propria storia e al proprio elettorato. Ed è questo che, con molta probabilità, renderà problematica la campagna elettorale di Popolari e Socialisti alle prossime elezioni europee.

Com’è avvenuto in Italia – che in Europa, come già ricordato, ha fatto da apripista – gli elettori, piuttosto che premiare i ‘Populisti’, puniranno chi ha tradito la propria storia, le proprie radici e, perché no?, anche il proprio popolo.

Foto tratta da buongiornoslovacchia.sk

P.s.

Sarà interessante capire cosa farà il Sud Italia in questo scenario. Non sarebbe sbagliato – perché no, anche in vista delle elezioni europee – cominciare a pensare a un soggetto politico meridionale:

Alla Lega di Salvini rispondiamo con un partito del Meridione/ MATTINALE 121

DA LEGGERE ANCHE:

QUI L’ARTICOLO DE “GLI OCCHI DELLA GUERRA” SULLE IMMINENTI ELEZIONI IN SVEZIA

Il grande imbroglio del debito pubblico italiano e la “Favola neoliberista” (VIDEO)

L’Europa dell’Euro è un progetto criminale: le parole del grande scienziato tedesco, Matthias Rath (video)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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