La Corte Costituzionale azzera i vertici della sanità siciliana

18 luglio 2018

I direttori generali delle ASP, delle Aziende ospedaliere e delle Aziende ospedaliere universitarie della Sicilia sono illegittimi e, quindi, sono da considerare decaduti. Lo ha deciso la Consulta, accogliendo un ricorso del Governo nazionale. Adesso il Governo Musumeci dovrà nominare i nuovi manager della sanità dell’Isola. In calce il testo integrale della sentenza

Terremoto ai vertici della sanità siciliana. Una sentenza della Corte Costituzionale (la numero 159 di quest’anno), accogliendo un ricorso del Consiglio dei Ministri, ha dichiarato illegittimi tutti i commissari che oggi guidano le Aziende sanitarie Provinciali (ASP), le Aziende ospedaliere e le Aziende ospedaliere universitarie (leggere i Policlinici di Palermo, Catania e Messina).

In pratica, la Consulta ha impugnato una legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana nell’ultimo scorcio della presidenza di Rosario Crocetta (per la precisione, l’articolo 3 della legge regionale n. 4 del 2017) che interveniva sulla sanità, introducendo i commissari e bloccando le nuove nomine del Governo regionale che sarebbe arrivato dopo.

Insomma, il centrosinistra, intuendo che avrebbe perso le elezioni regionali del novembre 2017 – cosa che si è puntualmente verificata – ha provato a ‘congelare’ i manager della sanità nominati dallo stesso Governo Crocetta che erano tutti in scadenza, trasformandoli in commissari.

Non solo. La norma impugnata impediva al Governo regionale che sarebbe subentrato – cioè al Governo oggi in carica: l’esecutivo di Nello Musumeci – di nominare i nuovi vertici della sanità siciliana.

Questa la parte della legge regionale impugnata:

“Nelle more della modifica legislativa discendente dalla sentenza della Corte
Costituzionale n. 251 del 2016 e considerato il mancato aggiornamento dell’elenco regionale secondo quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni al fine di evitare liti e contenziosi, gli incarichi di direttore generale delle Aziende sanitarie provinciali, delle Aziende ospedaliere e delle Aziende ospedaliere universitarie della Regione attualmente vigenti sono confermati sino alla naturale scadenza ed è fatto divieto di procedere a nuove nomine, ove non ricorra l’incarico ordinario si procede alla nomina di commissario ai sensi di quanto disposto dall’articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502/1992 e successive modifiche ed integrazioni. Resta confermato quanto stabilito dall’articolo l della legge regionale 2 agosto 2012, n. 43”.

Secondo il Governo nazionale, “tale disposizione, nell’introdurre un regime speciale e transitorio per i casi di naturale scadenza degli incarichi di direttore generale delle aziende sanitarie regionali, articolato sul divieto di nuove nomine, da un lato, e sulla nomina di un commissario ad acta, dall’altro – senza prevedere né i requisiti necessari per accedere all’incarico, né le procedure da seguire per pervenire a tali mnomine, né i relativi termini di decadenza – contrasterebbe con i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale in materia di dirigenza sanitaria – direttamente riconducibile, per il ricorrente, alla tutela della salute – come fissati dagli art. 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124”.

L’articolo 3 della legge n 4 è stata impugnata dal Governo nazionale e la Consulta ha dato ragione a Roma.

La Consulta ha definito la questione sollevata dal Governo nazionale “fondata”. E gli ha dato ragione.

Gli effetti sono pesanti, perché tutti i direttori generali delle ASP e delle Aziende ospedaliere – compresi i manager dei Policlinici universitari – sono praticamente illegittimi e, quindi, sono da considerare decaduti.

Adesso bisognerà capire che fine faranno tutti gli atti che portano la firma di questi manager della sanità. E, soprattutto, bisognerà nominare i nuovi direttori generali della sanità: e di questo dovrà occuparsi, in tempi brevi, l’attuale Governo regionale.

DI SEGUITO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

SENTENZA N. 159

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,
Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Siciliana 1° marzo
2017, n. 4 (Proroga dell’esercizio provvisorio per l’anno 2017 e istituzione del Fondo regionale per la
disabilità. Norme urgenti per le procedure di nomina nel settore sanitario regionale), promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 2-5 maggio 2017, depositato il successivo 8
maggio 2017, iscritto al n. 38 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, prima serie speciale, n. 23 dell’anno 2017.
Udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia;

udito l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 2-5 maggio 2017 e depositato il successivo 8 maggio 2017 (r.r. n. 38 del
2017), il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art.
3 della legge della Regione Siciliana 1° marzo 2017, n. 4 (Proroga dell’esercizio provvisorio per l’anno
2017 e istituzione del Fondo regionale per la disabilità. Norme urgenti per le procedure di nomina nel
settore sanitario regionale), in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, nonché
all’art. 17, lettere b) e c) del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello
statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
La norma impugnata interviene in materia di nomine dei direttori generali sanitari regionali,
statuendo che «[n]elle more della modifica legislativa discendente dalla sentenza della Corte
Costituzionale n. 251 del 2016 e considerato il mancato aggiornamento dell’elenco regionale secondo
quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e
successive modifiche ed integrazioni al fine di evitare liti e contenziosi, gli incarichi di direttore generale
delle Aziende sanitarie provinciali, delle Aziende ospedaliere e delle Aziende ospedaliere universitarie
della Regione attualmente vigenti sono confermati sino alla naturale scadenza ed è fatto divieto di
procedere a nuove nomine, ove non ricorra l’incarico ordinario si procede alla nomina di commissario ai
sensi di quanto disposto dall’articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502/1992 e successive modifiche ed
integrazioni. Resta confermato quanto stabilito dall’articolo l della legge regionale 2 agosto 2012, n. 43».
1.1.– Secondo il ricorrente, tale disposizione, nell’introdurre un regime speciale e transitorio per i
casi di naturale scadenza degli incarichi di direttore generale delle aziende sanitarie regionali, articolato
sul divieto di nuove nomine, da un lato, e sulla nomina di un commissario ad acta, dall’altro – senza
prevedere né i requisiti necessari per accedere all’incarico, né le procedure da seguire per pervenire a tali
nomine, né i relativi termini di decadenza – contrasterebbe con i principi fondamentali stabiliti dalla
legislazione statale in materia di dirigenza sanitaria – direttamente riconducibile, per il ricorrente, alla
tutela della salute – come fissati dagli art. 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124
(Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), dagli artt. 1, 2, 5 e
9 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, recante «Attuazione della delega di cui all’articolo 11,
comma 1, lettera p) della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria», nonché dall’art.
3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a
norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in base ai quali la nomina di dette figure, da
parte delle Regioni, deve necessariamente ed obbligatoriamente avvenire mediante ricorso ad elenchi di
idonei a tal fine predisposti.
2.– Il ricorrente illustra le profonde riforme che hanno interessato la dirigenza sanitaria nel quadro
della più generale riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche ed in linea con il disegno di
progressivo affrancamento dei vertici dell’amministrazione dai condizionamenti di carattere politico, già
perseguito dal decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo
del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, in legge 8
novembre 2012, n. 189.
2.1.– Il legislatore infatti, con la legge delega n. 124 del 2015, ha stabilito, per la nomina dei direttori
generali delle aziende sanitarie, i seguenti principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 Cost.: «selezione
unica per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e
professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale
composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l’inserimento in un elenco
nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le
regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare
nell’ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell’elenco nazionale, manifestano

l’interesse all’incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che
procede secondo le modalità del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive
modificazioni […]» (art. 11, comma 1, lettera p).
In attuazione della delega contenuta nello stesso articolo, è stato quindi adottato il d.lgs. n. 171 del
2016, il quale, ai fini del conferimento dell’incarico in questione, ha previsto una doppia selezione: la
prima, a livello nazionale, per la costituzione di un elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di
direttore generale (art. 1); la seconda, a livello regionale, preceduta da avviso pubblico destinato
unicamente agli iscritti nell’elenco nazionale, diretta alla formazione di una rosa di candidati da proporre
per la nomina al Presidente della Regione (art. 2).
Il citato decreto legislativo contiene poi, all’art. 5, una disciplina transitoria per cui, fino alla
costituzione dell’elenco nazionale (e degli elenchi regionali di cui all’art. 3, relativi al conferimento
dell’incarico di direttore sanitario, direttore amministrativo e, ove previsto dalle leggi regionali, di
direttore dei servizi socio-sanitari delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli enti del
Servizio sanitario nazionale), si applicano le procedure vigenti alla data di entrata in vigore del decreto
stesso.
Chiude il sistema l’art. 9 del medesimo decreto legislativo, a mente del quale, per quanto qui rileva,
a decorrere dalla data di istituzione dell’elenco nazionale, sono abrogate le disposizioni del d.lgs. n. 502
del 1992, di cui all’art. 3-bis, comma 1, commi da 3 a 7 e commi 13 e 15.
2.2.– Ad avviso del ricorrente, il quadro normativo così ricostruito non sarebbe stato inciso, per
quanto d’interesse, dall’intervenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2016, che ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 19 (recte, art. 11), comma 1, lettera p), legge
n. 124 del 2015, nella parte in cui ha previsto che il decreto legislativo attuativo fosse adottato previa
acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza
Stato-Regioni, atteso che la dichiarata illegittimità è circoscritta alle disposizioni di delegazione di cui
alla citata legge n. 124 e non si estende alle relative disposizioni attuative, come precisato dalla stessa
Corte nella sentenza citata e ribadito altresì dal Consiglio di Stato nel parere del 9 gennaio 2017, n. 83.
2.3.– Tale essendo la disciplina statale, ne seguirebbe che la nomina dei direttori generali delle
aziende sanitarie da parte delle Regioni debba avvenire, a regime, esclusivamente scegliendo tra gli
iscritti all’elenco nazionale dei direttori generali e, in via transitoria nelle more dell’istituzione di detto
elenco, secondo le procedure vigenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso, cioè, in base al
combinato disposto degli artt. 5 e 9 d.lgs. n. 171 del 2016 e 3-bis d.lgs. n. 502 del 1992, mediante ricorso
obbligatorio all’elenco regionale degli idonei ovvero agli analoghi elenchi delle altre Regioni.
3.– L’art. 3 della legge regionale impugnata introdurrebbe, invece, un’ipotesi speciale di
commissariamento, non prevista né dal d.lgs. n. 171 del 2016, né dall’art. 3-bis d.lgs. n. 502 del 1992,
pure richiamato dalla stessa disposizione regionale, violando il sistema di regole che la legge n. 124 del
2015 prima, e il d.lgs. n. 171 del 2016 poi, hanno inteso apprestare per garantire la trasparenza,
l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa.
Vietando di procedere a nuove nomine, la norma censurata si porrebbe anche in contrasto con il
comma 2 dello stesso art. 3-bis d.lgs. n. 502 del 1992, il quale stabilisce che la nomina del direttore
generale debba essere effettuata nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di vacanza
dell’ufficio, scaduto il quale è previsto un intervento sostitutivo del Governo, ai sensi dell’art. 120 Cost.,
anche attraverso la designazione di un commissario ad acta, in virtù del rinvio operato, dal suddetto
comma, all’art. 2, comma 2-octies, d.lgs. n. 502 del 1992. La legge statale, dunque, contempla il
commissariamento di un’azienda sanitaria soltanto da parte del Governo e per il caso di inerzia della
Regione competente.
Inoltre, la disposizione impugnata sarebbe in contrasto anche con il comma 3 dell’art. 3-bis d.lgs. n.
502 del 1992, cui l’art. 5 d.lgs. n. 171 del 2016 rinvia per la disciplina transitoria, il quale stabilisce che,
fino alla costituzione dell’elenco nazionale, le Regioni devono obbligatoriamente attingere da quello
regionale di idonei, ovvero dagli analoghi elenchi di altre Regioni.

Ne deriva, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, che, laddove si debba procedere al
conferimento di nuovi incarichi dirigenziali nelle more dell’istituzione dell’elenco nazionale, ove pure
l’elenco regionale non sia stato costituito – fattispecie che il ricorrente ritiene assimilabile a quella in cui,
pur costituito, l’elenco non sia stato aggiornato – l’ente territoriale sarebbe comunque tenuto ad attingere
dagli elenchi delle altre Regioni.
Il ricorrente osserva poi che il riferimento contenuto nella disposizione impugnata all’art. 3-bis d.lgs.
n. 502 del 1992, ai fini della nomina del commissario regionale, sarebbe improprio, rectius, illegittimo,
atteso che la disposizione statale richiamata disciplina la modalità di scelta dei direttori generali, non già
dei commissari delle aziende sanitarie.
Anche il richiamo a «quanto stabilito dall’art. 1 della legge regionale 2 agosto 2012, n. 43»,
contenuto nell’ultimo periodo dell’impugnato art. 3, sarebbe oscuro.
Detta legge regionale è intervenuta sulla legge della Regione Siciliana 28 marzo 1995, n. 22 (Norme
sulla proroga degli organi amministrativi e sulle procedure per le nomine di competenza regionale),
introducendovi, tra l’altro, l’art. 3-bis, recante «Norme in materia di nomine ed incarichi di competenza
del Governo della Regione», il quale ha mantenuto ferme le disposizioni previste dalla normativa vigente
per i casi di cessazione anticipata degli incarichi conferiti dal Presidente, dalla Giunta o dagli Assessori
della Regione, che, nello specifico settore sanitario, si rinvengono negli articoli 19 e 20 della legge della
Regione Siciliana 14 aprile 2009, n. 5 (Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale).
Ad avviso del ricorrente quindi, il richiamo di cui all’ultimo periodo della norma impugnata non
sarebbe pertinente, sia perché l’intero complesso normativo regionale deve ritenersi superato dalla
successiva legislazione statale in materia, a cominciare dal d.l. n. 158 del 2012, sia perché le ipotesi di
vacanza dell’ufficio, previste dagli artt. 19 e 20, legge reg. siciliana n. 5 del 2009, integrano tutte casi di
cessazione anticipata dall’incarico (morte, dimissioni, decadenza), ontologicamente diverse da quella che
qui rileva, relativa ad un’ipotesi di cessazione naturale per scadenza del termine finale di durata del
mandato, per la quale l’ordinamento già prevede, a regime e in via transitoria, una propria disciplina.
Ponendosi pertanto in contrasto con i sopraddetti principi fondamentali stabiliti dalla legge statale in
materia di tutela della salute, la disciplina censurata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., oltre a non
essere rispettosa neppure dell’art. 17, lettere b) e c), statuto reg. Siciliana, che delimitano l’ambito della
potestà legislativa regionale in materia di sanità pubblica e assistenza sanitaria, prevedendo che essa
debba esercitarsi «[e]ntro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello
Stato».
4.– Da ultimo, il ricorrente ritiene altresì violati i principi di ragionevolezza e di buon andamento
dell’amministrazione, di cui agli artt. 3 e 97 Cost., in quanto, pur in presenza di un sistema di norme che
impone di attingere, a seconda dei casi, dall’elenco nazionale o da quelli regionali degli idonei, la norma
regionale prevederebbe invece il divieto di procedere a nuove nomine ed il ricorso ad un organo
straordinario quale il commissario.
5.– Con memoria depositata il 30 aprile 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, dando conto
dell’evoluzione del quadro normativo verificatasi a seguito dell’emanazione del decreto legislativo 26
luglio 2017, n. 126, recante «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 4 agosto 2016, n.
171, di attuazione della delega di cui all’articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n.
124, in materia di dirigenza sanitaria», ha evidenziato la persistenza del proprio interesse alla decisione
del ricorso e alla declaratoria di illegittimità costituzionale, in ragione dell’avvenuta applicazione medio
tempore della normativa impugnata e della permanenza dei suoi effetti sino alla conclusione della
procedura di selezione dei nuovi direttori generali, frattanto avviata dall’Assessorato della salute della
Regione Siciliana, con l’avviso pubblico di selezione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie speciale
concorsi, della Regione Siciliana del 2 marzo 2018.
6.– La Regione Siciliana non si è costituita in giudizio.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 3 della legge della Regione Siciliana
1° marzo 2017, n. 4 (Proroga dell’esercizio provvisorio per l’anno 2017 e istituzione del Fondo regionale
per la disabilità. Norme urgenti per le procedure di nomina nel settore sanitario regionale), per contrasto
con gli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, nonché con l’art. 17, lettere b) e c) del regio
decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana),
convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
La disposizione censurata statuisce, in particolare, che «[n]elle more della modifica legislativa
discendente dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2016 e considerato il mancato
aggiornamento dell’elenco regionale secondo quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 3-bis del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni al fine di evitare liti e
contenziosi, gli incarichi di direttore generale delle Aziende sanitarie provinciali, delle Aziende
ospedaliere e delle Aziende ospedaliere universitarie della Regione attualmente vigenti sono confermati
sino alla naturale scadenza ed è fatto divieto di procedere a nuove nomine, ove non ricorra l’incarico
ordinario si procede alla nomina di commissario ai sensi di quanto disposto dall’articolo 3-bis del decreto
legislativo n. 502/1992 e successive modifiche ed integrazioni. Resta confermato quanto stabilito
dall’articolo l della legge regionale 2 agosto 2012, n. 43».
Secondo il ricorrente, il regime speciale e transitorio introdotto dalla legislazione regionale,
articolato sulla conferma degli incarichi in atto, fino alla naturale scadenza, e sul divieto di nuove
nomine con il ricorso ad un commissario ad acta «ove non ricorra l’incarico ordinario», si porrebbe in
contrasto con gli artt. 3 e 97, nonché con l’art. 117, terzo comma, Cost., che annovera la tutela della
salute tra le materie di competenza legislativa concorrente, e con l’art. 17, lettere b) e c), dello statuto
speciale regionale, che circoscrive la potestà legislativa della Regione Siciliana in materia di sanità
pubblica e assistenza sanitaria «[e]ntro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la
legislazione dello Stato», in quanto la disposizione impugnata non rispetterebbe i principi fondamentali
stabiliti dalla legislazione statale.
Il ricorso richiama l’art. 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al
Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), gli articoli 1, 2, 5 e 9 del
decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, recante «Attuazione della delega di cui all’articolo 11, comma
1, lettera p) della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria», nonché l’art. 3-bis del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), disposizioni dalle quali si desumerebbe il principio
fondamentale secondo cui la nomina del direttore generale delle aziende sanitarie, da parte delle Regioni,
deve necessariamente ed obbligatoriamente avvenire mediante ricorso ad elenchi di idonei a tal fine
predisposti, allo scopo di affrancare le relative scelte da condizionamenti di carattere politico, mediante
la predefinizione dei requisiti e delle procedure di nomina di dette figure.
A tal fine, la legge delega n. 124 del 2015 e il relativo decreto legislativo di attuazione n. 171 del
2016, proseguendo lungo una direzione già intrapresa dal legislatore sin dal 2012, hanno previsto un
procedimento di nomina basato su una doppia selezione: la prima, diretta alla formazione di un elenco
nazionale, istituito presso il Ministero della salute, in cui iscrivere tutti i soggetti idonei a ricoprire
l’incarico de quo; la seconda, spettante alle Regioni e Province autonome, tesa alla nomina del direttore
generale, da scegliersi nell’ambito di una rosa di candidati, costituita da coloro che, iscritti nell’elenco
nazionale, abbiano manifestano l’interesse all’incarico a seguito di apposito avviso pubblico.
In via transitoria, fino alla costituzione di detto elenco nazionale, si applicano le procedure vigenti,
anch’esse basate su un sistema di elenchi regionali di idonei.
2.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il quadro normativo di riferimento non sarebbe
stato inciso, per quanto d’interesse, dall’intervenuta sentenza di questa Corte n. 251 del 2016, che pure
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge delega del 2015, nella parte

in cui prevedevano il parere anziché l’intesa per l’adozione dei decreti legislativi, in quanto la dichiarata
illegittimità è circoscritta alle sole disposizioni della legge di delegazione e non si estende alle relative
disposizioni attuative. In senso analogo si sarebbe espresso anche il Consiglio di Stato nel parere del 9
gennaio 2017, n. 83.
Questa Corte condivide la prospettazione dell’Avvocatura generale dello Stato. Infatti, benché la
sentenza n. 251 del 2016 abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge
delega n. 124 del 2015 – tra cui quelle relative alla dirigenza pubblica (incluso l’art. 11, comma 1, lettera
p, concernente specificamente la dirigenza sanitaria) – la stessa decisione fa salvi i decreti legislativi già
emanati. In tale pronuncia, la Corte ha perimetrato gli effetti della declaratoria di incostituzionalità, come
già accaduto in differenti occasioni, con salvaguardia delle disposizioni attuative, e ciò anche in ragione
della prospettata possibilità di «soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di
assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione» (sent. n. 251 del 2016). Nella conclusione
della motivazione, infatti, la Corte precisa che le «pronunce di illegittimità costituzionale, contenute in
questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto
del ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative» (sentenza n. 251 del 2016). Sicché, il
d.lgs. n. 171 del 2016 in materia di dirigenza sanitaria, al pari degli altri decreti legislativi già emanati al
momento della decisione di questa Corte, non è stato travolto dalla pronuncia di illegittimità
costituzionale.
3.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, neppure la successiva adozione del decreto
legislativo 26 luglio 2017, n. 126, recante «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 4
agosto 2016, n. 171, di attuazione della delega di cui all’articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7
agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria» – sul cui schema, in data 6 aprile 2017, è stata
sancita l’intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome ed acquisito, in pari data, il parere della Conferenza unificata, anch’esso favorevole – avrebbe
inciso sul quadro normativo sopra delineato, restando quindi immutati i termini della questione di
legittimità qui sollevata. Pertanto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha manifestato la permanenza
dell’interesse ad una pronuncia di illegittimità della norma impugnata, in ragione dell’applicazione
datane medio tempore dalla Regione Siciliana mediante il commissariamento di diverse aziende
sanitarie.
Anche su tale punto, questa Corte condivide le osservazioni dell’Avvocatura generale dello Stato e
ritiene che l’intervenuta adozione del d.lgs. n. 126 del 2017 non determini la sopravvenuta carenza di
interesse alla pronuncia, benché esso realizzi la condizione cui il legislatore regionale aveva
espressamente ancorato il termine di efficacia del proprio intervento, destinato a valere «nelle more della
modifica legislativa discendente dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2016». Secondo una
giurisprudenza costante, infatti, il sindacato di costituzionalità deve trovare spazio ogniqualvolta la
norma impugnata, seppure ad efficacia temporale limitata qual è quella impugnata, abbia prodotto effetti
(sentenza n. 260 del 2017).
4.– Prima di esaminare nel merito la questione sollevata, occorre ancora preliminarmente osservare
che, in ordine al riparto di competenze, il Presidente del Consiglio dei ministri ha indicato tra i parametri
violati, sia l’art. 117, terzo comma Cost., sia l’art. 17, lettere b) e c), statuto reg. Siciliana, il quale
circoscrive la potestà legislativa regionale in materia di sanità pubblica e assistenza sanitaria «[e]ntro i
limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato».
Questa Corte ha già ritenuto che l’ampiezza della potestà legislativa della Regione Siciliana in
materia di sanità pubblica coincide con quella di tipo concorrente, delineata dal Titolo V della
Costituzione per le Regioni ordinarie in materia di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.),
«con la conseguenza che i “principi generali” della materia ai quali deve attenersi la legislazione siciliana
corrispondono ai “principi fondamentali” che, nella stessa materia, vincolano le Regioni a statuto
ordinario» (sentenza n. 430 del 2007; nello stesso senso, sentenza n. 448 del 2006).
Pertanto, occorre procedere esaminando nel merito la questione di legittimità costituzionale alla luce
dei parametri costituzionali e di quelli statutari, congiuntamente considerati.

5.– Nel merito la questione è fondata.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, laddove si denunci la violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost. è onere del ricorrente indicare specificamente la disposizione statale interposta che si
ritiene violata ed in particolare il principio fondamentale della materia asseritamente leso (ex plurimis,
sentenza n. 54 del 2015).
Nel caso di specie, tale onere è stato pienamente assolto dal ricorrente, che ha descritto il complesso
delle disposizioni statali in materia di dirigenza sanitaria dal quale desumere l’esistenza del principio
fondamentale secondo cui la nomina dei direttori generali delle aziende e degli enti del Servizio Sanitario
Nazionale deve necessariamente e obbligatoriamente avvenire mediante ricorso agli elenchi di idonei
predisposti a tale scopo.
Quanto alla natura di «principi fondamentali della materia» delle disposizioni richiamate dal
ricorrente come parametri interposti – accanto alla considerazione, di per sé non risolutiva, che molte
delle stesse sono espressamente autoqualificate come tali (in particolare, i criteri di cui all’art. 11,
comma 1, lettera p, legge n. 124 del 2015, e le norme del d.lgs. n. 502 del 1992, indicate dall’art. 19
dello stesso decreto) – occorre osservare che l’intervento del legislatore statale è stato caratterizzato, sin
dal decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese
mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre
2012, n. 189, dall’intento di circoscrivere la scelta dei dirigenti – rimessa alle Regioni – tra i candidati in
possesso di comprovati titoli e capacità professionali, iscritti in appositi elenchi, allo scopo di affrancare
la dirigenza sanitaria da condizionamenti di carattere politico e di privilegiare criteri di selezione che
assicurino effettive capacità gestionali e un’elevata qualità manageriale del direttore generale.
In tale ottica, la previsione di un elenco in cui devono essere iscritti i soggetti che intendono
partecipare alle singole selezioni regionali è da ricondursi all’esigenza di garantire un alto livello di
professionalità dei candidati, i quali debbono possedere requisiti curriculari unitari. Tale esigenza è
espressione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, data l’incidenza che la
professionalità delle persone che ricoprono gli incarichi apicali esplica sul funzionamento delle strutture
cui sono preposte, con inevitabili riflessi sulla qualità delle prestazioni sanitarie rese.
Le disposizioni invocate dal ricorrente debbono pertanto ritenersi espressione di un principio
fondamentale in materia di tutela della salute.
6.– Così ricostruita la cornice normativa statale di riferimento, deve ritenersi che, con la norma
impugnata, la Regione Siciliana abbia oltrepassato i limiti della competenza legislativa ad essa
riconosciuta.
La legge regionale è stata adottata al dichiarato fine di dettare una disciplina urgente e transitoria,
anche in considerazione del «mancato aggiornamento dell’elenco regionale secondo quanto previsto dal
comma 3 dell’articolo 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed
integrazioni al fine di evitare liti e contenziosi» (art. 3, legge reg. Siciliana n. 4 del 2017).
Al riguardo, va però evidenziato che il mancato aggiornamento dell’elenco regionale degli idonei
non vale a giustificare una previsione volta a derogare agli ordinari criteri per il conferimento degli
incarichi in questione, atteso che, proprio ai sensi dell’art. 3-bis d.lgs. n. 502 del 1992, richiamato dalla
norma censurata, in mancanza dell’elenco regionale, l’ente territoriale deve attingere a quelli delle altre
Regioni.
Pertanto, non sussistono le ragioni invocate dal legislatore regionale a giustificazione dell’adozione
di una disciplina temporanea ed eccezionale, che stabilisce il divieto di procedere alla nomina di nuovi
direttori generali delle aziende sanitarie provinciali e, in caso di scadenza naturale dell’incarico, dispone
la nomina di commissari. Per di più, la genericità della previsione regionale, che non definisce né le
procedure, né i requisiti, né i termini di decadenza dei commissari, consente alla Regione di conferire gli
incarichi apicali della dirigenza sanitaria in maniera ampiamente discrezionale, al di fuori del sistema
delineato dal legislatore statale, mettendo quindi a rischio le finalità perseguite da quest’ultimo.

7.– In favore della legittimità della norma regionale impugnata, non può valere neppure il richiamo,
operato dalla stessa, all’art. 1 della legge della Regione Siciliana 2 agosto 2012, n. 43 (Disposizioni in
materia di nomine, incarichi e designazioni da parte del Governo della Regione), che ha inserito, nella
legge della Regione Siciliana 28 marzo 1995, n. 22 (Norme sulla proroga degli organi amministrativi e
sulle procedure per le nomine di competenza regionale), gli artt. 3-bis e 3-ter, volti a disciplinare le
nomine per gli incarichi di vertice da parte del Presidente della Regione, dopo l’indizione delle nuove
elezioni regionali, ovvero nei sei mesi anteriori alla data di indizione delle elezioni. Le disposizioni
richiamate prevedono che, dopo la data di pubblicazione del decreto di indizione delle elezioni
dell’Assemblea regionale siciliana e del Presidente della Regione, ovvero dopo il verificarsi di una causa
di conclusione anticipata della legislatura regionale, non si può procedere a nuove nomine, designazioni
o conferimenti di incarichi in organi di amministrazione attiva, o enti, aziende, soggetti comunque
denominati, di diritto pubblico o privato, sottoposti a tutela, controllo o vigilanza della Regione. Al fine
di garantire la continuità dell’azione amministrativa, il Governo regionale dovrà se del caso nominare
commissari straordinari, laddove la cessazione dall’incarico per scadenza naturale avvenga in una delle
ipotesi sopra dette (indizione delle elezioni o conclusione anticipata della legislatura).
Come evidenziato dall’Avvocatura generale dello Stato, il richiamo a tale normativa risulta oscuro e
inconferente, trattandosi di ipotesi diverse e non assimilabili a quelle disciplinate dalla norma impugnata.
8.– Alla luce delle considerazioni sopra espresse, deve essere dichiarata l’illegittimità dell’art. 3
legge reg. Siciliana n. 4 del 2017, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. e all’art. 17, lettere b) e
c), statuto reg. Siciliana.
Resta assorbito ogni ulteriore profilo di censura.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Siciliana 1° marzo 2017, n.
4 (Proroga dell’esercizio provvisorio per l’anno 2017 e istituzione del Fondo regionale per la disabilità.
Norme urgenti per le procedure di nomina nel settore sanitario regionale).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio
2018.

F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2018.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE

Le sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale sono pubblicate nella prima serie speciale della Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana (a norma degli artt. 3 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 e 21 del decreto del Presidente della
Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092) e nella Raccolta Ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale (a norma

dell’art. 29 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate dalla Corte costituzionale il 16
marzo 1956).
Il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale fa interamente fede e prevale in caso di divergenza.

 

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