75 anni fa lo sbarco degli americani in Sicilia. Il ruolo della mafia e le stragi del generale Patton

10 luglio 2018

Il 10 luglio del 1943, quelli passati alla storia come “alleati”, invadevano la Sicilia. La colossale manovra militare segnò l’inizio della campagna d’Italia, il primo passo delle penetrazione degli americani nel Continente europeo. Così come la mafia, nel 1860, aveva aiutato Garibaldi, i mafiosi – siciliani e siculo-americani – nel 1943, supportarono gli americani. Anche se non mancarono le stragi operate dal paranoico generale Patton

Esattamente 75 anni fa, il 10 luglio del 1943, avveniva una delle fasi più drammatiche e appassionanti della Seconda guerra mondiale: lo sbarco in Sicilia delle truppe alleate. L’Operazione Husky, come venne chiamata in codice, fu una colossale manovra militare che segnò l’inizio della campagna d’Italia ed è anche il primo passo della penetrazione alleata nel Continente europeo. Come porta d’ingresso si scelse l’Italia, che Churchill definiva “il ventre molle” dell’Asse.

11 giugno 1943: gli inglesi occupano Pantelleria. E’ il primo lembo d’Italia a cadere. 10 luglio 1943: comincia lo sbarco di 160.000 soldati alleati sulle coste sud-orientali della Sicilia. 39 giorni dopo, il 17 agosto 1943, il generale USA George Patton entra a Messina, ultima città a capitolare. La Sicilia è conquistata.

Un imponente operazione militare che nei suoi meandri ha dei punti oscuri che la storia, al di là delle retoriche e dei trionfalismi, ha sempre taciuto e nascosto. Come quello del ruolo di supporto logistico che, per facilitare lo sbarco, ebbe la mafia con personaggi come Lucky Luciano, Vito Genovese, Calogero ‘Calò’ Vizzini e Giuseppe Genco Russo. E poi ancora sulle stragi dimenticate e impunite compiute dai “liberatori” militari americani su civili e prigionieri italiani subito dopo lo sbarco alleato.

In buona sostanza, come era avvenuto prima, esattamente l’11 maggio del 1860 con lo sbarco di dei mille a Marsala, in cui la mafia con i picciotti corse in soccorso dei “liberatori” garibaldini, così 83 anni dopo corse in soccorso dei “liberatori” americani supportandoli sul piano logistico ed operativo e ricevendone le adeguate ricompense.

La collaborazione della mafia sempre al servizio dei liberatori partì in grande stile: la valanga di informazioni fornite ai servizi segreti Usa da Lucky Luciano all’interno del carcere in cui doveva scontare parecchi anni consentì agli americani non solo di smantellare la rete spionistica italiana nel porto di New York, ma anche di garantirvi una forzosa pace sindacale per non turbare l’invio di materiale bellico in Europa, anche in preparazione delle sbarco alleato in Sicilia.

Un altro servigio reso da Lucky Luciano fu quello di segnalare agli americani i mafiosi residenti in Sicilia che avrebbero certamente cooperato al momento dello sbarco L’Office of Strategic Services (Oss) il servizio segreto statunitense, si preoccupò anche di selezionare militari di origine siculo-americana e di creare una rete di contatti con tutti coloro che, in Sicilia, fossero ostili al regime.

In un articolo della pagina culturale e storica della Stampa del febbraio del 2017, a firma di Andrea Cionci, a proposito del ruolo svolto dalla mafia all’atto dello sbarco degli americani in Sicilia si legge:

“Uno dei più efficaci provvedimenti mafiosi fu quello di minacciare pesantemente i militari siciliani di stanza nella loro regione. Venne ‘caldamente consigliata’ la diserzione e il sabotaggio per evitare conseguenze spiacevoli per loro e le loro famiglie. Ecco perché due delle quattro divisioni mobili italiane di stanza in Sicilia si sfaldarono, in buona parte, all’arrivo degli angloamericani.

Michele Pantaleone scrive in Mafia e droga che il 70% dei soldati delle divisioni “Assietta” e “Aosta” – quota corrispondente, appunto, a quella dei militari siciliani – il 21 luglio 1943, a sbarco avvenuto, “scomparve senza lasciare traccia pregiudicando, così, l’intero apparato difensivo siciliano”.

Questo si era verificato poiché, come spiega lo storico Giuseppe Carlo Marino, “il boss mafioso Genco Russo e i suoi sgherri avevano fatto intendere che c’erano parecchi malintenzionati che li avrebbero fatti fuori prima dell’arrivo degli anglo-americani”.

Non fu un segreto per nessuno che Charles Poletti, che fu governatore della Sicilia dopo l’occupazione, fosse arrivato a Palermo clandestinamente almeno un anno prima della fine della guerra e avesse soggiornato a lungo nella villa di un avvocato di mafia.

A dimostrazione ed a compenso dei servizi resi agli americani sul piano logistico e operativo, all’atto dello sbarco alleato in Sicilia i capi mafia dell’epoca, Don Calò Vizzini e Genco Russo, verranno imposti dall’AMGOT (il governo militare statunitense dei territori occupati) come sindaci dei loro rispettivi paesi, Villalba e Mussomeli.

Il 3 gennaio del 1946 Thomas E. Dewey, diventato governatore dello Stato di New York graziò Lucky Luciano, a suo tempo condannato a trent’anni di reclusione, per i servigi resi alla marina a condizione che lasciasse gli Stati Uniti per stabilirsi in Italia. Alla luce di quanto detto, per i negazionisti del ruolo che la mafia ebbe nello sbarco degli alleati in Sicilia e dei rapporti di questa con i servizi segreti americani, c’è dunque molto da riflettere e da riconsiderare.

L’altro punto oscuro dello sbarco delle truppe americane di quel lontano 10 luglio 1943 di 75 anni fa, come dicevamo all’inizio, è quello che riguarda le stragi compiute dagli americani ai danni di militari italiani già arresisi e di civili inermi .Di tutto questo ne fu responsabile il generale Patton che, della serie “non si fanno prigionieri”, definire criminale di guerra è più che mai riduttivo.

Questa belva prima dello sbarco ai suoi ufficiali in attesa di ordini ebbe a raccomandare a proposito della cattura dei prigionieri: “Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!”.

Ed è esattamente quello che, rispettando le sue direttive, fecero i suoi uomini con la strage di Biscari che vide 76 prigionieri italiani e 12 civili cadere sotto le mitragliate del capitano John Compton e del sergente Horace West. Ed ancora, le stragi e gli eccidi di Piano Stella, di Comiso, di Castiglione, di Vittoria, di Canicattì, di Paceco, di Butera, di Santo Stefano di Camastra.

Quasi tutti i responsabili di questi eccidi, nei casi in cui furono sottoposti a corte marziale, furono assolti o condannati scandalosamente a pene irrisorie. Per non parlare poi degli stupri, le uccisioni e le razzie perpetrate a Troina del reparto Tabor, composto da 832 militari marocchini sbarcati al seguito della 3° divisione americana.

Ecco di che pasta erano fatti quegli americani che allora si fecero chiamare i “liberatori” ed al giorno d’oggi tra una guerra e un altra per usare un termine più moderno amano definirsi “esportatori di democrazia”. E proprio per questo che oggi, nella ricorrenza di quello sbarco epocale in Sicilia del luglio del 43 che andò sotto il nome di operazione Husky, vale la pena – per le verità storiche troppo spesso ignorate – di ricordare i punti oscuri di quegli avvenimenti: come il ruolo non secondario che ebbe la mafia per favorire lo sbarco e supportare l’avanzata americana in Sicilia e, soprattutto, ricordare gli eccidi e le stragi compiute dagli uomini del paranoico e criminale generale Patton. Questo ricordo è un atto dovuto per onorare la memoria delle vittime di quegli esecrabili eccidi di cui si sono spesso dimenticati i libri di storia.

Foto tratta da quasimezzogiorno.org

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