La Sicilia di Peppino Impastato e quella di oggi: perché ci siamo ridotti così?

10 maggio 2018

Rispetto alla Sicilia di quarant’anni è cambiato il mondo. Però una caduta così, una scivolata così in basso, per la nostra Isola – per il senso della politica, per la morale in politica, per il coinvolgimento delle giovani generazioni in politica – non era immaginabile. Rispetto alla Sicilia di Peppino Impastato è cambiato tutto. In peggio 

Ieri, 9 maggio 2018, è stato ricordato Giuseppe ‘Peppino’ Impastato, il giovane attivista di Democrazia Proletaria ucciso dai mafiosi quaratant’anni fa a Cinisi. Lo vogliamo ricordare anche noi: vogliamo ricordare il coraggio e il suo impegno sociale e politico contro la mafia e la testimonianza che ha lasciato.

Altri hanno ricordato la figura di questo ragazzo che, dai microfoni di Radio Aut, a Terrasini – paese del Palermitano praticamente attaccato a Cinisi – prendeva in giro i capi dell’onorata società, a cominciare dal capomafia Don Tano Badalamenti, che Peppino Impastato chiamava “Tano seduto”.

Noi vogliamo provare a raccontare, per grandi linee, la Sicilia del 1978 raffrontandola con la Sicilia di oggi. Questo è solo un articolo che non ha certo l’ambizione di spiegare tutto della Sicilia di quarant’anni fa, ma solo il modesto tentativo di cogliere alcune differenze.

Cominciamo dai giovani. Peppino Impastato, nel 1978, aveva trent’anni. Dieci anni prima, ventenne, aveva vissuto il Sessantotto, anno in cui i giovani di tante aree del nostro Pianeta avevano deciso di cambiare il mondo provando a portare “L’immaginazione al potere”.

Molti dei giovani di allora, in Italia – e Peppino Impastato era uno di questi – rappresentavano la frattura con il passato. Il miti della sinistra politica erano tutti presenti nell’immaginario dei ragazzi dell’epoca. Ma c’era, soprattutto, tanta voglia di libertà.

Il vento del cambiamento, tra i giovani, soffiava anche in Sicilia. Nei primi anni ’70, a Palermo, nei licei, le zuffe tra fazioni politiche diverse erano all’ordine del giorno.

C’erano i comunisti che avevano tanti volti: quello ufficiale del Pci (per la precisione della Federazione giovanile comunista italiana, conosciuta come Fgci); a cui si aggiungevano tante anime della sinistra extra parlamentare che aveva nel fantastico quotidiano Lotta Continua il proprio punto di riferimento. C’erano – e si moltiplicheranno a partire dai primi anni ’70 – tante altre sigle della sinistra fuori dagli schemi tradizionali.

C’erano i fascisti, o meglio i “Camerati”, persi tra le mirabolanti parole di Giorgio Almirante, oratore di razza. E c’era la destra della destra, ovvero i seguaci di Pino Rauti, che rappresentava la ‘purezza’ di non si capiva bene che cosa: ma era un ‘puro’ e questo bastava.

Un mondo a sé era rappresentato dagli anarchici, che non stavano né con la sinistra ‘officiale’ della Fgci, né con la sinistra extra parlamentare e, meno che mai, ovviamente, con la destra dei ‘Camerati’. I ragazzi anarchici leggevano Stato e rivoluzione di Bakunin, parlavano di Errico Malatesta e del mito di Paolo Schicchi, l’anarchico siciliano delle Madonie.

La politica, tra i giovani di allora, era una cosa seria. Le botte – anche a colpi di catene – tra i ragazzi comunisti da una parte e i giovani fascisti dall’altra parte, o tra anarchici e fascisti erano fatti quasi normali (comunisti e anarchici non si ‘prendevano’ tanto, ma tra loro non se le davano, forse perché c’era il ‘nemico comune’ rappresentato dai ‘Camerati’).

La differenza tra i ragazzi siciliani di oggi e i ragazzi siciliani di quarant’anni fa è abissale. Allora c’era quello che veniva chiamato “l’impegno”: i giovani erano impegnati in politica. Oggi non manca, da parte dei giovani, l’impegno nel sociale, ma l’impegno che c’era allora nei riguardi della politica oggi non c’è proprio.

Peppino Impastato, a trent’anni, aveva già un vissuto politico – di impegno politico – alle spalle. Come già accennato, militata in Democrazia Proletaria, formazione politica nata per cercare di portare in un alveo istituzionale i tanti giovani che credevano nella rivoluzione.

Vedere, oggi, alcuni dei giovani di quegli anni che, ancora nel 1978, sfilavano per le strade delle città siciliane gridando slogan barricadieri del tipo: “Lotta dura senza paura” o “Fascisti, carogne, tornate nelle fogne” o, ancora, il più ‘musicale “Fascista, attento, fischia ancora il vento”, ebbene, vedere oggi alcuni di questi giovani di allora plaudire a Matteo Renzi o, addirittura, a Berlusconi fa una certa impressione!

Chi scrive ricorda che a Palermo, allora, c’era ancora una classe operaia vera. Certo, di lì a poco sarebbe stata contaminata, in negativo, dagli operai delle società di ‘parcheggio’ della Regione siciliana dove andavano trovando posto i lavoratori delle imprese regionali che fallivano una dietro l’altra. Ma, bene o male, c’era una classe operaia.

Sì, una classe operaia che, a Palermo, aveva il fiore all’occhiello delle tute blu del Cantiere Navale. Negli anni ’70, quando gli operai del Cantiere Navale scioperavano Palermo si bloccava. Erano più di mille gli operai dei Cantieri Navali e lo sciopero veniva annunciato prima:

Mii – si diceva – rumani l’operai r’u Cantiere scinninu ‘mpalliemmu…“.

Perché, poi, il verbo “scendere”, visto che il Cantiere Navale si trova in riva al mare non si è mai capito: ma allora si diceva così: era così e basta.

Oggi anche il Cantiere Navale è cambiato. I dipendenti sono pochi. Le commesse sono pochissime. La voglia di lottare latita. Di una grande tradizione rimane ben poco.

In realtà, già a metà anni ’80, la crisi culturale e sindacale che va in scena nel Cantiere Navale di Palermo – per esempio, le insufficienze dei sindacati tradizionali rispetto alla questione amianto, o i silenzi degli stessi sindacalisti rispetto alle denunce dell’operaio Gioacchino Basile – annunciano la crisi della sinistra siciliana.

Negli anni ’70 militanti ed elettori del Pci si dividevano tra il sì e il no al Compromesso storico. Oggi, nel PD – partito che, bene o male, è l’erede del vecchio Pci – si dividono tra renziani, antirenziani e vediamo-dove-getta-e-poi-decidiamo. Quest’ultima categoria – cioè quelli che saltano sul carro del vincitore – sono i più incredibili.

I “saltatori” del PD siciliano sono quelli, per intendersi, che nella primavera del 2016, quando Renzi, con le TV in poppa, pensava di vincere il referendum sulle riforme costituzionali, facevano la fila per passare con i renziani. Oggi, in attesa di capire se Renzi continuerà a comandare nel PD, aspettano.

Le distanze tra i comunisti e i democristiani siciliani degli anni ’70 (perché nel PD ci sono anche gli ex democristiani della sinistra) con i ‘capi’ del PD siciliano di oggi sono siderali.

Nel Pci siciliano di fine anni ’70 c’erano politici di grande spessore. Di lì a poco, nell’Isola, sarebbe tornato Pio La Torre, che era già stato leader di questo partito nella Sicilia degli anni ’50 e ’60.

Sarebbe tornato tra tanti musi lunghi presenti nel suo stesso partito, che lo consideravano un esponente della “destra” del Pci: dimenticando che il Pci siciliano, a partire dal 1973-’74, aveva iniziato la manovra di avvicinamento ai Governi regionali di “Solidarietà autonomista”, anticipo del Compromesso storico in salsa siciliana con la Dc di Salvo Lima e di Rosario Nicoletti.

La Torre – vera e propria anomalia rispetto alla crisi della sinistra siciliana – smentirà gli scettici e riuscirà a portare nelle piazze dell’Isola migliaia e migliaia di persone, trovando con i cattolici intese non sui disegni di legge di fine legislatura a Sala d’Ercole (leggere spartizioni di risorse), ma sul no ai missili Cruise di Comiso.

La Torre morirà trucidato a Palermo insieme al suo autista Rosario Di Salvo la mattina del 30 aprile del 1980. La mafia, certo. Ma anche altro, molto altro.

Anche la Regione siciliana di allora era molto diversa dalla Regione siciliana di oggi. Era più ricca, certo. Ma era una Regione che aveva valori politici e culturali. Il 1978 – l’anno in cui muore Peppino Impastato – Piersanti Mattarella vara un Governo regionale di apertura al Pci.

Ma il suo è un cammino difficile, pieno di insidie. Il maggio del 1978, giorno in cui era stato trovato il cadavere di Peppino Impastato, era stato trovato anche il cadavere di Aldo Moro, il leader della DC al quale Mattarella era politicamente legato.

I giorni del Governo Mattarella saranno intensi. Allora non c’era la rete che oggi comunica tutto in tempo reale. Ma la svolta, nella politica siciliana, c’è: e si avverte nelle dichiarazioni programmatiche del nuovo Presidente della Regione, negli atti amministrativi e, soprattutto, in alcune leggi approvate in quegli anni dall’Ars.

Mattarella verrà trucidato la mattina del 6 gennaio del 1980. Il suo Governo – il suo ‘stile’ di Governo, con precisi richiami all’Autonomia siciliana e alla centralità del Parlamento dell’Isola – resteranno nella storia.

Un raffronto con la Regione di oggi è quasi impossibile. E la questione finanziaria – gli scippi finanziari subiti negli ultimi cinque anni dalla Regione grazie agli ‘ascari’ – c’entrano fino a un certo punto.

E’ cambiato il mondo, certo: ma è peggiorata la morale in politica. Il precariato trascinato di qua e di là, da un’elezione all’altra, con i contratti che si rinnovano ad ogni campagna elettorale, dà la misura del degrado politico e istituzionale in cui è affondata la Regione.

Gli “impresentabili” non sono una trovata lessicale-elettorale: sono la realtà.

L’ultima ‘ciliegina’ di queste ore è rappresentata dal personale raccattato quale e là nei Parchi siciliani che una legge regionale dovrebbe trasformare, come per magico incanto, in “Guardie del Corpo Forestale”. Un delirio. L’ultima – in ordine di tempo – utilizzazione miserabile della potestà legislativa della Sicilia autonoma. Della serie: non c’è più il Commissario dello Stato e si può fare tutto.

Che tristezza!

Come ha fatto la Sicilia a cadere così in basso?

Foto tratta da ilfastidioso.myblog.it

 

 

 

 

 

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