MATTINALE 51/ Il perdono, la prescrizione e i farabutti in politica

20 aprile 2018

“Nulla incoraggia il delitto come la clemenza” (Shakespeare). Qualcuno di buon senso, non prevenuto, potrebbe spiegarmi la ratio logica ed etica della prescrizione?

Consentitemi di iniziare questa mia chiacchierata con un ricordo personale.

Mio zio Eugenio, fratello maggiore di mio padre, era una persona mite e pacifica. Sembrava capace di sopportare i casi della vita senza fare un plissé. Seppi tanto tempo dopo che, da piccolino, era stato l’esatto contrario. Irascibile, scontroso, indocile. Per queste sue cattive predisposizioni, ritenendo un giorno a scuola di avere subito un torto dal maestro, gli lanciò addosso un calamaio. La sanzione, siamo nei primi anni del secolo scorso, fu severissima. “Espulsione in perpetuo da tutte le scuole del Regno”.

Si dette una calmata che gli bastò per tutta la vita. Altri tempi, certo! Migliori o peggiori di quelli che viviamo? Giudicate voi. Io però mi faccio una domanda: perché il ragazzo che ha accoltellato la prof non è finito in un istituto correzionale per almeno tre anni? Perché si è giunti a tanto?

Qualcuno ipotizza che la causa di ciò sta addirittura nell’introduzione del suffragio universale. E fa quest’esempio.

Nel romanzo di Victor Hugo, “I miserabili”, il protagonista, Jean Valjean, viene condannato a 15 anni di lavori forzati per avere rubato un pane per sfamarsi. Perché tanto accanimento? Semplice: perché nella Francia di quei tempi i Jean Valjean non avevano diritto di voto. Erano nessuno. Con l’invenzione del popolo sovrano, per la politica, anche gli ultimi diventano importanti. Contano quanto tutti gli altri. Un certificato elettorale ti cambia la vita ed ha avuto lo stesso effetto della Colt nel West: ci ha resi tutti uguali.

Bisogna non inimicarseli, gli elettori. Tesi suggestiva, ma illogica, sostiene qualcuno. Anche in altri Paesi vige il suffragio universale, ma lì i minori finiscono addirittura e direttamente in galera.

Altra motivazione, forse meno peregrina, consiste anch’essa in una deriva del suffragio universale. All’estensione del diritto di voto al colto e all’inclita, ovvero siamo tutti elettori, ha fatto da pendent il corrispondente abbassamento della qualità degli eleggibili, per i quali non c’è praticamente nessuno sbarramento. Nell’impossibilità di mettersi d’accordo su chi siano i degni e gli indegni si è preferito non farne nulla. E se ieri tra i politici non c’era nessuno che rubava un pane e poteva scatenare il suo perbenismo sul miserabile di turno, oggi rubare più di un pane è diventato un indispensabile requisito per avviarsi al cursus honorum.

“Forti” della propria cattiva coscienza, i politici, direbbe Platone, hanno corrotto le leggi nel loro esclusivo interesse. Si va dalla diminuzione della pena edittale all’istituzione di benefici e attenuanti, allo sconto di pena generalizzato. Il tutto, se ed in quanto si riesca a superare le mille difficoltà che i politici hanno disseminato nel corso dei procedimento penale.

(Qualcuno di buon senso, non prevenuto, potrebbe spiegarmi la ratio logica ed etica della prescrizione?).

Ecco perché, è la tesi, un ladro abituale che in altri Paesi, al terzo furto, non esce più di galera, qui in galera praticamente non ci va mai.

E così, un qualunque farabutto che, per oscuri e complicati giochi, riuscisse a candidarsi nel nostro Paese alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, certamente attirerebbe su di sé l’attenzione dei farabutti come lui, e di tutti quelli che, da un’amministrazione della cosa pubblica corrotta, clientelare, interessata avrebbero tutto da guadagnare. E se disgraziatamente questi elettori di ogni risma fossero maggioranza nel Paese ci troveremmo un farabutto Presidente del Consiglio.

Per fortuna non è il nostro caso.

Foto tratta da wuz.it

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