Fondi europei in agricoltura: la truffa scoperta a Enna e la totale assenza di ‘trasparenza’ della Regione

19 gennaio 2018

La truffa da 10 milioni di euro di fondi europei scoperta a Enna e dintorni ripropone un tema che I Nuovi Vespri portano avanti da quando sono in rete: la necessità di rendere noti i nomi di tutti i soggetti che percepiscono il fiume di fondi europei destinati all’agricoltura siciliana. Perché il dubbio è che una parte non secondaria di questi fondi finisca nelle tasche di chi con l’agricoltura siciliana non ha nulla a che spartire!  

“Maxi truffa sui fondi agricoli a Enna, 45 indagati. Sequestrati 10 milioni” (di euro), titola il Giornale di Sicilia. A parte le 45 persone indagate – delle quali si sta occupando la magistratura – questa vicenda merita un commento, perché, come ora proveremo ad illustrare, ci porta dritti dritti a una tesi che I Nuovi Vespri portano avanti da tempo: la necessità di conoscere i soggetti che hanno percepito l’enorme fiume di fondi europei per l’agricoltura destinati alla Sicilia.

Perché sosteniamo questo? Perché non è possibile che centinaia e centinaia di milioni di euro all’anno destinati al mondo dell’agricoltura  siciliana (anche se erogati in ritardo, come sta avvenendo), producano benefici limitati e, in alcuni casi, non ne producano affatto!

Il dubbio è che una parte consistente di questo fiume di fondi europei (CHE NON SONO POCHI, COME POTETE LEGGERE QUI) finisca nella tasche di soggetti che con l’agricoltura siciliana hanno poco o nulla a che spartire.

“Gli indagati leggiamo sul Giornale di Sicilia – dichiarando falsamente la proprietà o l’affitto di terreni principalmente in Sicilia, ma anche in diverse altre regioni per un totale di oltre 25.000 particelle catastali esaminate sull’intero territorio nazionale, avrebbero indebitamente percepito, dal 2005, fondi Ue per oltre 10 milioni di euro”.

La cifra di certo non è piccola, perché 10 milioni di euro sono una bella somma. Ma è nulla a fronte di 5 miliardi di fondi europei che, ogni sette anni, Bruxelles destina all’agricoltura della Sicilia. Che fine fanno questi soldi?

Con molta probabilità, nei mesi scorsi qualcosa del genere doveva essere nell’aria: e forse è per questo che è diventata più stringente la certificazione antimafia di chi, in Italia, deve percepire i fondi europei per l’agricoltura: se prima era necessario esibire la certificazione antimafia per chi percepiva contributi superiori a 150 mila euro, adesso la soglia è stata portata a 25 mila euro.

Basterà questo per ridurre le truffe? Di certo rallenterà l’erogazione di tali fondi. Quanto all’obiettivo da raggiungere, beh, la mafia è sempre bene tenerla lontana dai fondi pubblici, anche se, proprio in questo caso, gli scenari potrebbero essere altri, magari con dentro sempre i mafiosi, che non sono affatto fessi.

Di quali scenari parliamo? Uno dei punti, a nostro modesto avviso dolenti, di questa storia dei fondi europei è legata – lo ribadiamo – ai soggetti che percepiscono tali contributi.

Chi sono, oggi, gli agricoltori? Oggi, una qualunque società per azioni, mettendo dentro un giovane, magari agronomo, esibendo la proprietà di terreni agricoli, può accedere ai fondi europei in agricoltura. Chi controlla, poi, che i fondi erogati vengano investiti nell’agricoltura siciliana?

Secondo la magistratura che ha scoperchiato la truffa ad Enna e dintorni, come leggiamo sempre nel Giornale di Sicilia, “la realizzazione del disegno criminoso è stato reso possibile attraverso l’attività di molti operatori e responsabili dei Centri assistenza agricola”, i quali, sostiene l’accusa “anziché svolgere le proprie funzioni di consulenza e controllo sulle domande per ottenere fondi comunitari erano piuttosto parte integrante del sistema fraudolento”.

La burocrazia che dovrebbe controllare fa parte del “sistema fraudolento”. Notevole, no?

Chi scrive ha cominciato a interrogarsi sui fondi europei destinati all’agricoltura nell’autunno del 2011, quando in rete c’era ancora LinkSicilia. Quando I Nuovi Vespri sono andati in rete abbiamo ripreso questa battaglia.

Da allora ad oggi abbiamo chiesto a tutti gli assessori regionali all’Agricoltura che si sono avvicendati dal 2011 fino ad oggi un report sull’erogazione dei fondi europei in questo settore. L’abbiamo fatto per la Programmazione 2007-2013 (cosa che ha fatto anche l’eurodeputato del Movimento 5 stelle eletto in Sicilia, Ignazio Corrao, unico politico siciliano che ha posto questo tema in un mare di silenzi). E siamo tornati a porlo con la Programmazione 2014-2020.

Della Programmazione 2007-2015 – 5 miliardi di euro! – non si è saputo nulla. A tutt’oggi non esiste un report su come e, soprattutto, a chi sono stati assegnati questi fondi.

Vi sembra un particolare secondario? A noi no!

Già la conoscenza dei soggetti che hanno percepito i fondi europei destinati all’agricoltura siciliana dal 2007 al 2013 (ad Enna, da quello che desumiamo, la magistratura ha cominciato addirittura partendo dai fondi di Agenda 2000, la Programmazione 2000-2006) sarebbe importante: sia per capire chi sono questi ‘fortunati’ e se operano in agricoltura, sia perché, in genere, quando vanno ‘a buon fine’, le operazioni si ripetono…

Attenzione: non stiamo facendo di tutta l’erba un fascio: sappiamo che una parte cospicua di questi fondi arriva in Sicilia, ma sappiamo anche che per un’altra parte di questi fondi non c’è ‘trasparenza’.

Qualcuno – gli ‘intelligenti’ non mancano mai – fa notare che i fondi europei destinati all’agricoltura li eroga l’AGEA, l’Agenzia nazionale per le erogazione in agricoltura che ha sede a Roma.

E’ stata la stessa Regione siciliana (per la precisione, il Governo regionale di Rosario Crocetta) a chiudere l’Agenzia regionale per l’erogazione di tali fondi: Agenzia regionale che, funzionando – cosa che, non a caso, non è mai avvenuta! – avrebbe fatto chiarezza.

Detto questo, il fatto che l’AGEA ha sede a Roma significa che non si possono conoscere i nomi di chi percepisce tali fondi pubblici? E’ un ‘segreto di Stato’?

Dopo di che non possiamo non notare i paradossi: 5 miliardi di euro per sette anni sono una cifra immensa. Si potrebbe eradicare la Tristeza, il virus che ha colpito le piantagioni di arancia rossa nel Catanese e nel Siracusano, rilanciando questo settore; si potrebbero realizzare piattaforme per evitare che certi prodotti di qualità – per esempio, il Pomodorino di Pachino e il Datterino di Porto Palo di Pachino – vengano scippati per pochi euro agli agricoltori.

Si potrebbe affrontare il problema del vino, che non è fatto solo di grani nomi, ma anche di cantine sociali abbandonate a se stesse.

Si potrebbero sostenere i produttori di grano duro della Sicilia, non con la semplice integrazione, ma con politiche attive. Sembra incredibile, infatti, che mentre alcune Regioni italiane si stanno organizzando per coltivare le varietà di grano duro antiche della Sicilia, il Piano di Sviluppo Rurale della nostra Regione 2014-2020 non preveda nulla per i grani duri antichi!

Poi c’è la zootecnia, tra animali da carne, latte e formaggi. Quali sono state le politiche della Regione siciliana in questo settore?

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