La questione meridionale 3/ Il saccheggio del Banco delle due Sicilie

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Proseguiamo con la pubblicazione del nostro approfondimento con un capitolo dedicato al sistema monetario piemontese e alla strategia messa in atto da Cavour per salvare le finanze della borghesia del Nord

(Sotto in allegato le prime due parti)

Nel quadro della politica liberista impostata da Cavour, il paese meridionale, con i suoi quasi nove milioni di abitanti, con il suo notevole risparmio, con le sue entrate in valuta estera, appariva un boccone prelibato.
L’abnorme debito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politica bellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!) doveva essere risanato e la bramosia della classe borghese piemontese per la quale le guerre si erano fatte (e alla quale il Cavour stesso apparteneva a pieno titolo) doveva essere, in qualche modo, soddisfatta.
Descrivere vicende economiche e legate al mondo delle banche e della finanza, può risultare al lettore, me ne rendo conto, noioso, ma non è possibile comprendere alcune vicende se ne conoscono le intime implicazioni.
Lo stato sabaudo si era dotato di un sistema monetario che prevedeva l’emissione di carta moneta mentre il sistema borbonico emetteva solo monete d’oro e d’argento insieme alle cosiddette “fedi di credito” e alle “polizze notate” alle quali però corrispondeva l’esatto controvalore in oro versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie.
Il problema piemontese consisteva nel mancato rispetto della “convertibilità” della propria moneta, vale a dire che per ogni lira di carta piemontese non corrispondeva un equivalente valore in oro versato presso l’istituto bancario emittente, ciò dovuto alla folle politica di spesa per gli armamenti dello stato.
In parole povere la valuta piemontese era carta straccia, mentre quella napolitana era solidissima e convertibile per sua propria natura (una moneta borbonica doveva il suo valore a se stessa in quanto la quantità d’oro o d’argento in essa contenuta aveva valore pressoché uguale a quello nominale).
Quindi cita ancora lo Zitara: “Senza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l’Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degli Stati Sardi. La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d’oro e d’argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d’emissione sarda – che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni – avrebbe potuto costruire un castello di cartamoneta bancaria alto tre miliardi. Come il Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori della banca, che sarebbe poi divenuta Banca d’Italia) non tessevano e non filavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l’unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s’erano messi”.
A seguito dell’occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete per trasformarle in carta moneta così come previsto dall’ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e avrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano (benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancora per qualche anno). Quell’oro, invece, attraverso apposite manovre passò nelle casse piemontesi.
Tuttavia nella riserva della nuova Banca d’Italia, non risultò esserci tutto l’oro incamerato (si vedano a proposito gli Atti Parlamentari dell’epoca).
Evidentemente parte di questo aveva preso altre vie, che per la maggior parte furono quelle della costituzione e finanziamento di imprese al nord operato da nuove banche del nord che avrebbero investito al nord, ma con gli enormi capitali rastrellati al sud.
Ancora adesso, a ben vedere, il sistema creditizio del meridione risente dell’impostazione che allora si diede. Gli istituti di credito adottano ancora oggi politiche ben diverse fra il nord ed il sud, effettuando la raccolta del risparmio nel meridione e gli investimenti nel settentrione.

(continua…)

 

Le prime due puntate:

 

1)L’insabbiamento culturale della Questione Meridionale

2) La verità sul Regno delle Due Sicilie, al netto delle bugie degli storici di regime

Visualizza commenti

  • Per chi volesse approfondire le corrette tesi sostenute nell'articolo, oltre che dal compianto Nicola Zitara e da numerosi altri Autori, mi permetto di segnalare:
    - Alfredo Li Vecchi, Economia e politica nella Sicilia Borbonica, Sigma Edizioni;
    - Stefano Fenoaltea (Docente di Economia e Statistica presso l'Università di Torino), L'Economia italiana dall'unità alla grande guerra, UniversItalia.

  • P.S.: Inoltre, sulle attuali condizioni di sfruttamento coloniale subito dal Sud, segnalo i recenti studi di Gianfranco Viesti, ordinario di Economia applicata presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bari:
    - “Mezzogiorno a tradimento. Il Nord, il Sud e la politica che non c’è” (Laterza Roma-Bari, 2009);
    - “Più lavoro, più talenti. Giovani, donne, Sud. Le risposte alla crisi” (Donzelli, Roma, marzo 2010).
    - “Il Mezzogiorno vive sulle spalle dell’Italia che produce: falso!”. Laterza Edizioni, Bari.

  • C'è uno strano errore in questo articolo.
    Il Banco delle Due Sicilie non fu "poi" diviso in Banco di Napoli e Banco di Sicilia, Lo era già all'Unità d'Italia.
    Cambiò solo nome in Banco di Napoli.
    E il "Banco dei Regi Domini al di là del Faro" cambiò nome in Banco di Sicilia.
    La divisione tra i due Banchi risale alla Rivoluzione del 1848. Quando fu creato l'Istituto di Emissione Siciliano "Banco Nazionale di Sicilia", scorporando le due reali casse di corte di Palermo e Messina.
    Nel 1849, tra gli accordi per la resa, c'era che la Sicilia avrebbe mantenuto il proprio istituto d'emissione con quel nome lungo che ho detto sopra e che arrivò al 1860 per poi cambiare nome in Banco di Sicilia.
    Per il resto OK.

  • Ho atteso invano che qualcuno dei “sicilianisti” che frequentano questo sito e commemorano ogni possibile ricorrenza, ricordasse che l’8 dicembre 1816 Ferdinando III, sfruttando una ambiguità lessicale – peraltro nient’affatto nuova – presente nei deliberati del Congresso di Vienna, cancellava il Regno di Sicilia trasformandolo nei “Reali Dominj al di là del Faro”. Lo faccio, a questo punto in ritardo, io, sperando che anche nella “controstoria” qui molto amata quella svolta abbia diritto di cittadinanza.

  • Mi auguro che Franco Busalacchi voglia prima o poi svelarci l’identità degli “storici di regime” e degli “scrittori prezzolati” che hanno sistematicamente falsificato la storia d’Italia, visto che quelle categorie vengono continuamente evocate ma senza che mai se ne indichi un solo componente.
    Cercare di mettere ordine nel caos della ricostruzione di Zitara richiederebbe uno spazio che sarebbe inopportuno occupare qui. Lascio pertanto ad altri la storia costruita sugli aggettivi e mi limito a ricordare due fatti.
    1. Il debito pubblico del Regno d’Italia, risultante dalla somma dei debiti pubblici degli stati pre-unitari, ammontò nel 1861 a 2.402,3 milioni di lire correnti, ereditato per il 55% dal Regno di Sardegna ma per circa il 25% dal Regno delle Due Sicilie (cfr. G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. V, Feltrinelli, Milano, 1968, p. 241), quota tutt'altro che “irrilevante”. Giustino Fortunato, Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, vol. II, Bari, Laterza, 1911, p. 338, ricordava che già nel 1857 il debito pubblico del Regno delle Due Sicilie ammontava a 430 milioni, tale somma fu aumentata da almeno altre tre emissioni (13 ottobre 1859; maggio 1860; 1 settembre 1860); e non si trattava certo di spese in infrastrutture poiché, seppur vogliamo ignorare il problema ferroviario, di strade ce n’erano ogni 1000 abitanti 4,7 km, in Piemonte e 6,5 km. in Lombardia contro l’1,7 dei “domini al di qua del Faro” e addirittura l’1,1 di quelli “al di là del Faro”, e non era agevole trasportare merci via mare dal Matese a Salerno o zolfo da S. Cataldo a Licata.
    2. La “Banca d’Italia” fu fondata nel 1893: mescolarla agli eventi del 1861 non indica esattamente chiarezza di idee. Registro con rammarico che l’articolo non ci fornisce gli estremi del provvedimento con il quale “venne impedito al Banco delle Due Sicilie di rastrellare dal mercato le proprie monete” [la “storia” dice che il ducato continuò a circolare legalmente nelle regioni meridionali fino al 24 agosto 1862, quando venne emanata la legge sull'unificazione monetaria; ma la storia, si sa, è così noiosa].

  • Caro Marinelli, tutti i libri di storia sono stati e sono scritti
    da scrittori prezzolati. Io per esempio ho studiato su un libro che non scrisse che i mille al Volturno erano 24 mila e tutti sono convinti che i Garibaldini in mille cominciarono e in mille finirono l'impresa(Vada alla voce"battaglioni di rinforzo"). Nessuno mi ha mai spiegato che Nizza e la Savoia furono cedute alla Francia a mezzo di referendum forzati e presidiati dai fucili del soldati piemontesi, Nessuno ha spegato perchè la spedizione dei Mille fece tappa a Talamona.Lei lo sa Marinelli? e se lo sa me lo vuole raccontare? Sa anche come era vestito Garibaldi? Perchè i libri di storia non chiariscono che Teano e Gaeta sono in territorio allora del Regno delle Due sicilie e che il re galantino lo invase senza dichiarare guerra a Napoli?. Che sarebbe successo per esempio se i Giapponesi avessero vinto la II guerra mondiale a proposito di Pearl Harbour e all'attacco proditorio? Lei non saprebbe nulla. Che sarebbe successo dell'Olocausto se i Tedeschi avessero vinto la guerra? Glielo dico io: ci avrebbero insegnato che era stato necessario Mi fermo qui....per carità di "patria" Tutto il reale è razionale, ci insegna Hegel il che non vuol dire che tutto quanto accade è frutto di razionalità, ovviamente, ma che tutto si può spiegare con la ragione. La minorità del Sud è un dato reale e ha una spiegazione. Una sola. Il resto è menzogna

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