Per i Governi centrali il Sud non esiste: la prova nella Relazione sui conti pubblici territoriali

27 novembre 2017

Gianfranco Viesti, docente di Economia all’Università di Bari, commenta i dati relativi agli investimenti pubblici nel Mezzogiorno: “Al Sud sono venute a mancare negli ultimi anni, tanto la spesa ordinaria in conto capitale (dimezzata rispetto ai livelli pre-crisi, più o meno come nel resto del paese), quanto la spesa della politica nazionale di coesione territoriale (quella finanziata dal Fondo sviluppo e coesione)”. Resta da capire perché queste notizie non finiscano mai in prima pagina…

Se è vero, come viene ampiamente ripetuto, che molti ritardi del Mezzogiorno sono da imputare allo stesso Mezzogiorno– chiaro riferimento ad una classe politica, magistralmente descritta da Salvemini, asservita alle segreterie romane e agli interessi nordici- è anche vero che nei numeri si trovano spesso verità poco pubblicizzate e che contraddicono in parte l’assioma di cui sopra. Il problema è che, fatta eccezione per i report economici della Svimez -l’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno- che in pochi leggono nella sua interezza e di cui vengono diffuse solo le sintesi – è raro leggere un’analisi che metta nero su bianco quale sia, in termini concreti, l’approccio del Governo centrale nei confronti della questione meridionale. E quando queste analisi si trovano,  si apre un baratro: si scopre sempre, infatti, che il Sud semplicemente non esiste nell’agenda politica nazionale, ma non si deve sapere. Una sorta di ‘omertà di sistema’  fa in modo che certe verità non finiscano mai in prima pagina. Una sorta di ‘violenza domestica’ che deve restare segreta.

Leggiamo, ad esempio, una analisi recente di Gianfranco Viesti -professore ordinario di economia applicata nel dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari- pubblicata su un sito (Lavoce.info) molto conosciuto da chi segue i fatti della politica e dell’economia italiana. E chiediamoci perché sulla ‘grande’ stampa non ne troviamo traccia.

Cosa scrive Viesti?

Commenta l’ultima Relazione sui conti pubblici territoriali che include tutte le spese (correnti e in conto capitale) effettivamente realizzate, a partire dal 2000, in ogni regione italiana, da parte delle amministrazioni pubbliche (Pa) e dalle imprese a controllo pubblico (nell’insieme: settore pubblico allargato, Spa), consolidando tutti i relativi dati. “Consentono quindi valutazioni d’insieme e su quanto effettivamente avvenuto, indipendentemente da annunci o stanziamenti”.

Ebbene cosa ci dice questa relazione?

Che se è vero che il calo di queste spese riguarda l’intero Paese e al Sud che possiamo parlare di un vero e proprio crollo:

“Al Sud – scrive Viesti- sono venute a mancare negli ultimi anni, tanto la spesa ordinaria in conto capitale (dimezzata rispetto ai livelli pre-crisi, più o meno come nel resto del paese), quanto la spesa della politica nazionale di coesione territoriale (quella finanziata dal Fondo sviluppo e coesione). Quest’ultimo elemento è politicamente più rilevante, dato che la politica nazionale di coesione è, in particolare dal 2014, ai minimi storici: intorno a solo 1,5 miliardi di euro all’anno, fra un quarto e un terzo dei livelli medi precedenti. Si tenga presente che in teoria sarebbero disponibili 54,8 miliardi di euro per il 2014-20: cioè 6,3 miliardi all’anno (80 per cento del totale) al Sud. Le necessità di manutenzione e sviluppo del carente capitale pubblico nel Mezzogiorno ricadono quindi in misura spropositata sui soli fondi strutturali europei, che svolgono perciò un ruolo solo parzialmente compensativo (e caratterizzato da ritardi e vincoli procedurali).

Per collocare queste politiche in una prospettiva storica lunga, si può infine notare, riprendendo un’elaborazione contenuta nella Relazione, che la spesa per interventi nazionali finalizzati allo sviluppo del Mezzogiorno, che si aggirava intorno allo 0,85 per cento del Pil italiano negli anni Settanta, è progressivamente scesa, fino allo 0,47 per cento negli anni Novanta, allo 0,33 per cento del primo decennio del nuovo secolo e allo 0,15 per cento del 2011-2015.

La spettacolare compressione degli investimenti pubblici, nel Mezzogiorno come nel resto del paese,- commenta il docente universitario- rappresenta una scelta di politica economica decisamente preoccupante per il futuro del paese, e in particolare delle sue aree più deboli”.

Sempre sullo stesso sito troviamo anche un’analisi specifica sulle infrastrutture: dal 1992 gli investimenti in infrastrutture nel Mezzogiorno hanno continuato a scendere, compresi quelli per interventi di tipo sociale, come la costruzione di scuole e ospedali (qui sotto il grafico che riassume gli investimenti in opere pubbliche). 

 

“Il processo che ha portato all’impoverimento della dotazione infrastrutturale del Sud è incominciato da molto tempo, ma l’attenzione dei media e del dibattito politico si è concentrata a lungo sulle grandi opere. Poca attenzione è stata invece dedicata al deterioramento delle “infrastrutture di base”, quali strade, reti ferroviarie, scuole, ospedali. Basta dire che oggi al Sud circolano meno treni regionali che nella sola Lombardia (rapporto Pendolaria 2015, Legambiente), con un’età media dei convogli nettamente superiore a quella del Nord (20,4 anni contro 16,6) e che Calabria, Sicilia e Sardegna sono le regioni con la peggiore qualità degli edifici scolastici”.

 

Ora, nessuno pretende di assolvere il Sud dalle sue responsabilità. Ma, forse, è anche tempo di smetterla di assolvere i Governi centrali per i quali evidentemente e senza timore di smentita, il Mezzogiorno non è parte integrante del Paese.

 

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