Allarme sui grani antichi di Sicilia e Puglia: troppe speculazioni. Arrivano i controlli sul DNA

22 novembre 2017

Com’era prevedibile, il grande affare dei grani antichi del Sud Italia sta suscitando ‘appetiti’ da parte di speculatori. Il dubbio è che la presenza di pasta, di pane e di farine di grani duri antichi del Sud Italia sia di gran lunga più che proporzionali alle superfici coltivate con gli stessi grani duri antichi. Da qui la necessità di analisi molecolari del DNA per capire che cosa, in realtà, arriva sulle nostre tavole

Com’era inevitabile l’ombra delle frodi si allunga sui grani antichi del Sud Italia e, segnatamente, di Sicilia e Puglia. Ed è anche logico, perché gli interessi in gioco sono tanti. E vanno ben al di là del Mezzogiorno d’Italia. Perché se, da un lato, le speculazioni al ribasso riescono a tenere basso il prezzo del grano duro tradizionale (quest’anno mantenuto intorno ai 20 euro al quintale: una vergogna!), nulla possono con le varietà di grani duri antichi – dal Senatore Cappelli (l’ideale per produrre pasta di altissima qualità) alla Timilia o Tumminia, dal Perciasacchi al Russello e via continuando – il cui prezzo al quintale ‘viaggia’ da 70 a 90 euro.

Ma come avviene spesso in questi casi, Iddio solo sa quello che sta succedendo. Perché improvvisamente, rispetto a una produzione che in Sicilia interessa, sì e no, 4 mila ettari, in giro si vedono troppi prodotti a base di grani antichi (forse gli ettari coltivati, a partire dal prossimo anno, saranno un po’ di più, dal momento che agricoltori, di solito molto scettici rispetto alle novità, visti i prezzi bassi del grano duro tradizionale e i prezzi remunerativi dei grani duri antichi stanno iniziando a provare i secondi).

Ormai i piccoli negozi che vendono pane di Tumminia non si contano più (prima era una prerogativa di Castelvetrano, provincia di Trapani, con il suo tradizionale ‘Pane nero’). Proliferano anche le pizzerie che producono pizze con i grani antichi. Per non parlare, ovviamente, della pasta.

Che fare? Il tema lo pone GranoSalus – l’associazione che raccoglie consumatori e produttori di grano duro del Sud Italia – che, in un articolo, sintetizza un po’ i problemi che stanno venendo fuori in questi ultimi mesi. Già il titolo è molto indicativo:

“Grani antichi? Frenare possibili frodi attraverso l’analisi molecolare”.

Analizzando il DNA è possibile capire se i prodotti a base di grani antichi sono tali o se, invece, ci stanno prendendo per i fondelli. 

Siccome, come ora proveremo a illustrare, quello dei grani antichi sta diventando un grande affare – che non interessa solo il Sud Italia, ma anche chi con il Sud e con la sua agricoltura non ha nulla a che vedere – non resta che effettuare i controlli sul DNA. Per capire se la pasta, il pane e le farine che finiscono sulle tavole di milioni di persone siano, in realtà, così come indicato nelle etichette, prodotti con i grani antichi.

I Nuovi Vespri non dicono nulla di nuovo. Già nel luglio del 2016 segnalavamo l’interesse delle multunazionali per i grani antichi del Sud Italia e, segnatamente, di Sicilia e Puglia (COME POTETE LEGGERE QUI).

“La riscoperta dei grani antichi – leggiamo su siti di GranoSalus – gode di una tendenza favorevole del mercato. I consumatori ne apprezzano l’ottima digeribilità e li ritengono più eco-compatibili. Si tratta infatti di molte varietà scomparse perché poco adatte ad una coltivazione più intensiva e con rese per ettaro più basse rispetto a quelle moderne. Il termine antico tuttavia è improprio: questi grani erano diffusi in un tempo non necessariamente remoto. Ma sotto l’aspetto marketing il termine ‘antico’ evoca il ritorno al passato, alla genuinità e ai valori di una volta”.

In effetti, questi grani duri antichi sono stati coltivati nel Meridione d’Italia fino agli anni ’20-’30 del secolo passato. Poi, grazie al miglioramento genetico, sono state selezionate varietà più produttive e con meno problemi.

Non solo. Le varietà di grani duri con spighe troppo alte sono state sostituite da varietà con spighe più basse. Questo perché le spighe troppo alte, a causa del vento, si piegavano fino ad ‘allettarsi’, creando problemi alla produzione (COME POTETE LEGGERE QUI).

Insomma, per dirla in breve, negli anni passati la granicoltura ha puntato molto sulla quantità (aumento delle produzioni di grano per ettaro) e sul superamento dei problemi legati all’allettamento, dimenticando la qualità. Oggi, con le varietà di grani antichi, c’è un ritorno alla qualità.

Anche perché, spesso, il binomio varietà di grano duro altamente proteiche-concimazioni spinte (soprattutto azotate) ha finito con il far prevalere varietà di grano duro che non hanno solo un’alta percentuale di glutine (la sostanza proteica che conferisce alla pasta la tenuta durante la cottura), ma che presentano un glutine tenace che crea non pochi problemi all’organismo umano.

Qui, in realtà, le scuole di pensiero si dividono. Di certo il glutine troppo tenace – tipico del grano duro canadese – non fa bene al nostro organismo. Anche se la scienza, come ha raccontato bene l’agronomo e micologo Andrea Di Benedetto, ci dice che, in realtà, sono le micotossine DON a ‘sfasciare’ i nostri villi intestinali consentendo il passaggio del glutine nel sangue con tutti i problemi che ne conseguono (COME POTETE LEGGERE QUI).

Oggi sono in tanti ad essersi inseriti nel grande affare dei grani antichi. Tema che questo blog ha già in parte documentato: è il caso di aziende lombarde o piemontesi che producono pasta con i grani antichi del Sud Italia (COME POTETE LEGGERE QUI).

Sì, sono in tanti, oggi, a puntare sui derivati dei grani antichi, per lo più di Sicilia e Puglia.

“La trovata commerciale funziona – scrive GranoSalus – tant’è che il fenomeno è talmente in crescita da far sorgere seri dubbi sulla reale disponibilità di quantità di grano sufficienti a soddisfare una crescente domanda di mercato. Data la tendenza, si moltiplicano gli interessi e gli appetiti intorno al tema, ma aumentano in parallelo anche le difficoltà o le manovre scorrette per favorire qualche sedicente organizzazione di categoria”.

Già, le grandi manovre addirittura per accaparrarsi i ‘brevetti’ dei grani antichi del Sud Italia! Tanto per cambiare, imprenditori del Centro Nord Italia che provano a mettere il ‘cappello’ sui beni naturali del Sud. Lo spirito colonialista del Nord Italia, iniziato nel 1860, in realtà non è mai cambiato. Si è evoluto, ma è rimasto tale.

Una società veneta, ad esempio, ha provato a brevettare alcune varietà di grani antichi della Sicilia (COME POTETE LEGGERE QUI).

Ne è venuto fuori un acceso dibattito. Tanto che, in seguito a un’interrogazione del parlamentare europeo del Movimento 5 Stelle (unica formazione politica italiana che sta difendendo in Italia e in Europa i produttori di grano duro del Sud Italia) eletto in Sicilia, Ignazio Corrao, è intervenuta l’Unione Europea (COME POTETE LEGGERE QUI).

Per ora la speculazione sulle varietà antiche di grano duro della Sicilia sembra bloccata (la partita non è ancora chiusa perché gli interessi sono tanti). Ma non è così sulla cultivar di origine pugliese Senatore Cappelli (E NOI SU QUESTO TEMA ABBIAMO GIA’ SCRITTO, COME POTETE LEGGERE QUI).

E proprio sugli interessi che ruotano attorno alla varietà (o cultivar) Senatore Cappelli si sofferma l’articolo di GranoSalus:

“Il caso della filiera del Cappelli è emblematico, specie dopo l’assegnazione tramite bando pubblico alla Società italiana sementi della gestione ‘esclusiva’ di un prodotto che ormai è di ‘domino pubblico’. Basterebbe dimostrare che il brevetto è scaduto, che non vi sono stati miglioramenti alla varietà, che la diffusione è preclusa e così la licenza potrebbe essere revocata perché non esercitata in maniera corretta! Gli amministratori di questa società, peraltro, hanno incarichi di rilievo all’interno di Coldiretti, che invece di preoccuparsi della diffusione di questo antico patrimonio pubblico (obbligo previsto dal bando), vuole farne un business solo per i propri associati, in violazione alle norme europee sulla concorrenza. Ne abbiamo parlato in modo approfondito in questo articolo”.

“La procedure di affidamento dell’esclusiva a Sis da parte del CREA presenta più ombre che luci – leggiamo sempre su GranoSalus -. E presto saranno interessati vari organi competenti. Del resto non è possibile che su un bene pubblico questa società percepisca 40 euro a quintale per l’intermediazione!”.

“Ma quello che più sorprende sul piano strettamente numerico – scrive sempre GranoSalus – è il volume di pasta presente sul mercato rispetto al grano effettivamente prodotto in Italia. Si parla di una superficie stimata inferiore a 1000 ettari in Italia, ma i volumi di pasta venduti superano queste aree coltivate a grano. Non a caso, sembrerebbe che i pacchi di pasta Senatore Cappelli non siano tutti autentici: dai primi test di laboratorio emergerebbero forti dubbi!”.

In realtà, solo in Sicilia, gli ettari coltivati a grani antichi sono poco più di 4 mila: ma sono sempre troppo pochi per giustificare la grande quantità di prodotti a base di grani antichi che circolano in Italia (e anche in alcuni Paesi europei).

“E allora come garantire ai consumatori che dentro quei pacchi di pasta ci sia per davvero grano varietà Cappelli al 100%? – si chiede GranoSalus -. Molte delibere regionali prevedono finanziamenti dedicati alle filiere che valorizzano i grani antichi locali, la loro coltivazione e trasformazione. Ma le stesse Regioni dovrebbero preoccuparsi di verificare cosa viene immesso nel mercato. Chi fa i controlli? Nessuno!”.

E non c’è da stupirsi. Basti pensare che, in Sicilia, i controlli sui prodotti biologici vengono effettuati dalle società pagate dagli stessi produttori…

“Occorre invece garantire la tracciabilità dal produttore all’ultimo attore della filiera – leggiamo sempre nell’articolo di GranoSalus – per tutelare il consumatore da possibili frodi alimentari, anche dopo l’attuazione di un bando. Solo così le varietà antiche possono essere valorizzate. Altrimenti, come nel caso del pastificio Cerere di Matera, le iniziative vengono finanziate con fondi europei per incentivare la produzione di grani locali e poi nella pasta si ritrova grano canadese”.

“Ma come al solito – prosegue l’articolo di GranoSalus – è un’ associazione di privati che deve sostituirsi ai controlli pubblici. Oggi, grazie alla biologia molecolare è possibile identificare una singola varietà e confrontare se quei geni sono contenuti nella pasta o nel pane. Il metodo utilizzato consiste nell’analisi di sequenze di DNA ripetute ed il loro confronto con i profili genetici nei database di controllo”.

Sono analisi che dovrebbero essere effettuate dalle strutture pubbliche. ma non è così. pazienza. Sarà cura di GranoSalus e de I Nuovi Vespri – che lavorano insieme già da tempo – avviare le analisi sui prodotti derivati dai grani antichi. Vedremo cosa emergerà.

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