Dal tempo di Pirandello fino ai nostri giorni i politici siciliani a Roma hanno sempre tradito la Sicilia

7 luglio 2017

Già ai tempi del grande scrittore e drammaturgo agrigentino i politici siciliani, a Roma, tradivano la Sicilia e i Siciliani. Lo facevano scientemente: i Governi nazionali gli garantivano le carriere personali e loro, in cambio, svendevano la nostra Isola. La stessa cosa ha fatto Rosario Crocetta: scelto cinque anni fa a Roma, ha consentito al Governo Renzi di massacrare la Sicilia con l’appoggio del PD siciliano e degli altri ‘ascari’ del centrosinistra

(Da “I vecchi e i giovani”, di Luigi Pirandello)

“E via! E’ solo un sogno, dopotutto!

Sì, ma che sogno! Si era svegliato di botto, sudato, freddo. Il sonno pomeridiano, quello più vicino alla verità. Che cosa aveva sognato? Cercava di lasciarselo dietro mentre si sciacquava il viso. Era comunque ora di prepararsi. Perché è nato in luglio Pirandello? Con questo caldo da impazzire? E proprio qui in Sicilia, ad Agrigento! Cominciò a vestirsi lentamente. Chiuse gli occhi e la scena del sogno gli si ripresentò, nitida.

Era in Parlamento, un Parlamento riunito in seduta comune, come nelle grandi occasioni. Lui era seduto nel suo scranno di Presidente della Repubblica. Un uomo, un deputato si era levato in piedi. Non era molto alto, era scuro di carnagione, portava dei baffetti neri, sottili e ben curati, gli occhi gli fiammeggiavano. Lo aveva capito subito, era siciliano, siciliano come lui. Ne ebbe quasi timore. Il deputato lo guardò fisso, a lungo, poi fece ruotare lo sguardo su tutta l’aula.

Si aspettava il peggio. Vedeva purtroppo in qual ginepraio si fosse cacciato, contro ogni sua voglia: e non trovava più modo di uscirne. Tutto a soqquadro, tutto! Lì, a Roma l’abbaruffio osceno d’una enorme frode scellerata; in Sicilia un fermento di rivolta. Tra gli urli delle passioni più abiette, scatenatesi nello sfacelo della coscienza nazionale, non s’era quasi avvertito il rombo di fucilate lontane, prima scarica di una terribile tempesta che s’addensava con spaventosa rapidità.

La voce dei quel deputato, la sua sola voce si era levata al Parlamento a porre avanti al Governo lo spettro sanguinoso di alcuni contadini massacrati in Sicilia, a Caltavuturo: ad agitare innanzi con fiera minaccia il pericolo non si radicasse nel Paese la credenza perniciosa che si potessero impunemente colpire i miseri e salvare i barattieri rifugiati a Montecitorio.

Sì, aveva esposto la verità quel deputato siciliano, siciliano come lui, nel suo incubo: quei contadini di Sicilia, trovando nella rabbia per l’ingiustizia altrui il coraggio di affermare con violenza un loro diritto s’erano recati a zappare le terre demaniali usurpate dai maggiorenti del paese, amministratori ladri dei beni patrimoniali del Comune, ma per via avevano trovato il passo ingombro dalla milizia rafforzata. Accennando di voler resistere s’erano visti prima assalire alla baionetta poi a fucilate. Dodici i morti, più di cinquanta i feriti: fra questi alcuni bambini, uno dei quali crivellato da ben sette baionettate.

Questo particolare orrendo si era rappresentato agli occhi del Presidente cosi vivo che riaffacciandosi gli dava raccapriccio. Perché la ferocia di quel soldato accanita sul corpo di un bambino innocente gli pareva espressione più precisa del tempo. La vedeva in tutti questa ferocia, e ne era sbalordito. Non più rispetto, né carità per cose più sacre; una furia cieca, una rabbia d’odio, una selvaggia voluttà di basse vendette.

Dopo una lunga attesa il capo del Cerimoniale fece sapere agli ospiti che il Presidente era indisposto e che non avrebbe potuto presenziare alla cerimonia”.

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