Pietro Grasso davvero pronto a recitare la parte del Tancredi gattopardesco?

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Ci sorprenderebbe non poco se il Presidente del Senato accettasse la candidatura alla Presidenza della Regione. Un modo, neanche tanto velato, di consentire ai vecchi partiti che hanno solo fatto danno alla Sicilia, di riciclarsi. Della serie: cambiare tutto per non cambiare nulla…

Non ha ancora scioltola riserva. Anche se tutta quella politica che non può più metterci la faccia, lo tira per la giacchetta. L’operazione Pietro Grasso candidato alla Presidenza della Regione, sarebbe infatti sponsorizzata da quei partiti che alle ultime amministrative hanno dovuto nascondere il loro simboli in finte liste civiche per paura di un flop peggiore di quello che è stato. Il Pd, per cominciare, che nonostante il camaleontismo, a Palermo non ha superato il 5%.

L’idea, circola da oltre un anno. Su la Voce di New York, l’articolo in cui si parla di questa ipotesi è datato 17 Ottobre 2015. Preveggenza? No.  Una logica deduzione nata dall’osservazione del fallimento di questi partiti, del disastro che hanno combinato in Sicilia, della povertà in cui hanno ridotto imprese e famiglie. Condizioni che di certo avrebbero spinto i responsabili a cercare un pupo dietro cui nascondersi per restare al potere.

Ora su Pietro Grasso si potrebbero dire tante cose. Anzi, tantissime. Si potrebbe cominciare ponendo la questione dell’opportunità di una sua candidatura dopo i ruoli che ha svolto in magistratura. E’ stato procuratore capo di Palermo  e prima si era occupato di processi importanti. Come quello sull’omicidio del Presidente della Regione, Piersanti Mattarella che non ha portato a nulla. Lui stesso ha ammesso che ” le carte processuali riuscirono a fotografare solo una porzione superficiale della storia. Nulla sappiamo degli esecutori o di eventuali mandanti esterni di cui pure si scorgono le sagome”. E’stato anche Procuratore Nazionale Antimafia.

E’ opportuno- sul piano politico ed etico- che una persona che ha svolto questi ruoli, passi dall’altra parte della barricata?

Come è naturale che sia, sul suo operato di magistrato, le opinioni si dividono. C’è chi lo stima, e c’è chi, invece, lo ricorda più per la sua bravura come barzellettiere e come calciatore (da giovane ha militato nella Bacigalupo Palermo, la squadra di calcio allora gestita da Marcello Dell’Utri, oggi in galera per mafia).

La verità, forse, sta nel mezzo. Difficile da dire.

Sul suo ruolo di Presidente del Senato, anche qui, come è ovvio che sia, non c’è unanimità. Sicuramente meglio della Presidente della Camera, Laura Boldrini, partigiana senza pudore contrariamente a quanto previsto dal suo ruolo. Dai Siciliani non può certo ricevere un premio. Ha assistito inerme  al massacro delle prerogative costituzionali della Sicilia (vedi il caso degli accordi con lo Stato che hanno privato i cittadini siciliani di risorse finanziarie che sarebbero state essenziali). Certo, deve essere neutrale. Ma difendere le prerogative costituzionali, anche della Sicilia, farebbe parte del suo ruolo.

Normale dialettica. Normale diversità di opinioni.

Ma su un aspetto ci sono pochi dubbi: accettando di fare il candidato in Sicilia, Grasso rischia di impersonare perfettamente uno dei personaggi più noti del capolavoro di Tomasi di Lampedusa: parliamo di Tancredi e del Gattopardo. 

Ricordate?

Il principe Fabrizio, profondamente scettico sull’operazione garibaldina, convinto che non porterà nulla di buono alla Sicilia e che a sostenerla era solo una classe di arrampicatori sociali pronti a svendere la dignità  per trarne profitto personale (“Dopo di noi verranno le iene e gli sciacalli….”).

E il giovane Tancredi che, invece, si unisce agli invasori in camicia rossa. Anche lui per nessun nobile ideale, ma per un fine preciso: “Zio, se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. 

Ebbene, Grasso, con un suo sì, si ritroverebbe in quel ruolo. Consentirebbe alla vecchia politica di riciclarsi, nascondendosi dietro la sua carriera antimafiosa. Consentirebbe alla vecchia politica di dire che un magistrato come lui sarebbe sinonimo di cambiamento, ma la loro intenzione è chiaramente quella che tutto resti come è. Gli stessi partiti, le stesse facce che poi gli chiederebbero assessorati e posti di sottogoverno. Che continuerebbero a fare della Sicilia solo una terra da spremere. 

Il suo prestarsi a questo gioco sarebbe un torto alla sua carriera, ma soprattutto, alla Sicilia, come hanno già sostenuto i nostri colleghi di Live Sicilia. 

Ha inevitabilmente respirato, con le sue indagini, l’aria pesante delle classi dominanti siciliane. Ora rischia di finirci risucchiato dentro e, addirittura, rappresentarli.

Davvero questo sarebbe un modo onorabile di portare avanti la sua carriera?Davvero penso che l’antimafia gli basterebbe per incantare i Siciliani? Troppo tardi. Troppi pifferai dell’antimafia sono caduti dal podio. L’incantesimo si è rotto.

Né di certo può davvero pensare che qualcuno creda alle trombe di Leoluca Orlando e delle sue presunte ‘liste dei territori’ suonate solo per ripetere alla Regione il modello Palermo, ovvero il riciclo dei partiti senza simboli. Cosa pensiamo di lui lo abbiamo scritto, sempre stamattina, qui:

Leoluca Orlando Cascio? Un fiammante ‘ascaro’ dell’ultima ora

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