Siciliani nuovi schiavi d’America: ecco come l’Italia Unita si liberò di “una razza inferiore”

1 febbraio 2017

Storia vera e terribile tra Sicilia e America di Enrico Deaglio (Sellerio) è un libro prezioso. Non solo perché racconta la storia poco conosciuta di cinque Cefaludesi barbaramente uccisi in Louisiana, ma perché ricostruisce passaggi importanti della storia Siciliana all’indomani del Regno d’Italia: “Avvenuta senza fanfare e poco compresa, allora come oggi, quella siciliana verso la Louisiana o il Mississipi fu una deportazione di esseri umani concepita tra governi allo scopo di realizzare uno dei più foschi progetti dell’era moderna”

E’ un libro imperdibile. Non solo perché ci racconta la vicenda drammatica di cinque siciliani di Cefalù barbaramente uccisi in America nel 1899, ma anche perché ripercorre la storia dell’emigrazione siciliana all’indomani della nascita del Regno d’Italia soffermandosi su aspetti particolari come  gli accordi e le truffe che sancirono la deportazione di tantissimi siciliani verso la Louisiana o il Missisipi. Ad attenderli c’erano le piantagioni di zucchero, le umiliazioni, i linciaggi, la miseria, in una parola, la schiavitù. Sullo sfondo le condizioni della Sicilia all’indomani dell’Unità d’Italia: le promesse tradite, i soprusi, i massacri dei siciliani ad opera dell’esercito piemontese. E, ancora, le teorie razziste di pseudo scienziati che diedero all’Italia Unita l’alibi per scrivere una delle pagine di storia più dolorose per la Sicilia.

Parliamo di Storia vera e terribile tra Sicilia e America di Enrico Deaglio, edito da Sellerio (14 euro). Duecento pagine che scorrono veloci tra fatti di cronaca sconosciuti e una ricostruzione del contesto storico che rifugge da qualsiasi propaganda risorgimentale regalando ai Siciliani pezzi di verità che ancora la cultura ufficiale dei pennivendoli si rifiuta di riconoscere.

La cronaca da cui trae spunto Deaglio è quella dei fatti avvenuti a Tallulah, sperduta cittadina della Louisiana, il 20 Luglio del 1899. Cinque siciliani di Cefalù vengono assaliti da una folla inferocita e impiccati, senza alcuna pietà, all’albero della prigione locale. Uno dopo l’altro, nel giro di due ore. I loro cadaveri  rimarranno appesi al ramo maledetto per tutta la notte: offesi e tormentati da una curiosità malata. I loro nomi: 

Giuseppe (Joe) Defatta, 24 anni;

Francesco (Frank) Defatta, 30 anni;

Pasquale (Charlese) Defatta, 54 anni;

Rosario Fiduccia, 37 anni, detto Sky Defichi;

Giovanni Cerami, 23 anni, detto John Cerano o Cyrano.

I Defatta erano fratelli, gli altri due erano loro cugini. Erano commercianti e in quella piccola città avevano un negozio dove vendevano frutta e verdura che arrivava dalla Sicilia, ma anche dal Sud America. I giornali dell’epoca, racconta Deaglio, all’indomani del massacro, raccontarono che la causa di tutto era stata una capra di proprietà dei fruttivendoli. L’animale aveva osato brucare l’erba del giardino dell’ufficiale sanitario del paese, il dottor J.Ford Hedge. Il quale, sempre secondo le prime ricostruzioni, spazientito, finì con l’ucciderla. Da qui la rabbia della famiglia siciliana che avrebbe reagito sparando un colpo di fucile al medico. Nonostante la ferita riportata non fosse grave, la reazione della cittadinanza (circa duecento persone) fu brutale così come l’epilogo.

Deaglio, sposato con una italo-americana la cui famiglia ha amicizie a Tallulah, è riuscito, con l’aiuto di una studiosa locale, a ricostruire tutta la storia e ad inserirla in un contesto molto diverso da quello offerto dai giornali locali dell’epoca: non si è trattato di un semplice episodio di cronaca nera, né tanto meno di una lite scatenata da una capra ‘insolente’: “Furono vittime di un complotto orchestrato che per ingenuità non sentirono arrivare e che li colse del tutto impreparati”. Complotto nel quale il medico rivestì un ruolo preciso: quello del provocatore. 

Un complotto razzista, per la precisione. I Siciliani a quel tempo in America erano chiamati ‘Dagos’, termine dispregiativo di origine incerta, ma che per l’autore del libro deriva probabilmente dall’espressione “as the day goes”, lavoratori alla giornata. Considerati di razza inferiore a quella bianca, in Louisiana e negli stati confinanti, i Siciliani erano ritenuti buoni solo per sostituire i neri nelle piantagioni di zucchero. Come leggiamo nel libro, dopo la guerra di Secessione e l’abolizione della schiavitù i possidenti degli Stati del Sud avevano bisogno di nuova manodopera nei campi di cotone e canna da zucchero per rimpiazzare i neri liberati e avevano individuato le braccia adatte  negli italiani meridionali, siciliani in particolare. Quindi una descrizione del contesto di arretratezza culturale di quegli Stati, della loro irrinunciabile fede nella schiavitù e delle barbarie perpetrate nei confronti dei neri e dei nuovi ‘neri’. Di come, dunque, risultasse inconcepibile che i cinque Siciliani di Cefalù riuscissero a stare sul mercato e a vivere dignitosamente lontani da una piantagione. 

Ma come avevano fatto gli Stati americani del Sud ad individuare nei Siciliani i nuovi schiavi?

Qui troviamo alcuni dei passaggi più interessanti ai fini della ricostruzione della storia siciliana all’indomani dell’impresa Garibaldina. Intanto la delusione di un popolo che chiedeva di migliorare le proprie condizioni di vita e che dopo Garibaldi e con il Regno d’Italia le vide solo peggiorare. Deaglio racconta dei massacri dei contadini e delle proteste nelle città, Palermo in primis, soffocate nel sangue dall’esercito piemontese. Dei tumulti in tutto il Sud e di tutte le violenza perpetrate nel nome di una Unità d’Italia imposta con la forza e con le armi.

Quindi gli aspetti meno noti e non meno tragici di tutta l’impresa piemontese:

In quegli anni la Sicilia era quello che ancora adesso si sogna: era la California e la Florida, quando queste non erano ancora niente. Ed è un vero peccato che un governo razzista mandasse tutto a rotoli”. Non solo con la violenza e la depredazione di risorse dopo l’annessione al resto d’Italia, ma anche rendendosi complice di quella che Deaglio non esita a  definire una vera e propria deportazione programmata.

I grandi latifondisti americani, infatti, trovarono nel Regno d’Italia un complice perfetto. Con l’aiuto di importanti esponenti della nuova classe dominante, i rappresentati dei proprietari delle piantagioni americane arrivavano in Sicilia promettendo l’Eden. Furono svuotati interi paesi:”Contessa Entellina, Ustica, Bisacquino, Cefalù, Corleone, Palazzo Adriano, Trabia, Gibellina, Vallelunga, Sambuca, Salaparuta e altri”. “Altri ancora vennero raccolti a Palermo, Trapani, Salemi, Termini Imerese”. Chi è partito, dopo la traversata, ha trovato un inferno di fatica, febbre gialla, sorveglianti armati, schiavitù, processi sommari, linciaggi, morte.

Scrive Deaglio:

“Avvenuta senza fanfare e poco compresa, allora come oggi, quella siciliana verso la Louisiana o il Mississipi fu una deportazione di esseri umani concepita tra governi allo scopo di realizzare uno dei più foschi progetti dell’era moderna”. 

Un altro regalo del Regno d’Italia ai Siciliani: non bastava ucciderli a casa loro e depredarli, c’era anche l’opzione dell’emigrazione truffa. D’altronde, ricorda Deaglio, quello era anche il periodo in cui teorie pseudo-scientifiche davano al nuovo Regno l’alibi perfetto. Nel libro si parla, ovviamente, dell’ebreo Cesare Lombroso che teorizzò l’inferiorità dei meridionali (e si ricorda pure che morì poco prima delle leggi razziali fasciste e prima dei lager tedeschi, per dire che gli mancò poco per sperimentare sulla sua pelle il razzismo teorizzato) e di altri luminari simili, figli della cultura del tempo, come due siciliani: il messinese Giuseppe Sergi e Alfredo Niceforo (Castiglione di Sicilia).

“Queste posizioni – scrive l’autore – dominavano tutta la scena politica italiana e accompagnarono la grande emigrazione dei Siciliani verso le Americhe. C’era da andare a cercare fortuna altrove, visto che a casa godevano di così cattiva reputazione”.

“L’Italia non vendeva più limoni e zolfo, ma cercava almeno di trarre profitto dalla sua razza maledetta e, finalmente, di liberarsene”. 

L’inferiorità della razza meridionale, sottolinea l’autore, divenne sinonimo di questione meridionale.

Sarà per questo che non si è mai risolta?

Il libro di Deaglio è amaro, come amara è la storia che ha mortificato la Sicilia e i Siciliani. Ma è un documento prezioso per chi vuole conoscere fatti e contesti che riguardano la Sicilia ancora oscurati dalla cultura ufficiale. Imprescindibili non solo per il diritto alla verità, ma anche per guardare al futuro. Perché come ci ha insegnato Gramsci e come vi abbiamo ricordato spesso, “quando nel passato si ricercano le deficienze e gli errori non si fa storia, ma politica attuale”.

Interessante anche le ricostruzioni dei resoconti giornalistici (Deaglio è un giornalista). Non tutti i giornali americani plaudirono all’impiccagione dei “malfattori”, alcuni parlarono di fatti terribili e ingiustificati, di razzismo. Parla anche di quelli italiani, come l’Agenzia Stefani e il Giornale di Sicilia che diede la notizia, ma in maniera alquanto confusa:

“Certo i giornali di allora erano censurati. Certo, i giornalisti siciliani sono abituati fin da piccoli a non dire parole che potrebbero essere male interpretate e a non essere troppo invasivi della privacy, ma rileggendo quelle scarne cronache resta una vaga sensazione di malessere, quasi che ci fosse un silenzio imposto”.

 

Omaggio a Giuseppe ‘Peppe’ Schiera, poeta di strada a Palermo

 

 

 

 

 

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