“I corrotti restano impuniti”: l’allarme dei magistrati siciliani

28 gennaio 2017

In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, critiche pesantissime alla prescrizione che “finisce col garantire immunità al corrotto”. E se è vero che parliamo di una emergenza nazionale e anche vero che “in Sicilia è un fenomeno gravissimo perché si intreccia con la presenza della mafia”

I corrotti non pagano il fio delle loro colpe. E questo accade, nella maggior parte dei casi, a causa della prescrizione che estingue il reato e che lascia a piede libero chi si è macchiato di tale reato. E’ un vero e proprio allarme quello lanciato dai magistrati siciliani durante le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario.

Nessun dubbio sul fatto che la corruzione sia”un’ emergenza nazionale”, ma in Sicilia, come ha affermato nella sua relazione il Presidente di Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, assume contorni ancora più distorti:  “La già ardua scoperta degli episodi di corruzione avviene a distanza di anni dalla loro consumazione e quasi sempre alla soglia della prescrizione che finisce col garantire immunità al corrotto”. Basta guardare “all’esiguo numero di detenuti per corruzione per rendersi conto di come le sanzioni penali non agiscano da deterrente”.

“L’omertà in questi casi- ha sottolineato Frasca- è ancora più marcata che nelle vicende di mafia”. Ma non è solo l’omertà ad incidere sull’impunità dei corrotti, c’è anche la grave carenza di organico giudiziario che, inevitabilmente, allunga i processi e “i ritardi nel deposito delle sentenze per il grado d’appello o nella trasmissione del fascicolo dal primo grado di giudizio”.

Perché in Sicilia il fenomeno è più grave lo ha spiegato chiaramente il Procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi:”Quello della corruzione è un fenomeno gravissimo anche in Sicilia, anzi qui è ancora più complicato perché si intreccia con la presenza della mafia: e quindi le già difficilissime indagini contro la corruzione diventano ancora più complesse. La mafia, oltre ad avvalersi per le sue attività della tipica forza intimidatrice si avvale anche della corruzione per raggiungere i suoi scopi”.

Un allarme che è arrivato anche da Catania dove il presidente della Corte d’Appello, Giuseppe Meliadò ha sostenuto che se da un lato “sono costanti nel tempo i reati contro la pubblica amministrazione e sono state avviate importanti indagini in tutte le Procure del distretto” dall’altro “stante i ridotti termini di prescrizione, l’obiettivo della sentenza definitiva nel merito si presenta spesso a rischio. Rischio da evitare non solo per i legittimi effetti di disappunto che produce nell’opinione pubblica il mancato perseguimento di tali reati, ma pure per la rilevanza che gli stessi assumono per i valori fondanti dell’interesse pubblico e generale”.

E da Caltanissetta, dove il presidente della Corte d’appello Maria Giovanna Romeo ha detto che: “Il primo punto cruciale è ancora costituito dall’ attuale disciplina della prescrizione, gravemente insoddisfacente. L’impegno di energie umane e materiali che sono profuse in un processo non può concludersi con un nulla di fatto dopo l’esercizio dell’azione penale, né tantomeno dopo una pronuncia di condanna in primo grado. Dopo, cioè, che il diritto di difesa dell’imputato ha avuto modo di esplicarsi pienamente”. E ancora: “La permanenza dei fenomeni di corruzione è favorita dall’abbattimento di regole morali in coloro che esercitano pubbliche funzioni e nei corruttori l’assenza del senso del limite, l’abuso dei pubblici poteri e l’incapacità della classe politica di selezionare una schiera di amministratori che si prefiggano unicamente il bene collettivo e non siano spinti esclusivamente dalla ricerca del tornaconto personale. I reati di corruzione, anche quelli apparentemente di scarso valore, rendono più fertile il terreno su cui cresce e si sviluppa la delinquenza mafiosa, attraverso il perseguimento di interessi economici, connivenze e reciproche protezioni”.

Anche a Messina non è mancato un passaggio sul tema: “Nel distretto di Messina si registrano dati allarmanti: poco meno della metà dei processi si prescrive in appello, poco più del 10% già in primo grado, lo stesso trend addirittura in fase di indagini preliminari” ha ricordato il Presidente della Corte d’appello di Messina, Michele Galluccio. 

E la mafia? Come si è sottolineato in tutte le relazioni, è ancora forte: “Il dato più significativo – ha detto, ad esempio, a Palermo, il giudice Frasca- è rappresentato dalla permanente e molto attiva opera di infiltrazione, da parte di Cosa nostra, in ogni settore dell’attività economica e finanziaria, che consenta il fruttuoso reinvestimento dei proventi illeciti, oltre che nei meccanismi di funzionamento della pubblica amministrazione, in particolare nell’ambito degli enti locali. La Dda sta quindi orientando la propria azione inquirente proprio nei confronti di tali settori, al fine di individuare ed interrompere i canali di investimento e reimpiego degli imponenti proventi illeciti dell’organizzazione, affiancandola a quella dei sequestri e delle confische nell’ambito delle misure di prevenzione”.

Catania, invece, la preoccupazione maggiore sembra legata a nuovi fenomeni:“Per quanto riguarda lo stato della giustizia penale, l’esame della tipologia dei reati oggetto di indagine conferma, tuttavia, in termini di cifre assolute una radicata presenza, nel nostro territorio, di fatti criminali ricollegabili all’attività della delinquenza comune e organizzata, così come l’emergere imponente di nuove problematiche criminali connesse, in particolare, ai fenomeni migratori e ai pericoli del terrorismo” ha affermato il giudice Meliadò. 

Da tutte le sedi giudiziarie, e non solo quelle siciliane, è arrivato  il grido d’allarme sulla carenza di organico e sui problemi logistici:

“A Palazzo di Giustizia-  ha dichiarato il Presidente della Corte d’appello di Messina, Michele Galluccio – i problemi rimangono pressoché invariati, le risposte da parte del Governo centrale e dell’amministrazione locale anche, ossia pressoché nulle. A cominciare dal problema logistico: Palazzo Piacentini è sede di innegabile pregio storico ed architettonico, ma non è adeguata, è scarsamente mantenuta, non basta ad accogliere tutti gli uffici della giustizia, col risultato che da una parte alcuni magistrati lavorano in locali non sicuri, altri operano in locali dislocati, presi in affitto, affitti pagati cari. Malgrado ciò, anche nel 2016 l’iter per spendere i 17 milioni di euro del finanziamento ministeriale, stanziati per realizzare il secondo palazzo di giustizia, è rimasto al palo”.

Proprio a Messina, magistrati e avvocati hanno lasciato l’aula in cui si svolgeva la cerimonia al momento  dell’intervento del delegato del Ministero della Giustizia, Santi  Consolo.

Insomma, la giustizia italiana, come sintetizzato dal Procuratore generale di Milano, Roberto Alfonso, è al collasso: “Pur apprezzando davvero gli sforzi del Ministro della Giustizia, stando le cose, l’Amministrazione della giustizia resta al collasso per le vacanze degli organici del personale amministrativo. Invochiamo – ha detto il Pg – un intervento urgente e serio del Governo affinché esso adotti tutti i provvedimenti necessari per il buon funzionamento della Giustizia”. E poi ha aggiunto: “Non si può non osservare che, a fronte di una crisi ormai cronica della giustizia, tutto ciò che rimane è un bando di concorso per l’assunzione di 800 assistenti giudiziari”. Ossia, ha precisato, “meno del 10% delle vacanze degli organici del personale amministrativo”.

La giornata è stata caratterizzata dal duro scontro tra l’Associazione nazionale magistrati che ha disertato le cerimonie e il Governo. Il presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo non ha usato eufemismi: “Io certamente non voglio essere ricordato come il presidente dell’Anm che ha abdicato sulla difesa dell’indipendenza della magistratura, signor ministro spero che lei non voglia essere ricordato come quello che ha provato a violarla”, ha detto a proposito della questione dell’età pensionabile delle toghe. L’ex pm del pool Mani Pulite ha ricordato che “il governo ha mandato a casa 450 magistrati con lo slogan `’Largo ai giovani’, senza prevedere “un’adeguata temporizzazione delle uscite, ma poi ha fatto “prima una proroga per gli uffici direttivi e poi un’altra proroga”. Con questi interventi, a detta di Davigo, in pratica «il governo decide chi fa il giudice e l’Anm ha deciso di non accettare questo. I magistrati prorogati sono di sicuro i migliori, ma se passa il principio che il governo può scegliere in futuro potrebbe scegliere i peggiori”.

“Io non credo che si stia attentando all’autonomia della magistratura perché si modifica l’età pensionabile, perché allora non mi saprei spiegare perché l’Anm non ha protestato quando si decise a suo tempo di portare l’età pensionabile da 70 a 75 anni”, ha risposto il Ministro Orlando che ha riconosciuto invece “la questione che attiene alla dimensione organizzativa, quindi è fondata l’esigenza di far fronte alle scoperture di organico, questo rilievo lo colgo”.

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