Al TG 2 Renzi attacca la Corte Costituzionale. E questo sarebbe il servizio televisivo pubblico?

27 novembre 2016

Un Governo nazionale di principianti ignora le procedure costituzionali e legislative al punto da farsi bocciare un sua “creatura”, ovvero la legge di riforma della pubblica amministrazione. Ebbene, Renzi, invece di dimettersi per la “mala figura”, attacca il Giudice delle leggi. Già tutto questo è inconcepibile. Ma è ancora più inconcepibile che ciò avvenga nella TV di Stato!

TG 2 delle 13,00 di ieri, sabato 26 novembre. Inizia il servizio sulla ‘bocciatura’ della riforma della pubblica amministrazione da parte della Corte Costituzionale. E’ la legge che porta il nome dell’attuale ministra, Marianna Madia.

Nella prima parte del servizio si illustrano, a volo d’uccello, le ragioni del perché la Consulta ha detto no alla riforma.

Il Governo non può adottare decisioni in contrasto con le Regioni”, hanno stabilito i giudici della Consulta. Proprio come prevede il titolo V della Costituzione del nostro Paese.

Questa parte del resoconto giornalistico dura pochi secondi. Dopo di che l’autore del servizio dà la parola al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ne approfitta per sferrare un attacco alla Corte Costituzionale, rea, a suo dire, di impedire al Governo di licenziare i dipendenti che meritano di andare a casa e che, contemporaneamente, impedisce – sempre al Governo – di mettere ordine nelle società controllate dai Comuni.

Renzi per fare la sua sparata eversiva (perché tale è una critica feroce e immotivata dell’operato di un organo costituzionale – la Corte Costituzionale – da parte di un altro organo costituzionale, il Presidente del Consiglio) si prende il tempo che vuole.

Riteniamo scandalosa la ‘filosofia’ giornalistica di questa Tv di Stato pagata da noi cittadini e per di più con il canone ‘infilato’ nella bolletta dell’ENEL.

Così come è scandalosa la singolarità di un Governo di ignoranti e di principianti che ignora le procedure costituzionali e legislative al punto da farsi bocciare un sua “creatura”, e  che invece di dimettersi per la “mala figura”, attacca il Giudice delle leggi.

Ad attacchi di questo genere si lasciavano andare molti politici del defunto centrodestra, tra cui Bossi e Berlusconi, per motivazioni analoghe.

Dobbiamo sempre diffidare dei segni di insofferenza alle leggi e alle procedure. Con tutti i suoi limiti, lì si afferma la democrazia, lì è custodita la libertà. Del resto, chi ha mai detto che la democrazia si identifica con la perfezione? Chi afferma di non potere governare per gli impacci della burocrazia e “gli indugi della legge”, in realtà o non è in grado di governare rispettando i diritti costituzionali e deve essere rimosso subito, ovvero nasconde cattive intenzioni e deve essere rimosso prima di subito.

Per Renzi e per i suoi accoliti il decentramento amministrativo, iniziato con le cinque Regioni a Statuto speciale, poi proseguito, nel 1970, con l’istituzione delle Regioni e, via via, con l’istituzione delle Circoscrizioni e con la legge nazionale n. 142 del 1990 (basti pensare alla sussidiarietà), non interessa affatto. Senza volere capire la differenza tra il cattivo decentramento, cui non è estranea la responsabilità dello Stato, e l’assenza di decentramento, che è assenza di democrazia.

E infatti il PD, almeno in questo, è l’erede perfetto del centralismo democratico. Ha lavorato e lavora alacremente all’eliminazione dei centri e dei momenti di esercizio della democrazia, annullando la sovranità del popolo e introducendo, prima con le città metropolitane e ora con il Senato, il metodo delle elezioni di secondo grado.

Insomma, Renzi fa il dirigista in casa e il liberale fuori. Un miscuglio pericoloso che ricorda la regola sovietica: la fiducia viene dal basso, il potere viene dall’alto.

Il tutto con la solita solfa che bisogna risparmiare.

 

 

 

 

 

 

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