La storia è “maestra di vita”: conoscere il passato è indispensabile per costruire il futuro della Sicilia

2 novembre 2016

La riflessione sul pensiero di Gramsci a proposito del Risorgimento ha mosso le acque. Un lettore ci dice che non è utile rivangare il passato, ma che bisogna guardare al futuro. Tesi che non condividiamo. Perché, come ci ricorda sempre l’autore dei ‘Quaderni dal carcere’, “quando nel passato si ricercano le deficienze e gli errori non si fa storia, ma politica attuale”

La mia riflessione sul pensiero di Gramsci a proposito del Risorgimento ha “smosso le acque”. Il che è sempre un bene. Ringrazio quanti hanno dichiarato di aver apprezzato il ‘pezzo’, ma qui mi preme rispondere ad un commento in particolare. Avrei potuto farlo direttamente con il lettore, ma mi è parso utile ed opportuno farne una questione generale, perché di portata generale è il rilievo che mi è stato mosso.

Il lettore in questione ha affermato che non è utile, né proficuo rivangare il passato e che occorre rivolgere lo sguardo e l’attenzione al presente e proiettarsi verso il futuro.

Proprio per indirizzare il proprio futuro, conoscere il passato, il proprio passato, è condizione necessaria. 

Ci soccorre ancora il pensiero di Gramsci: “Quando nel passato si ricercano le deficienze e gli errori non si fa storia, ma politica attuale”. Non è dunque un esercizio estetico fine a se stesso, o di conoscenza pura: è rivoluzione in atto.

Farò un esempio che ben si attaglia alla condizione dei siciliani quale descritta da Gramsci. Supponiamo che una persona, per un atto di violenza subìto nel passato, che non ha potuto denunciare, perché ne fu tenuto all’oscuro, abbia perduto una cospicua proprietà. E supponiamo ancora che oggi possa, attraverso una ricostruzione dei fatti, far venire fuori la verità e rientrare in possesso dei beni sottrattigli.

Direbbe costui: lasciamo perdere, non ne vale la pena, tanto è passato tanto tempo, pensiamo al futuro? Credo di no. Anzi, sono sicuro di no.

Questa è la condizione del Mezzogiorno e, doppiamente, della Sicilia. La continua mistificazione della verità storica, a partire dalla costruzione del feticcio del Risorgimento, è mezzo al fine della prosecuzione di uno sfruttamento  programmatico, sistemico e scientifico del Sud.

La Sicilia in particolare è stata oggetto di due spoliazioni.

Proprio per effetto della lettura del passato unitario fatta dai suoi storici e politici, nacque lo Statuto speciale della Regione  siciliana, dal contenuto fortemente riparazionista. Proprio dal riconoscimento da parte dello Stato italiano del suo “debito” è nato quel sistema normativo che fonda sull’autonomia politica della Sicilia il riconoscimento ad essa di un’identità conculcata e  prevaricata in 100 anni di unità.

Bene, dopo il riconoscimento del “debito economico e morale” da parte dello Stato, sancito solennemente nello Statuto, lo Stato stesso cominciò, attraverso una politica meschina, a denegare quei diritti. Ciò fu possibile per il concorso perverso di alcuni fatti. 

Immediatamente il “sistema”, attraverso i partiti nazionali, promosse e allevò una classe politica ascara, supinamente allineata alla politica nazionale che, ancora una volta, era il braccio esecutivo degli interessi dell’Alta Italia. La strada di questo ennesimo tradimento fu spianata poi dalla sostanziale scomparsa del movimento indipendentista, che non seppe traguardare l’obbiettivo dell’indipendenza all’avvenuta attuazione completa e piena dell’Autonomia, come mezzo al fine.

L’ottimo, si dice spesso, è nemico del buono. Con il suo estremismo, praticato in una temperie politica, se non pacificata, certo assai meno tumultuosa, il movimento indipendentista non rispondeva più alle aspettative immediate dei siciliani.

La storia ancora una volta ci è maestra. Per non ricadere negli stessi errori. Sognare non significa che il sogno deve diventare il tuo padrone. L’obbiettivo dell’indipendenza va studiato e perseguito come possibilità storica e politica con lo stesso spirito, col la stessa acutezza e fermezza con cui i padri fondatori della Regione seppero costruire l’Autonomia.

Il che significa capire una volta per tutte che la classe politica nazionale e la sua appendice siciliana lavorano contro l’Autonomia e che non hanno mai fatto, non fanno e non faranno mai i veri interessi della Sicilia. Che il nostro futuro politico, economico, sociale non ha nulla da spartire con quello che ci vuole preparare il sistema dominante; che la visione che questo ha di noi e del nostro futuro non ha niente a che fare con quello che siamo e con quello che possiamo essere.

Che i politici siciliani, da Crocetta a Miccichè, da Musumeci a Raciti da Cracolici a Cardinale, da Pistorio a Cancelleri, tutti lavorano per se stessi e la loro sopravvivenza, il che significa tenere, nell’interesse di altri, la Sicilia sott’acqua.

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