I Bersaglieri in ‘festa’ a Palermo. E le centinaia di palermitani scannati nel 1866?

29 maggio 2016

Certo che le autorità cittadine di Palermo non hanno molta memoria storica. Hanno invitato i Bersaglieri a ‘festeggiare’ in città – non si capisce bene che cosa – proprio nell’anno in cui noi ricordiamo i 150 anni della ‘Rivolta del Sette e mezzo’, quando le truppe dei Bersaglieri, al comando del generale Raffaele Cadorna, per conto dei Savoia, repressero nel sangue una giusta rivolta contro i predoni piemontesi che stavano affamando la Sicilia. Dei bersaglieri ricordiamo anche le stragi di Genova e, soprattutto, la strage di Pontelandolfo e Casalduni

di Ignazio Coppola

Dal 23 al 29 Maggio Palermo – oggi è l’ultimo giorno di questa ‘festa’ – con il coinvolgimento delle istituzioni locali, sindaco in testa ed autorità militari, tra sfilate, manifestazioni, esibizioni di fanfare, annulli postali, inaugurazioni di monumenti  commemorativi e corse a passo di carica che hanno assordato la città, si è svolto il 64° Raduno Nazionale dei bersaglieri. Si tratta quegli stessi bersaglieri eredi e discendenti di quei militari che, nel 1866, esattamente 150 anni fa, in occasione della ‘Rivolta del Sette e Mezzo’ (una rivolta puntualmente ignorata dalla storiografia ufficiale), uccisero centinaia di palermitani per conto di casa Savoia! Insomma, un bel modo per ricordare, a Palermo, la ‘Rivolta del Sette e mezzo!’.

Le cronache raccontano che, nel reprimere la rivolta, i bersaglieri agli ordini del generale Raffaele Cadorna – che nel nome del re galantuomo mise in stato d’assedio Palermo – attraversando a passo si carica la città e, con le baionette innestate, misero a ferro e a fuoco la capitale della Sicilia, massacrando ed uccidendo centinaia e centinaia di rivoltosi e quanti capitavano loro a tiro.

Del resto, i nostri “eroi” bersaglieri non si comportarono meglio – anzi si comportarono peggio – quando, ancor prima dei fatti di Palermo del 1866, nell’Aprile del 1849, agli ordini del generale  Alfonso La Marmora, fondatore qualche anno prima del corpo, furono mandati dal re “galantuomo” a reprimere la rivolta di Genova che voleva rendersi indipendente dal Regno di Sardegna. In quell’occasione il corpo speciale dei bersaglieri fece di tutto e di più.

“In quei drammatici giorni la soldataglia sabauda si abbandonò alle più meschine azioni contro la popolazione civile, violentando donne ed uccidendo padri di famiglia e fratelli che si opponevano allo scempio, sparando alle finestre alla gente che vi si affacciava e correndo per le strade al grido: Denari, denari o la vita, a cui fecero seguito irruzioni e predazioni. Neppure i luoghi sacri vennero risparmiati e le argenterie razziate; i prigionieri, anche quelli che si erano arresi, vennero uccisi o stipati in celle anguste e costretti addirittura a dissetarsi della propria urina.

Così scriveva l’allora re di Sardegna, Vittorio Emanuele, per ringraziarlo, al comandante dei bersaglieri La Marmora: “Mio caro generale vi ho affidato l’affare di Genova perché siete un coraggioso. Non potevate fare di meglio”.

I genovesi, che “i piemontesi non potevano fare di meglio”, se lo ricordarono e non dimenticarono per lungo tempo le barbarie, i saccheggi e le ruberie commesse dai fanti piumati a danno della loro città e avendo memoria di tutto questo fu per lungo tempo consuetudine che le famiglie genovesi non inviassero i figli a prestare servizio militare nei bersaglieri. Solo qualche anno fa i genovesi hanno consentito al corpo dei bersaglieri di potere mettere piede nella loro città.

Ma quello che superò tutti in barbarie ed atrocità si verificò il 4 agosto del 1861, quando il generale Enrico Cialdini, sempre in nome del re galantuomo, si rese protagonista – insieme con il corpo speciale di Bersaglieri agli ordini del Maggiore Negri – della strage di Pontelandolfo e Casalduni, di due paesi della provincia di Benevento.

Saprete certo quello che fecero i nazisti per rappresaglia nell’estate del 1944 a Marzabotto e Sant’anna di Stazzena definito dal mondo civile un crimine contro l’umanità. Ebbene, i bersaglieri di Cialdini a Pontelandolfo e Casalduni, per rappresaglia, fecero anche di peggio di quello che fecero i nazisti 83 anni dopo.

I nazisti, in quel lontano Agosto del 1944, uccisero e massacrano gli abitanti di Marzabotto e di Sant’Anna lasciando però in piedi le abitazioni dei due paesi.

I bersaglieri, a Pontelandolfo e Casalduni, dopo avere ucciso e massacrato tutti gli abitanti – uomini, vecchi, donne e bambini – non lasciarono alcuna abitazione in piedi bruciando tutte le case dei due paesi. Le chiese furono assaltate, le case furono dapprima saccheggiate per poi essere incendiate con le persone che ancora vi dormivano.

In alcuni casi, i bersaglieri attesero che i civili uscissero delle loro abitazioni in fiamme per poter sparare loro non appena fossero stati allo scoperto. Gli uomini furono fucilati mentre le donne (nonostante l’ordine di risparmiarle) furono sottoposte a sevizie o addirittura vennero violentate appunto come avevano fatto 12 anni prima a Genova i bersaglieri di Alfonso La Marmora.

“Ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora”.

Così scriveva il maggiore Negri per rendicontare a Enrico Cialdini la conclusione dell’eccidio. E saranno poi i bersaglieri di Emilio Pallavicini a ferire sull’Aspromonte il “disubbidiente” Giuseppe Garibaldi nell’agosto del 1862 e a rendersi protagonisti, a loro volta, dell’eccidio di Fantina (un paesino della provincia di Messina) in cui furono trucidati senza pietà alcuni volontari in fuga dall’Aspromonte che avevano avuto la sventura di seguire il nizzardo.

Non va dimenticata, in questo lungo corollario di orrori, la repressione della rivolta che va sotto il nome della ‘Rivolta dei Cutrara’ effettuata a Castellammare del Golfo il 1 gennaio del 1862 dai bersaglieri del generale Quintino che, oltre a trucidare vecchi e donne, misero al muro e fucilarono una bambina di solo nove anni, Angelina Romano.

E poi ancora che dire di un’altra strage dimenticata, compiuta dal corpo dei bersaglieri ad Auletta, un paese in provincia di Salerno, nel luglio del 1861, dove furono uccisi ed imprigionati centinaia e centinaia di cittadini.

L’elenco delle stragi dimenticate in cui furono tristemente protagonisti i fanti piumati è molto lungo e potrebbe continuare. Per una maggiore e più puntuale informazione al riguardo vi rimando alla lettura del libro di recentissima pubblicazione di Pino Aprile che, nel descrivere e documentare gli eccidi che furono compiuti nel Sud del paese agli albori dell’Unità d’Italia e in cui i bersaglieri furono tristemente protagonisti primari, non poteva scegliere titolo migliore Carnefici – Ecco le prove.

Ecco perché, alla luce di tutti questi eccidi e massacri perpetrati agli albori dell’Unità d’Italia e nel nome del re galantuomo, ai bersaglieri di oggi che ritualmente celebrano i loro i raduni, come in questi giorni a Palermo, mi sento di dare il mio sommesso consiglio: ossia quello di ritrovare la memoria dei crimini contro l’umanità commessi nel Sud e in Sicilia dai loro antesignani.

Sarebbe a questo punto opportuno che, tra feste, celebrazioni, sfilate e commemorazioni trovassero pure il tempo di chiedere scusa per  i tanti  eccidi e crimini commessi in passato dal “glorioso” corpo dei bersaglieri. Iniziando a chiedere scusa alla città di Palermo che, come già ricordato, fu teatro, nel Settembre del 1866 della ‘Rivolta del sette e mezzo’ dove furono commessi, al pari di altri paesi del Mezzogiorno, eccidi e massacri e dove in questi giorni di Maggio si svolge  il 64° raduno dei Bersaglieri. Palermo aspetta ancora queste scuse.

ndr

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