Giufà il Grande tra prescrizione e decadenza(da cittadino)

22 maggio 2016

Dopo lo straordinario successo ottenuto fornendo la soluzione al problema dei treni che non arrivavano mai in orario, Giufà diventò famoso e ricercatissimo. Vediamo come andarono le cose

Ricordate come andò, vero? Gli bastò calcolare quanto tempo impiega un treno  ad arrivare dalla stazione di partenza a quella di arrivo con un percorso ”naturale”, e scrivere come orario stabilito di arrivo quello in cui è arrivato.

Un’altra questione che pareva insolubile come quella dei treni fu sottoposta a Giufà, sperando in una sua miracolistica soluzione. La questione era quella della durata della prescrizione nei processi penali. Tre persone anziane, austere ed eleganti, con grande degnazione lo andarono a trovare a casa e gli spiegarono di che cosa si trattava. Gli dissero pure che sulla questione c’erano due fazioni in lotta che non riuscivano a mettersi d’accordo, ma che ormai tutti erano stanchi e avevano deciso di rimettersi ad ogni sua decisione.

Gli spiegarono pure che, per evitare la prescrizione, per alcuni l’unico rimedio era quella di abolirla e quando finisce si cunta; per altri i processi dovevano finire presto, prestissimo, tanto presto, praticamente da non farli. E quindi tifavano per la prescrizione brevissima.

Giufà si fece portare in tribunale e si mise a girare aule aule per una settimana intera, mattina e pomeriggio. Poi si ritirò per deliberare.

Giufà pensò, pensò, pensò e alla fine parlò.

“Signori  miei”, disse, rivolto alle tre persone di grande e severo aspetto che erano seduti ad un tavolo di fronte a lui.

“Io passai iurnati sani dintra ‘u tribunali, vinivu ‘u primu a matina e me ne andavo l’ultimu, a scurata. Quannu arrivava, io dovevo aspittari  ‘na menzurata e poi ‘u guardianu apriva u purtuni.

Poi mi facevo un  piano dopo l’autro. C’erano stanzuni deserti e senza l’ummira di un cristiano.  Stanzuni chini chini di carpettuni imprivulazzati, e tantissimi cartuni eranu ittati ‘nterra.

Io m’addumandai: ma chi guerra è chista? Centu che scrivono e uno sulu leggi… E’ una guerra persa… ma pi’ fforza si deve scrivere, un si po’ parlari di persona, magari tanticchia? Nun si putissi come regola parlari e come eccezioni scriveri? A mia mi pare  ‘cchiù sbrigativu ….

“Prima di li dieci non si vidivano né giurici né avvocati”.

“Verso li unnici, in certi stanzi, a un tavulu  si assittava un giudici  vistuto di nivuru e subito una fudda di picciutteddi, i masculi in giacca e cravatta, i fimmini in tagleiur, cominciavano a cantari in coru: Vulemu ‘u rinviu, vulemu ‘u rinviu: E ‘u giudici scrivia: tu a Pascua, tu a Natali, tu pa Cannalora e tu pi l’Ascensioni. Tutti  sinni iavanu felici e cuntenti e passavano a n’autra stanza  unni si svulgeva a stissa facenna”.

“Davanti alla porta chiusa di un’autra aula c’era una fudda incredibili. Tutti aspettavano ‘u giudici. Era ormai menziornu e aspittavano dalli novi di matina. A un certu punto arriva ‘u cancelleri ca ci dici a tutti ca chista iurnata ‘u giudici è malatu e che poi vi fa sapiri iddu quando vi putiti videri. Tutti sinni andarono  santiannu”.

“ ‘Nta n’autra aula c’era una fudda incazzata. Dicevano ca ‘u giurici di la loro causa era statu trasferitu e si ‘nn’aveva iuto in una autra città.

“E uora?”, si dumannavano tutti; e ora, ci disse il cancelleri, si deve nominare un altro giudice; e quannu  si ‘nni parra?

“A vino nuovo”, rispunnio l’applicatu. Macari chisti si ‘nni andarono santiannu”.

“In un’autra aula ancora venni chiamatu un testimoni. Arrivò o postu suo un picciutteddu di chiddi   ca giacca e cravatta e ci dette al giudici un certificatu medicu qualmente il testimone si era ruttu na gamba. E che non poteva venire.

“E chi ci trasi a amma ca vucca?”  Dumannò unu ca unn’aveva chiffari. U giudici rinviò tutti cosi a tri misi”. 

Unu camminava comu un ebiti  ‘nto corridoio”: ripitiva  a vici auta:

“Io nun lu capisciu, io fuvi assoltu e ora i iudici mi vonno processari arreri; dici c’hannu a fari l’appello, ma chi significa? Picchì, i iudici di prima nun furunu bravi?”. E poi di nuovo: “Io nun lu capiscio … Era un vero tormentu …”.

“A un certu puntu si intisi una fimmina ca gridava comu un’ossessa. Circava un giuirici, lu vuleva ammazzari. Tutti si avvicinarono e paria una foddi: cercava ‘u giurici che non aviva depositatu una certa carta e perciò l’assassini di so’ figgiu erano stati scarcerati. Vuleva fari una stragi. Ci vosiru quattru cristiani pi’ calmarla”.

“ ‘N Cassaziuni! Avemu a ghiri in Cassaziuni, pi’  ‘sta minchiata di quasetti arrubati al supermercato. Non fu me figghia!”.

Un patri di famiglia punto sull’onuri paternu  santiava puru iddu.

“Ma è mai possibili che ci sunnu giurici importantissimi che perduno tempu pi’ sti minchiati? Avi tri anni ca ‘nni cunnuciemu!”

Giufà si tacque per un istante. Poi riprese:

“Io tanti cosi unn’i capiscio…  Io credu ca s’avissi a fari …”.

Giufà a questo punto fu cortesemente interrotto dal signore gentilissimo che stava al centro dei tre. Il signore si alzò premurosamente, si avvicinò a Giufà lentamente, gli pose delicatamente una mano sulla spalla, lo ringraziò calorosamente per il suo contributo e lo congedò, affettuosamente.

Foto tratta da emotionpictures.altervista.org

 

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