Ogni anno, nel mondo, scompaiono 8 milioni di bambini

19 maggio 2016

Sono i dati agghiaccianti che vengono aggiornati ogni anno in occasione della Giornata Internazionale per i Bambini Scomparsi che si celebra il 25 Maggio. Ogni giorno, nel nostro Pianeta, si perdono le tracce di 22 mila minori. Una parte viene ridotta in schiavitù, magari per lavorare nelle piantagioni di caffè, cacao e banane, beni alimentari che noi consumiamo ogni giorno ignorando che cosa ci sta dietro. Il fenomeno è molto diffuso nel ‘Sud del mondo’. Lo sfruttamento dei minori in Europa e in Italia

di C.Alessandro Mauceri

Dal 1983, ogni 25 Maggio si celebra la Giornata Internazionale per i Bambini Scomparsi. Si tratta di un fenomeno sociale che ha raggiunto dimensioni spaventose: secondo stime recenti, almeno 8 milioni di bambini scompaiono ogni anno, 22 mila bambini al giorno!

E la situazione potrebbe essere ancora peggiore. Ad affermarlo sono stati il direttore esecutivo dell’Unicef, Geeta Rao Gupta, e la specialista di statistiche, Claudia Cappa: nel mondo sono almeno 230 milioni i bambini “inesistenti”. Si tratta di bambini che, dopo la nascita, non sono stati registrati all’anagrafe e non hanno ricevuto un certificato di nascita. È questo il documento più importante: serve per sposarsi, per prendere la patente o il passaporto, serve per viaggiare, serve per dimostrare di “esistere”.

Eppure, nel 2015, solo il 60 per cento dei neonati è stato registrato e dispone di un certificato di nascita. Questo significa che, spesso, è impossibile per associazioni e organizzazioni internazionali sapere esattamente qual è lo stato delle cose nei Paesi più poveri o nei Paesi meno liberi. Diventa impossibile sapere quanti di questi bambini ricevono un’educazione scolastica, quanti vengono costretti a celebrare matrimoni infantili, quanti finiscono in condizioni di quasi schiavitù e costretti a lavorare in condizioni estremamente pericolose, quanti vengono arruolati come miniguerrieri.

In Libano, ad esempio, nei campi che accolgono i profughi provenienti dalla Siria, il 70 per cento dei 51.000 nuovi nati non sono registrati: nascono apolidi e senza diritti. Secondo l’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati), circa 36.000 bambini siriani, in Libano dall’inizio della guerra, nel Marzo 2011, non hanno certificato di nascita e non sono registrati in nessuno dei due Paesi. Figli di genitori profughi che non possono registrare la loro nascita per povertà, per difficoltà burocratiche o per paura. In questo modo non possono andare a scuola, essere curati in ospedale e spesso divengono vittime dello sfruttamento minorile.

Sono molte le sfaccettature di questo fenomeno spesso trascurato. E uno degli aspetti più gravi è proprio lo sfruttamento minorile. In un mondo dove, a causa della globalizzazione, i consumatori hanno perso ogni rapporto e ogni controllo su chi produce (e su come si produce), è facile per le multinazionali rifornirsi di materie prime e semilavorati o prodotti finiti dove costano meno. E poco importa se per costare così poco vengono usati come manodopera minori a volte in condizioni di semischiavitù.

A confermarlo sono i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: oggi, 215 milioni di bambini lavorano in attività che andrebbero abolite; di questi, 152 milioni hanno meno di quindici anni, e 115 milioni svolgono lavori pericolosi.

Un problema che riguarda tutto il pianeta. In Ecuador, nelle piantagioni di banane e di caffè. Nell’Africa Occidentale, dove, come ha confermato l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, più di 284.000 minori sono costretti a lavorare nelle coltivazioni di cacao (soprattutto in Costa d’Avorio). In Asia Amnesty International ha accusato i costruttori di smartphone e computer cinesi di sfruttare manodopera minorile. E tra i maggiori fornitori di coltan, materiale da cui tutte le maggiori industrie produttrici di cellulari ricavano i componenti per le batterie dei cellulari che poi vengono venduti nei Paesi occidentali, c’è la Repubblica democratica del Congo (una delle nazioni più povere al mondo). Amnesty International, in un rapporto dal titolo This Is what We Die for, ha denunciato lo sfruttamento del lavoro minorile in moltissime miniere di coltan.

In Cina i problemi sono legati anche al fenomeno dei “left behind children”, i bambini lasciati indietro, uno dei lati oscuri che si cela dietro il tante volte lodato sviluppo economico della Cina: quasi 70 milioni i bambini cinesi vengono abbandonati dalle famiglie costrette a migrare nelle grandi città per lavorare nelle fabbriche dove si realizzano i prodotti destinati a ignari clienti occidentali.

In alcuni casi, si è andati oltre: in Bolivia, non riuscendo ad arrestare il fenomeno dello sfruttamento minorile, hanno deciso di legalizzarlo. A luglio 2014, il Parlamento boliviano ha approvato una legge in base alla quale l’età minima per lavorare sia sempre 14 anni, ma potranno essere autorizzate “eccezioni” per bambini di 10 anni che potranno avere un lavoro in proprio, mentre quelli di 12 anni potranno essere lavoratori dipendenti. “Abbiamo modificato il Codice in base alla realtà del Paese”, è stata la giustificazione di Javier Zavaleta, vicepresidente della Camera dei deputati.

Numeri sconvolgenti e fatti che non riguardano solo Paesi lontani. Il 10 per cento delle sparizioni di minori si sono verificate negli Stati Uniti. E in Europa, ogni anno, spariscono 270 mila bambini.

A volte sotto gli occhi di tutti. Qualche settimana fa, le autorità francesi hanno utilizzato metodi brutali (hanno allagato i campi) per allontanare i migranti che cercavano di attraversare la Manica attraverso il tunnel, a Calais. Alla fine, dopo lo sgombero, ci si è accorti che mancavano all’appello 129 bambini. A denunciarlo è stata l’associazione Help Refugees, che ha censito la popolazione del campo profughi. Né a Calais, né nel vicino campo di Dunkirk è stato possibile trovare traccia di questi bambini. Di loro è rimasta traccia solo nell’elenco dei minori scomparsi.

E ancora. Il Business & Human Rights Resource Center (BHRRC) ha condotto un’indagine per scoprire quali aziende della moda acquistino capi di abbigliamento realizzati in Turchia presso fabbriche dove vengono sfruttati i bambini siriani. In questo Paese pare che il problema dello sfruttamento minorile non sia mai stato così attuale. Alcune aziende hanno già ammesso la presenza di bambini negli stabilimenti dei loro fornitori. I numeri sono preoccupanti. Tra 250 mila e 400 mila rifugiati siriani starebbero lavorando illegalmente in Turchia, in condizioni di sfruttamento. Il governo turco ha promesso che nel 2016 rilascerà permessi di lavoro per consentire la loro regolarizzazione.

Il problema riguarda anche l’Italia. Secondo i dati resi noti da Save the Children e dall’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in Italia, sono 340.000 i bambini e gli adolescenti costretti a lavorare in condizioni pericolose per la loro salute o per la loro stessa vita. A confermarlo è recente inchiesta dal titolo Game Over, condotta da Save the Children: nel Bel Paese, il problema riguarda il sette per cento dei minori di età tra i 7 e i 15 anni.

Raffaella Milano, direttore Programmi Italia-Europa Save the Children, ha detto:

“Il picco di lavoro minorile si registra tra gli adolescenti”, non a caso in Italia si registra uno dei maggiori tassi di dispersione scolastica in Europa: il 15 per cento.

Si tratta di un’emergenza che, nonostante gli sforzi di un numero enorme di associazioni e di enti (a Palermo se ne è occupato anche il club Kiwanis Panormo, membro del Kiwanis International che da tantissimi anni ha a cuore i problemi legati all’infanzia), non si riesce a risolvere. E non sarà mai possibile ottenere risultati concreti fino a quando verrà consentito alle grandi aziende di sfruttare bambini e adolescenti per produrre beni e alimenti che vengono venduti al capo opposto del mondo senza alcuna possibilità di effettuare controlli su come sono stati prodotti.

 

 

 

 

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