70 anni di Autonomia, tu come la vedi? “Lo Statuto come argine alle politiche autoritarie”

11 maggio 2016

Proseguiamo con Giulia Callari (studentessa universitaria) il nostro viaggio tra le opinioni sull’Autonomia Siciliana che il prossimo 15 Maggio festeggerà 70 anni. Vogliamo conoscere il vostro pensiero al riguardo, non solo quello degli studiosi (né tantomeno quello dei politici). Vi invitiamo, pertanto, a partecipare e ad inviare il vostro contributo a inuovivespri@gmail.com

di Giulia Callari

Il 15 Maggio del 1946, all’indomani della seconda guerra mondiale ed esattamente 70 anni fa, fu “concessa” alla Sicilia, da re Umberto II, l’Autonomia speciale. Lo Statuto Speciale siciliano nacque da un accordo di origine pattizia fra lo Stato Italiano e la Sicilia, rappresentata da una Consulta regionale siciliana in cui erano rappresentate le categorie, i partiti e i ceti produttivi dell’isola: organo che materialmente formulò lo Statuto e diede vita alla Regione siciliana prima ancora che nascesse, un mese dopo circa, la Repubblica Italiana. Ma, è opinione largamente condivisa, questo Statuto, pensato come un vero e proprio compromesso fra forze sociali, oltre che una vera autonomia altro non si sono dimostrati, negli anni, che strumenti utili solo sulla carta: non si sono mai concretizzati nelle scelte politiche, economiche, sociali di chi ci ha governato sino ad ora. Colpa di politici siciliani e non solo.

In realtà qui non mi interessa parlare della storia del passato di questo Statuto: in tanti lo stanno già ben facendo proprio su questo blog. Mi interessa invece focalizzare l’attenzione sulle potenzialità che ha quest’ultimo, oggi, e su ciò che potrebbe diventare domani. Presente e futuro, insomma, per riaffermarne attualità e potenza.

Mi viene da pensare a due aspetti dirimenti nel presente di noi siciliani: la questione ambientale/ecologica e quella direttamente economica. Entrambe fanno riferimento al tema del modello di sviluppo attuale, passato e futuro e alle pratiche perpetuate ai danni della nostra Isola. Entrambi in linea con il concetto ormai palese di sfruttamento e devastazione territoriale.

Per quanto riguarda il primo aspetto, quello ambientale/ecologico, il punto nevralgico della discussione dovrebbe, a mio avviso, proprio riguardare la realizzazione di grandi opere e infrastrutture, profondamente nocive non solo per la nostra terra, ma anche per noi Siciliani che la Sicilia la viviamo e amiamo.

Qui si potrebbero fare un’infinità di esempi: dagli inceneritori alle trivelle, dalle industrie petrolchimiche ai termovalorizzatori, dalle basi militari alle antenne satellitari; tutte opere, queste, imposte e giustificate da quella retorica relativa all’incapacità di governarsi e utile a rafforzare sempre più l’interiorizzazione dell’ inferiorità del Meridione (e dei meridionali) che chi governa ha voluto si diffondesse e radicasse; per fini di profitto economico e potere politico su tutti noi, ovviamente: se ci sentiremo inferiori (in ritardo), più facile sarà imporci modelli di sviluppo nocivi, invadenti, inquinanti, predatori di ricchezze paesaggistiche, sociali ed economiche.

Strettamente collegato a questo aspetto è, infatti, quello della questione economica in senso stretto. Ad ogni filippica politica sul nostro “sottosviluppo” corrisponde, non a caso, un intervento mirato alla gestione “centralizzata” (governo nazionale) delle risorse economiche della Regione: tasse, royalties, finanziamenti devono essere sempre più concentrati nelle mani di chi amministra lo Stato centrale e ne decide poi le destinazioni territoriali.

Peccato che proprio l’attuale governo nazionale si sia fatto esecutore spietato delle politiche europee d’austerity che, piuttosto che mirare al rilancio, puntano ad una penalizzazione scientifica delle aree più in difficoltà, come il Mezzogiorno e la Sicilia. Dunque, al di là delle retoriche renziane sulla ripresa economica siciliana legata alla sua opera “innovatrice” cosa dovrebbe spingere questi signori/politici a volere davvero che la Sicilia esca dalla crisi in cui versa? Non è evidente che il loro obiettivo sia esattamente all’opposto, creare ciò “arretratezza” così da potere depredare liberamente e a basso costo?

Come rifarsi allora ad altri modelli di rapporto Stato-Istituzioni autonome territoriali quali per esempio quelli che legano lo Stato spagnolo e la Comunità autonoma di Euskadi (Paesi Baschi)? Lo Statuto di questa, infatti, stabilisce il regime fiscale forale del concierto econòmico: in sintesi, le istituzioni autonome basche, provinciali e regionali, gestiscono quasi il 95% delle risorse fiscali, la restante percentuale (di competenza solo statale) è ceduta allo Stato. Se ciò fosse possibile anche in Sicilia, avremmo un’autonomia economica tale da poter decidere dove e come indirizzare i nostri fondi.

E torniamo dunque all’attualità dello Statuto e dell’Autonomia siciliana. Un ritorno che non può non tener conto dell’attuale situazione politica italiana nel suo complesso e che vede in campo un premier, Matteo Renzi, che in senso assolutamente accentratore si sta muovendo all’interno del quadro istituzionale. Accentramento del potere politico attorno la sua figura e quella del suo partito; accentramento del potere economico attraverso Lega Coop e i banchieri amici; accentramento delle funzioni di pianificazione territoriale attraverso i vari Sblocca Italia e Patti per il Sud, per Palermo, per Catania, ecc.

Quando però parlavo di “compromesso” alla base della nascita delle Autonomie – ma anche della stessa Costituzione italiana che poi queste Autonomie ha sancito – ricordavo come questo maturasse in un quadro di ricerca di equilibrio sociale e politico post-bellico: l’Italia si configurò da allora come un paese dai tanti poteri in equilibrio (e squilibrio) tra loro; poteri che erano anche contrappesi territoriali ai rischi di nuovi accentramenti amministrativi e politici dopo aver sconfitto la minaccia fascista.

Questa configurazione, oggi, non piace a chi come Renzi (e l’attuale classe politica) vuol concentrare tutto nelle proprie mani. Da qui i commissariamenti, gli interventi “mirati” (vedi il Patto per Palermo, ennesima imposizione di priorità a territori mai interpellati nelle decisioni), e anche gli attacchi allo Statuto speciale siciliano. Che sì, è verissimo, è stato per troppo tempo mortificato da pessime generazioni di politici siciliani di bassissima leva, ma che oggi potrebbe e può rappresentare un argine tanto alle autoritarie politiche della Banca Centrale Europea e di Renzi, quanto un motivo di orgoglio, riscatto e potere politico di decisione nelle mani della volontà collettiva del popolo siciliano! Per non essere mai più servi di nessuno…

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