Gli agrumi siciliani scompaiono? Ma gli agricoltori siciliani sono i primi ad appoggiare i Governi Renzi e Crocetta…

3 aprile 2016

Gli agricoltori siciliani non hanno più diritto di lamentarsi. Nelle scorse settimane, davanti a una crisi spaventosa, hanno inscenato finte manifestazioni al ‘guinzaglio’ dei sindaci del PD. Quando, il 30 Marzo, c’è stata una manifestazione popolare seria contro le politiche del Governo Renzi e del Governo Crocetta non si sono visti. E’ evidente che, a questi signori, gli vanno bene le politiche agricole degli attuali Governi. Al limite, si lamentano se rimangono fuori da certi meccanismi…

  

Agrumi in Sicilia. Scrive sulla propria pagina facebook Giuseppe Barbera, docente presso la facoltà di Agraria di Palermo:

“Esiste davvero un paese dove alberi così meravigliosi crescono in piena terra? Era la domanda che Stendhal, grande scrittore francese innamorato dell’Italia, si poneva, da bambino, guardando un piccolo arancio. Con limoni, cedri e mandarini li vedeva crescere in vaso, costretti a rifugiarsi sotto il vetro di una serra in inverno, e non arrivava a immaginare l’esistenza di un paesaggio che li accogliesse all’aria aperta: alberi grandi e fitti tra loro, con frutti deliziosi, colorati e profumati, foglie lucide, fiori che stordiscono come narcotici. Coglierli e mangiarli è stata, ed è ancora, una delle gioie di un viaggio in Sicilia ed è una delle ragioni per cui di agrumi, anzi di agruMI, si parla, per il quinto anno consecutivo, in una manifestazione che il FAI organizza nella sua sede più prestigiosa, Villa Necchi, a Milano!”.

“Li amano, gli uomini del Nord, più di quanto li amiamo noi e non si rassegnano – prosegue Barbera – a quello che sta, lentamente ma inesorabilmente, accadendo sotto i nostri occhi distratti: il paesaggio degli agrumi scompare. Dati ISTAT, ripresi da Coldiretti, dicono che, in quindici anni, è stato tagliato il 50% dei limoni, il 31% degli aranci e il 18% dei mandarini. Eliminati per fare spazio al cemento o abbandonati al degrado da un prezzo ridicolmente basso e sempre in continua discesa: adesso, se va bene, 20 centesimi al chilo! I costi colturali sono insostenibili e solo pochi spiccioli spesi per una spremuta di tre arance – pagata 4,5 Euro in un aeroporto del Nord – entrano nelle tasche degli agrumicoltori. Sindacati e organizzazioni professionali protestano, promuovono scioperi e scendono in piazza, chiedono sussidi e interventi rapidi; qualche volta li ottengono, ma spesso sono solo promesse quelle che arrivano da una politica miope, capace solo di cercare consenso, di assecondare interventi demagogici come quelli che vorrebbero fermare le importazioni da Paesi terzi, dimenticando le leggi del libero mercato e, in certi casi, l’urgenza di sostenere economie in crisi a partire dal sostegno all’agricoltura, arrestando la fuga verso l’Europa di popoli affamati”.

“A Milano, grazie al FAI, sabato e domenica (ieri e oggi per chi legge ndr) – si legge sempre nel post del docente universitario – si incontrano le università siciliane, i centri di ricerca, il distretto agrumicolo che riunisce le principali imprese della filiera regionale, l’associazione ‘Gusto di Campagna’ che promuove il trinomio agricoltura-cultura-turismo. Discutono con i responsabili dei grandi mercati del Nord e con gli esperti di valorizzazione dei territori rurali. Ne parlano a Milano, in attesa che qualcuno ne voglia parlare in Sicilia fuori dalla palude di un dibattito che non può guardare a singoli interessi, ma collegare quelli comuni e basati non su problemi settoriali, ma che affrontino una filiera che va oltre gli estremi produttore/trasformatore/ consumatore e si amplia ai temi del paesaggio e della cultura. Che comprenda che gli agrumi non producono solo frutti ma che, a partire da essi, costituiscono l’anima del paesaggio siciliano e la loro coltivazione ne accompagna le potenzialità ambientali e culturali”.

“Il profumo e il sapore di arance e limoni -scrive Barbera – impregnano le pagine della letteratura di Tomasi di Lampedusa, Vittorini e Camilleri, i quadri di Lojacono e Guttuso, i film di Tornatore, le passeggiate in campagne che chiamiamo giardini. Il FAI l’ha capito e ha realizzato, in Sicilia, la Kolimbethra (61.000 visitatori paganti, ogni anno, tra agrumi e rovine greche) e il giardino Donnafugata di Pantelleria (l’archetipo di tutti i giardini), mentre, a Palermo, a chi chiede della Conca d’oro, viene indicato un centro commerciale. Per interrompere l’agonia dell’agrumicoltura siciliana si parta dalla qualità delle produzioni, dall’associazionismo e dalla organizzazione commerciale – oggi largamente deficitari – ma si perseguano politiche integrate territoriali”.

A questo punto il professore Barbera tocca un tema caldo: “In proposito – scrive – non si può perdere l’occasione offerta dal Piano di Sviluppo Rurale che meriterebbe, nello specifico dei territori periurbani, quella attenzione e strategia politica che oggi assolutamente manca. E questo nonostante pregressi accordi, a Palermo, tra Comune e Regione, che raccoglievano anni di impegno, perché si individuassero strumenti di sostegno ai piccoli agrumicoltori. Se così non sarà, solo su un migliaio di ettari (sui 71 mila di agrumeti sopravvissuti) potremmo consolarci coltivando manghi, avocadi, e banane con buona pace di una identità che ci porta a rappresentare, meglio di ogni altra regione italiana, quella che viene ancora sognata come la terra dove fiorisce il limone”.

Barbera è stato assessore comunale al Verde pubblico di Palermo nella Giunta comunale di Leoluca Orlando, Aveva mosso in piedi un progetto per la valorizzazione del Parco della Favorita, dove gli agrumi sono elemento essenziale (per la cronaca, Barbera è una dei maggiori esperti di giardini storici del nostro Paese). Ma, a un certo punto, il sindaco Orlando l’ha messo da parte.

Barbera è sicuramente persona attenta. Ma si può dire la stessa cosa dei protagonisti delle due facoltà di Agraria della Sicilia? Negli anni ’80 del secolo passato la presenza delle università siciliane, sui temi dell’agricoltura della nostra Isola, si avvertiva. C’era un certo dialogo con la politica nazionale e regionale. Oggi possiamo dire la stessa cosa?

Per carità: non che negli anni ’80 vennero trovate grandi soluzioni, soprattutto in materia di agrumicoltura. In quegli anni operavano i centri di ritiro dell’AIMA. I produttori siciliani portavano in questi centri le arance e i limoni in eccesso. Qui gli agrumi venivano distrutti (non a caso i siciliani avevano battezzato questi luoghi centri per lo “scafazzo” degli agrumi che venivano, per l’appunto, “scafazzati). In cambio ricevevano i soldi della Comunità Economica Europea (CEE). Allora l’Unione Europea si chiamava così.

Per gli agricoltori siciliani era una pacchia: più arance portavano nei centri di ritiro AIMA, più incassavano. Non mancavano le truffe. Si vociferava di camion pieni di pietre con sopra uno strato di agrumi. Erano le truffe contro le quali si levò una sola voce: quella dell’allora segretario regionale del PCI siciliano, Pio La Torre.

La Torre, che era già stato dirigente del PCI siciliano negli anni precedenti, venne riaccolto male nell’Isola. Era della ‘destra’ del PCI – i ‘miglioristi’, come venivano chiamati, non senza sarcasmo – e ai ‘rivoluzionari puri e duri’ del PCI siciliano, che si dichiaravano di sinistra (alcuni si spacciavano anche per seguaci di Pietro Ingrao), non piaceva La Torre. E avevano ragione: perché le organizzazioni vicine al PCI di quegli anni, era infognate nei centri AIMA che La Torre cercò, invano, di sbaraccare (per la cronaca, le truffe AIMA – che finanziavano mafia e politica – continueranno sino alla fine degli anni ’80).

E oggi? Non ci sono più truffe perché non ci sono più centri di ritiro. Non c’è una politica agricola europea che si occupa degli agrumi. Negli anni ’80 c’erano politiche agricole sbagliate. Ma c’erano. Oggi c’è il vuoto. Totale. Anzi, c’è l’importazione di agrumi dal Marocco (ma gli agrumi extra comunitari venivano importanti in Europa anche negli anni ’80).

Per gli agrumi non c’è l’Europa. Ma non c’è nemmeno l’Italia. Negli anni ’80 c’erano i piani agrumi varati dal Parlamento nazionale. Oggi da Roma, per l’agricoltura siciliana, c’è il nulla.

Negli anni ’80 c’erano anche gli interventi della Regione siciliana. Allora c’erano i direttori regionali dell’assessorato all’Agricoltura che si occupavano di fare arrivare i fondi pubblici agli agricoltori. Oggi questi fondi arrivano ad amici e parenti di politici e di burocrati. E’, questa, alla fine ‘l’evoluzione’ della burocrazia di questo assessorato.

In questo scenario nessuno si chiede che fine abbiano fatto i fondi europei destinati all’agricoltura siciliana tra il 2008 e il 2013. Sono 5 miliardi di Euro. Sono i 2,2 miliardi del Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2007-2013 e i circa 3 miliardi di Euro del FEASR, con riferimento agli stessi anni. 

“A chi sono andati questi soldi”, ha chiesto lo scorso anno l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle eletto in Sicilia, Ignazio Corrao (come potete leggere qui). Nessuno, fino ad ora, ha risposto.

L’abbiamo chiesto più volte anche noi (come potete leggere qui). Ma nessuno risponde.

Per non parlare di quella grande farsa che si chiama agricoltura biologica siciliana (argomento troppo vasto per essere affrontato in questa sede).

Su questi temi sarebbe interessante conoscere cosa pensano i docenti delle due facoltà di Agraria della Sicilia.

In ogni caso, la cosa sta bene agli agrumicoltori e, in generale, agri agricoltori siciliani. Che si lamentano, ma non si lamentano del Governo Renzi e del Governo Crocetta. Li abbiamo visti nelle scorse settimane al ‘guinzaglio’ di certi sindaci del PD a spasso per le vie di alcuni Comuni della Sicilia orientale: protagonisti di grottesche manifestazioni di protesta non si capiva contro chi.

Quando, poi, il 30 Marzo, c’è stata una manifestazione seria, contro le politiche del Governo Crocetta e contro le politiche del Governo Renzi, gli agricoltori siciliani non si sono visti.

E’ evidente che sono contenti del Governo Renzi, del Governo Crocetta e dell’assessore all’Agricoltura – fresco di condanna, da parte della Corte dei Conti – Antonello Cracolici. E’ evidente questi agricoltori siciliani non sono interessati a un cambiamento radicale delle politiche agricole: semmai si lamentano di essere stati lasciati fuori…

 

 

 

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