Almaviva, l’altra faccia della luna: anche l’azienda fa la furbetta…

22 marzo 2016

Mentre a Palermo i dipendenti protestano dopo la notizia dei licenziamenti, emergono i contorni di una storia che parla di responsabilità politica e responsabilità di una azienda che, in tema di gestione allegra di contributi pubblici, sembra saperla lunga…

Stamattina a Palermo i dipendenti di Almaviva hanno sfilato in corteo da via Marcellini, nei pressi di Corso Calatafimi, sede principale del call center, fino a Piazza Indipendenza, sede della Presidenza della Regione Siciliana. Dopo le notizie di ieri, ovvero l’avvio delle procedure di licenziamento per 1670 lavoratori del capoluogo siciliano, la protesta prende di mira quella politica che da mesi sottovaluta questa emergenza, quella politica che, come vi abbiamo detto qua, finora si è limitata ad un ruolo di comparsa, preoccupandosi solo di non disturbare più di tanto il Governo nazionale che, nonostante gli allarmi, non è mai intervenuto contro quelli che l’azienda chiama “fenomeni distorsivi del mercato”. Il riferimento, come potete leggere qui, è al fenomeno delle delocalizzazioni, il criterio delle gare al massimo ribasso, il ruolo dei grandi committenti pubblici.

Assodata quindi la responsabilità della politica, sia quella locale che non ha mai preso una posizione decisa, sia quella nazionale che lascia il mercato in mano a chi porta all’estero contributi pubblici e lavoro affidandogli pure commesse di enti pubblici (.per inciso, l’Ugl ieri ha ricordato che ancora attendiamo di conoscere i nomi delle aziende cui il Governo avrebbe revocato i contributi proprio a causa della delocalizzazione in Paesi extra Ue) è doveroso chiedersi se anche Almaviva, in tutta questa storia, non abbia qualche responsabilità. Lo abbiamo chiesto ad alcuni analisti del settore, non fidandoci più di tanto dei sindacati che in molti casi si confermano organici al potere. 

La protesta a Palermo, 22 Marzo 2016

La protesta a Palermo, 22 Marzo 2016

Ebbene, la ricostruzione della storia di questa società ci parla dell’ennesimo caso italiano di ‘gestione allegra’ dei contributi pubblici. Insomma, Almaviva, che pure ha le sue ragioni e che non sembra disponibile neanche ad accettare la proposta di ammortizzatori sociali (sarebbe solo un modo per rinviare la resa dei conti), non è proprio quella che si definirebbe un’azienda modello. Vediamo perché ripercorrendo le tappe principali della sua crescita così come riassunta dai nostri amici analisti:

“Almaviva Contact è una delle più grandi aziende di call center in outsourcing in Italia con sedi nazionali a Roma, Napoli, Palermo, Catania, Rende, Milano, ma presente anche su territorio internazionale.

La società Almaviva nasce nel 1998 (allora Cos Spa),grazie allo sviluppo delle società in outsourcing che forniscono servizi di Customer Care per grandi lobby quali Telecom, Wind, Vodafone, ecc..con lo scopo di abbassare il costo del lavoro di un’attività che prima veniva effettuata in house. Nelle società in outsourcing vengono applicati contratti precari o in caso di tempo indeterminato part-time o con livelli medi professionali più bassi.

Dal 2000 l’azienda della famiglia Tripi cresce grazie alle Leggi 407/90 e 388/2000, che assegnano un credito di imposta alle aziende da utilizzarsi per le assunzioni nelle Regioni svantaggiate. Nel giro di pochi anni, l’allora COS.med apre sedi a Napoli, Palermo e Catania affermandosi sul mercato grazie ai soldi pubblici. Nel 2004 Il gruppo Almaviva acquisisce dal Gruppo Telecom, Atesia SpA di Roma, e la palermitana 7c che gestiva in esclusiva il Call center della compagnia di bandiera Alitalia.

Nel 2007, Almaviva si vede costretta a stabilizzare circa 4000 lavoratori precari a seguito del Verbale Ispettivo (n. 6.15.vig/103-153 del 21/08/2006) che dichiarava illegittimi i contratti a progetto (che nascondevano contratti subordinati) applicati in tutti i call center della famiglia Tripi che riesce comunque ad uscirne quasi indenne, grazie all’intervento del Governo Prodi tramite il ministro Damiano (con un art. di legge ad hoc nella Finanziaria 2006) e dei Sindacati Confederali che mitigano la sentenza degli ispettori facendo sì che l’azienda non debba pagare il pregresso per i rapporti di lavoro irregolari in cambio di assunzioni. Con la firma di una liberatoria i neoassunti rinunciarono a tutto il pregresso ottenendo in cambio un contratto a tempo indeterminato part-time a 20 ore settimanali, con una retribuzione di circa 8000 euro l’anno. Anche in questa occasione Almaviva riesce ad intascare soldi pubblici in quanto, per le regolarizzazioni, potrà usufruire degli incentivi previsti dalla legge 407/90″. 

In pratica,  Almaviva faceva così “bottino” pieno di incentivi scaricando sulla collettività il rischio d’impresa.I profitti le permettono,attraverso corposi investimenti,di espandersi all’estero.

“Nel 2002- riprende l’analisi-  Almaviva si insedia in Tunisia con la società offshore COS Tunisie, attestandosi come una delle prime aziende di call center a delocalizzare l’attività lavorativa all’estero: tra il 2008 e il 2009 vennero assunti lavoratori tunisini che rispondevano in lingua italiana per il servizio TIM 119 (la vicenda fu raccontata in un servizio andato in onda nel programma “Anno Zero” su Rai Tre nel 2010); la paga oraria era di meno di 3 euro l’ora. AlmavivA Tunisie, nel corso degli anni, ha esteso la sua presenza nel Maghreb, nell’Africa francofona e nel Medio Oriente.

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la protesta a Palermo, 22 Marzo 2016

Nel 2007 sbarca sul mercato cinese, firmando un accordo con la cinese CCID, che ha portato alla costituzione della società LIT, prima joint venture sino-italiana del mercato CRM, il tutto grazie ad un investimento congiunto di 10 milioni di euro.

Nel 2006 il Gruppo Almaviva apre AlmavivA do Brasil assumendo circa 13.000 dipendenti,chiudendo il 2014 con ricavi pari a 200 milioni di euro e una crescita del 50% sull’anno precedente con una marginalità del +82% rispetto al 2013. Nel 2014 apre Almaviva de Colombia con sede a Bogotá.

Tra il 2010 e il 2012 vengono “stabilizzati” i lavoratori con contratto di somministrazione in Sicilia e Campania. Tra Napoli e Catania vengono assunti a tempo indeterminato circa 1000 lavoratori con un inquadramento professionale inferiore a quello normalmente assegnato agli operatori delle altre sedi. In questo caso Almaviva, oltre ad usufruire degli incentivi previsti dalla L 407/2000, incasserà gli incentivi del piano straordinario “Campania Lavoro”, che prevede finanziamenti a fondo perduto per circa 6000 milioni di euro per le aziende che assumono.

Mentre Almaviva procede con le assunzioni al Sud, e a circa un anno dalla fine degli incentivi previsti per la stabilizzazione dei lavoratori romani, in data 30 marzo 2011 Almaviva avvia le procedure di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO) per circa 360 lavoratori dell’unità produttiva di Roma. In quella occasione si trasferisce una importante commessa, il servizio assistenza di Alitalia, presso la sede di Palermo e si utilizzano fondi regionali per la Formazione dei cassintegrati. Nel mentre si continuano a richiedere straordinari ai lavoratori non interessati al provvedimento di CIGO.

A circa 6 mesi dal reintegro dei lavoratori posti in CIGO, il 24 gennaio 2012 Almaviva dichiara nuovamente degli esuberi nella sede di Roma e dà l’avvio alle procedure di Cassa Integrazione Straordinaria (CIGS) per 430 lavoratori. Mentre si dichiarano esuberi per la sede di Roma, Almaviva apre una nuova sede in Calabria, a Rende (CS), dove vengono assunti con contratti precari centinaia di lavoratori.

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La protesta a Palermo 22 Marzo 2016

Il 6 febbraio 2012 tramite accordo sindacale, la CIGS si trasforma in Contratti di Solidarietà (di seguito CdS) per tutti i 2174 lavoratori di Roma con una durata di 12 mesi; la riduzione dell’orario di lavoro oscillerà in base ai vari servizi sino ad un massimo del 50%. Durante i CdS vengono svolte centinaia di ore di lavoro straordinario sulla commessa TIM 119, malgrado la sospensione di centinaia di lavoratori con le stesse mansioni sulle altre commesse. Mentre i presunti esuberi di Roma vengono gestiti attraverso CdS, l’azienda continua ad assumere presso la neo-sede di Rende (CS). Anche in questa occasione Almaviva potrà usufruire dei vari incentivi pubblici, nonché dei finanziamenti a fondo perduto previsti dalla Regione Calabria attraverso i FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale). 

Nel 2012 Almaviva apre le procedure per accedere all’ennesimo ammortizzatore sociale per la sede di Roma di via Lamaro, questa volta una Cassa Integrazione Straordinaria (CIGS) a zero ore con la causale “cessazione di attività”, causale che i fatti dimostreranno essere quantomeno “inappropriata”: le commesse che sino al 27 settembre 2012, data della decorrenza della CIGS, erano gestite dai lavoratori della sede di Roma, verranno semplicemente spostate al Sud: a Napoli, Catania, Palermo, Rende (CS). Questa operazione viene fatta esclusivamente per abbassare il costo del lavoro, in quanto Almaviva in quei territori usufruisce ancora degli incentivi previsti dalla legge 407/90 e dei fondi regionali per l’occupazione previsti nelle regioni del Mezzogiorno. A conferma di ciò Almaviva, in data 18 giugno 2012, sottoscrive con i Sindacati Confederali un piano di 250 assunzioni entro l’anno e investimenti per lo sviluppo economico e occupazionale della sede calabrese di Rende (CS). Queste “manovre” sono state possibili in quanto Almaviva, come tutte le società di call center , ha la possibilità di spostare il lavoro (i volumi di chiamate) da una sede all’altra con estrema facilità.

Gli esposti al Ministero del Lavoro e all’INPS, dimostravano, intanto,  con una puntuale documentazione l’illegittimità della CIGS,costringendo Almaviva a ritornare sui suoi passi. Il 30 aprile 2013 viene firmato un accordo per l’apertura di CdS a livello nazionale con il reintegro di tutti i lavoratori di Roma in CIGS. Non è un caso che l’approvazione della CIGS sia stata firmata dal Ministero del Lavoro con sette mesi di “ritardo” e due giorni dopo la sottoscrizione dei nuovi Contratti di Solidarietà che prevedevano il reintegro di tutti i 470 cassintegrati di Roma. Gli stessi CdS sono stati prorogati e avranno temine il 31/05/2016.”

LA SITUAZIONE ATTUALE

“Negli ultimi mesi, la proprietà, con i CdS ancora in vigore, ha dichiarato oltre 3000 esuberi su tutto il territorio nazionale, in special modo nelle sedi di Roma e Palermo.

Alcune manovre aziendali, come la recente variazione dell’inquadramento INPS (da Industria a Terziario), che comporterà un minore costo contributivo per ogni singolo licenziamento, nonché l’attuale quadro normativo che prevede forti sgravi contributivi per le nuove assunzioni (Jobs Act), lascia intendere che l’azienda voglia e possa procedere con un’operazione di sfoltimento e svecchiamento della attuale forza lavoro, oramai troppo costosa.

La perdita di alcuni appalti, dunque,  potrebbe essere quella “palla al balzo” da cogliere per avviare licenziamenti collettivi di massa, quindi partecipare successivamente alle gare di appalto con offerte più basse per poi, una volta passati i sei mesi di impedimento previsti dalla normativa, procedere con nuove assunzioni a commessa acquisita, ovviamente applicando il Jobs Act.

“Al di là del “fumo negli occhi” delle “clausole sociali” inapplicabili, raggirabili, inutili, se non deleterie, senza l’applicazione di un vincolo territoriale, che comunque, non potrà mai essere imposto in quanto in contrasto con la legislazione italiana ed europea e delle inverosimili soluzioni dei Sindacati Confederali per impedire le gare al “massimo ribasso” che anche se si concretizzassero sposterebbero la concorrenza sul piano della flessibilità, – sottolineano gli analisti che abbiamo consultato- solo un processo di internalizzazione dei lavoratori dei call center nelle aziende committenti potrà dare stabilità e salari dignitosi a migliaia di persone. La richiesta di internalizzazione dei lavoratori dei call center viene anche da una pretesa di giustizia da parte di migliaia persone che quotidianamente, rispondendo ai clienti/utenti per conto di grandi aziende (telefoniche, energetiche, assicurative, ecc.), nonché per enti pubblici (INPS, Enti Locali) o soggetti privati riconducibili ad essi (ACEA, Sogei, Equitalia, ENI, Enel, ecc.), contribuiscono agli elevati profitti di queste ultime. Lavoratori che, svolgendo le stesse mansioni dei loro colleghi in house e utilizzando i loro stessi software, sottoposti alle loro stesse direttive organizzativo-operative, ricevono in cambio salari inferiori, sotto-inquadramento, precarietà e condizioni di lavoro poco serene in ambiente lavorativo”. 

La protesta a Palermo, 22 Marzo 2016

La protesta a Palermo, 22 Marzo 2016

“Da questo quadro risulta chiaro come si muove l’azienda in buona compagnia e di comune accordo con committenti interessati a ridurre i costi e sindacati interessati a possibili favori. L’ azienda,paladina della “non delocalizzazione ” sfruttando gli incentivi apre nuovi siti sul territorio nazionale fornendo poi dati di andamento dei singoli centri difficilmente confutabili che dimostrano ovvietà quali costo del lavoro maggiore su siti più “anziani” che però gestiscono gli stessi clienti dei siti più “giovani”.

Si aggiunge notizia di questi giorni che rivela,a fronte di annuncio di 3000 esuberi tra Palermo, Napoli e Roma, l’inizio della formazione di circa 180 operatori per il servizio Telecom 187 a Rende in Calabria tramite somministrazione di contratti interinali con scadenza a fine maggio. Il tutto con i preannunciati licenziamenti ed in regime di ammortizzatori sociali (cds).

Insomma, “il comparto dei call center in outsourcing si è sorregge ormai esclusivamente con soldi pubblici,incentivi statali,e ammortizzatori sociali.Soldi pubblici finiti nelle tasche delle aziende committenti e degli outsourcer senza però che si creasse stabilità occupazionale,salari dignitosi,o condizioni di lavoro sostenibili (lo stress che subiscono i lavoratori per seguire le continue richieste di maggiore produttività da parte delle aziende è oramai al limite della sopportazione): ricordiamoci che stiamo parlando di 80 mila persone sottoposte al continuo ricatto dell’appalto in scadenza.

Un primo obiettivo da raggiungere, da un punto di vista normativo, potrebbe essere la modifica dell’art. 29 del D.lgs. n. 276 del 2003, inserendo una disciplina più restrittiva che possa impedire la concessione in appalto dei servizi di Customer Care; l’eventuale utilizzo di soldi pubblici potrebbe essere indirizzato ad incentivare processi di internalizzazione dei servizi e dei lavoratori e chiudere definitivamente il capitolo dell’outsourcing”.

Il costo degli ammortizzatori sociali potrebbe, dunque,  essere dato ai committenti sotto forma di sgravi fiscali incentivando più l’incremento del numero di lavoratori in azienda che le singole nuove assunzioni e/o inserendo clausole che blocchino gli sgravi alle aziende “furbette” eventualmente inserite in una sorta di “Black list” che disincentivi giochetti abbastanza diffusi”.

Ad occhio e croce, i dipendenti Almaviva hanno tanto contro cui protestare: dal menefreghismo della politica, all’inquinamento del mercato, dagli inciuci tra potentati economici e governanti fino all’abuso di contributi pubblici. In una parola contro una Italia dove lavorare non è più un diritto, ma una rara fortuna.

E proprio contro questa Italia e contro questa politica la Sicilia scenderà in piazza il 30 Marzo a Palermo dove, con ogni probabilità, non mancheranno le bandiere di #siamotuttialmaviva.

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