Pachino: agrumicoltori e produttori del pomodorino in piazza per contestare una politica fallimentare

14 marzo 2016

L’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici, dice che è tutto sotto controllo. Il problema è che gli agricoltori siciliani, ormai, sono in rivolta. Le arance siciliane non si vendono grazie alla concorrenza sleale delle arance marocchine volute dall’Unione Europea. I commercianti continuano a taglieggiare i produttori del pomodorino di Pachino e del datterino di Portopalo di Pachino. I carciofi egiziani stanno soppiantando i carciofi siciliani. L’olio d’oliva tunisino danneggerà i produttori siciliani. In questo scenario non si capisce nelle tasche di chi sono finiti i fondi europei del PSR. Otto sindaci in piazza a Pachino insieme ala chiesa cattolica locale (Diocesi di Noto) – Aggiornamento: Giambattista Coltraro (Sicilia Democratica)

Qualche giorno fa, presso la Prefettura di Palermo, l’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici, ha incontrato una delegazione di agricoltori siciliani. L’incontro è stato chiesto dagli stessi produttori agricoli che lamentano una spaventosa crisi del settore e una Regione siciliana che fa poco o nulla. Il riferimento è ai fondi del Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2007-2013, fondi europei gestiti dalla Regione siciliana che, a quanto pare, arrivano a tutti, tranne che agli agricoltori dell’Isola. Per non parlare dei ritardi del nuovo PRS (2014-2020) che sta partendo solo oggi.

L’assessore Cracolici ha assicurato che la situazione è sotto controllo e che i pagamenti verranno sbloccati in tempi brevi. Ma, come si dice in questi casi, per una falla appena otturata, se n’è aperta un’altra. E’ di stamattina uno sciopero degli agricoltori della Sicilia orientale che coinvolge i produttori di arance e di ortaggi, a cominciare dagli agricoltori che producono il pomodorino di Pachino.

Alla manifestazione di stamattina, andata in scena nella strade di Pachino – grosso centro della provincia di Siracusa noto per la produzione del già citato pomodorino – hanno preso parte tantissimi agricoltori della zona con le loro famiglie, studenti, sindacalisti e i rappresentanti della Diocesi di Noto. Presenti anche il sindaco di Pachino, Roberto Bruno, il sindaco di Canicattini Bagni, Paolo Amenta (che ricopre il ruolo di vice presidente dell’ANCI Sicilia), il sindaco di Avola, Luca Cannata, il sindaco di Floridia, Orazio Scalorino, il sindaco di Portopalo di Pachino, Giuseppe Mirarchi, il sindaco di Modica, Ignazio Abbate, il sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna, il sindaco di di Rosolini, Corrado Calvo,e l’assessore all’Agricoltura del Comune di di Noto, Nino Sammito.

Se oggi a Pachino gli agricoltori di queste contrade sono scesi in piazza con le loro famiglie, sostenuti anche dalla Diocesi di Noto, i problemi di questo settore, contrariamente a quanto affermato dall’assessore Cracolici, non debbono essere risolti.

Sulla crisi del settore agrumicolo (ricordiamo che nella Sicilia orientale – e soprattutto nelle zone di Lentini, Carlentini e Francofonte, ma anche nelle aree limitrofe – si produce l’arancia rossa (ovvero cultivar di pregio, dalla Tarocco alla Moro) pesa la solita Unione Europea che, in forza di un accordo, ha consentito l’immissione nei mercati europei di arance prodotte in Marocco.

Per la cronaca, le arance marocchine arrivano anche in Sicilia. Così assistiamo al paradosso che, mentre le arance siciliane non si vendono, nei centri della grande distribuzione organizzata della nostra Isola si vendono arance marocchine e, in generale, arance che costano meno delle arance siciliane e che, quindi, esercitano una concorrenza sleale.

Il tutto a svantaggio degli agricoltori siciliani che non riescono a vendere il proprio prodotto, a svantaggio dei consumatori siciliani che mangiano arance di qualità scadente e, in generale, a svantaggio dell’economia siciliana.

Una protesta simile è andata in scena a Palermo lo scorso 18 Febbraio, quando mille e 500 agricoltori si sono autoconvocati e si sono recati a protestare dal Prefetto. Il segnale è preciso: gli agricoltori non credono più nella Regione siciliana di Rosario Crocetta. E, come abbiamo riferito, è toccato al Prefetto fare incontrare l’assessore Cracolici con gli agricoltori.

“Il problema è triplice – ci dice Nico Ferrante, tra i promotori della rivolta degli agricoltori che è andata in scena a Palermo -. C’è, in primo luogo, un’Unione Europea che penalizza sistematicamente le agricolture mediterranee. Poi c’è il Governo nazionale che non fa nulla per aiutare l’agricoltura del Sud Italia in generale e siciliana in particolare. E poi c’è una Regione siciliana inefficiente. L’assessore Cracolici ha dato rassicurazioni. Vedremo quello che succederà nelle prossime settimane”.

Gli agrumicoltori della Sicilia orientale che stamattina sono scesi in piazza a Pachino contestano giustamente gli accordi con il Marocco. Proprio di recente Confagricoltura ha inviato una lettera all’Alto Commissario per gli Affari esteri, Federica Mogherini – la donna voluta dal Governo Renzi in Europa – per chiedere una revisione dell’accordo con il Marocco, ma anche per chiedere di ridiscutere le altre concessioni accordate ai Paesi terzi, che hanno riflessi negativi su molti comparti chiave della nostra agricoltura.

Confagricoltura ha preso atto “con stupore e disappunto” delle dichiarazioni della Mogherini che, durante una visita nella capitale marocchina, il 4 marzo scorso, ha i confermato che l’Uunione Europea proseguirà i suoi rapporti con il Marocco, “a dispetto della sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha giudicato l’accordo tra Marocco e Unione Europa in violazione della legge internazionale, annullandolo in parte”.
Non è finita. Federica Mogherini “ha assicurato che la UE rimane convinta che gli accordi tra Marocco e Unione Europea non siano in violazione della legge internazionale e che per questo è stato depositato un ricorso avverso alla sentenza. L’accordo commerciale agricolo resta pertanto in vigore”.
Come potete notare, l’Unione Europea, con l’italiana Federica Mogherini, ricorre contro un pronunciamento della Corte di Giustizia Europea favorevole ai produttori di agrumi italiani e, in particolare, siciliani! 
C’è anche il voto di qualche giorno fa del Parlamento Europeo: ovvero un accordo con la Tunisia che riverserà nei Paesi europei 90 mila tonnellate del proprio di olio d’oliva.

“Un colpo durissimo per l’olivicoltura dell’Europa mediterranea – aggiunge Ferrante -. Penso alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia e, naturalmente, all’Italia. Da noi ad essere penalizzate sono Puglia, Calabria e Sicilia, dove si produce oltre il 90 per cento dell’olio d’oliva extra vergine del nostro Paese. L’olio d’oliva tunisino, di cui non conosciamo nemmeno la qualità, farà concorrenza sleale all’olio d’oliva extra vergine di queste tre Regioni italiane. E alimenterà la sofisticazione, ovvero i commercianti senza scrupoli che imbottiglieranno olio d’oliva tunisino facendolo passare per olio d’oliva extravergine italiano”.

Tra l’altro – e qui è corretta l’osservazione di Ferrante – il Parlamento Europeo, con il voto favorevole del PPE (il partito al quale si richiama Forza Italia) e del PSE (il partito al quale si richiama il PD), ha votato sì all’invasione dell’olio d’oliva tunisino senza nemmeno conoscere, ad esempio, che tipi di pesticidi utilizzano in quel Paese. Considerazione importante, perché le multinazionali che operano in molte aree dell’Africa proprio nel settore dell’agricoltura utilizzano ancora pesticidi a base di cloro derivati (tra questi il ‘famigerat’o Ddt che l’Italia ha bandito dalla propria farmacopea agricola alla fine degli anni ’60 del secolo passato).

Insomma, con il voto favorevole del Parlamento Europeo non è da escludere che arrivino sulle nostre tavole prodotti agricoli – freschi o trasformati – dannosi per la nostra salute.

Un capitolo a sé meritano il pomodorino di pachino e il datterino di Portopalo di Pachino. Sono due prodotti di eccellenza che oggi subiscono sia la concorrenza del pomodoro marocchino, sia la presenza di commercianti che strappano il prodotto agli agricoltori di Pachino e di Portopalo a 0,30-0,50 Euro per poi rivenderlo nei mercati del Centro Nord Italia a un prezzo dieci-quindici volte superiore.

In pratica, il 90 per cento del valore aggiunto di questi due prodotti va ai commercianti con la connivenza di una politica siciliana, che non si capisce se sia rappprsentata da incapaci o da collusi. 

Per ciò che riguarda il pomodorino di Pachino e il datterino di Portopalo di Pachino a non funzionare è soprattutto la politica. I politici della provincia di Siracusa, storicamente, sono in assoluto tra i peggiori della Sicilia. Sono quelli che hanno fatto massacrare la piana di Siracusa con le industrie inquinanti (chimica e raffinerie di petrolio). E sono ancora quelli che, ancora oggi, consentono ai commercianti di taglieggiare i produttori agricoli di Pachino e di Portopalo di Pachino.

Per non parlare della Regione siciliana che, in tanti decenni, non si è mai premurata di creare in queste contrade nemmeno una piattaforma per il confezionamento del prodotto. Il tutto per favorire scientificamente i commercianti.

P.S.

Il vero problema dell’agricoltura siciliana, oggi, è politico. Non è possibile che, dal 2008 ad oggi, tra PSR 2007-2013 e FEARS, sia sparita buona parte di circa 5 miliardi di Euro destinati alla Sicilia. Un fatto è certo: se almeno una parte di questi fondi fosse andata all’agricoltura siciliana, oggi non avremmo in piazza gli agricoltori della Sicilia orientale e occidentale.

Del mondo agricolo siciliano, oggi, protestano un po’ tutti:

i produttori di grano

gli allevatori

i produttori di agrumi

i produttori di frutta estiva (incredibile la concorrenza sleale che oggi subisce la frutta estiva siciliana: basti pensare alle immangiabili angurie africane che arrivano in Sicilia ormai da anni)

I carciofi che adesso subiscono la concorrenza dei carciofi egiziani.

E che dire dell’olio d’oliva tunisino? Gli eurodeputati del PD e di Forza Italia eletti in Sicilia dicono di aver votato contro. A rigor di logica, visto che i loro partiti hanno votato a favore di questo accordo scellerato, questi eurodeputati, per coerenza, dovrebbero lasciare i rispettivi partiti. Altrimenti la loro si configura come un sceneggiata di cattivo gusto. 

Insomma, per concludere, quello che non funziona nell’agricoltura siciliana è la politica. 

Come definire, se non tragicomici, gli incontri promossi dai politici del PD siciliano sul PSR 2014-2020 in tanti centri della Sicilia mentre il settore agricolo è boccheggiante? Gli agricoltori siciliani sono alla fame e il Partito Democratico pensa di conquistare i voti che perde ogni giorno con il malgoverno della Regione con le promesse dei fondi PSR. Ma si può? 

 

Aggiornamento – 15 Marzo, ore 08,40

Coltraro (SD): “Due miliardi di fatturato l’anno messi sott’olio per volontà dell’UE. Ci sia identica normativa per Italia e Tunisia”

” L’economia italiana, quella del settore agricoltura, sta per essere messa “sott’olio”, ‘conservata’, con esattezza, sotto 35mila tonnellate di olio d’oliva tunisino che stanno per essere immessi sul mercato italiano, senza nemmeno pagare dazio, né sottostare alla ferrea normativa imposta, invece, dall’Unione europea al nostro Paese”.

Lo dice, allarmato, Giambattista Coltrario, capogruppo di Sicilia Democratica all’Ars, che nella decisione dell’UE ( aprire il mercato italiano all’olio tunisino) vede un grave danno alla nostra agricoltura.

” La Sicilia – prosegue Coltraro – come gran parte del territorio italiano, ha una grossa produzione di olio, ma mentre le restanti regioni hanno un’economia stratificata in diversi settori, quella siciliana punta molto sulla olivicoltura. Un dato su tutti, ne dà la misura – prosegue Coltraro – rilevazioni statistiche recenti, infatti, stimano l’esistenza in Sicilia di circa 20 milioni di piante su 158.502 ettari di superficie che rappresentano il 13,85% del patrimonio olivicolo nazionale, collocando la Sicilia al terzo posto dietro la Puglia e la Calabria.Le province più attive nel settore sono Messina, Trapani, Palermo e Agrigento, dove la vocazionalità territoriale è protetta da diversi marchi Dop comunitari.

Ecco che occorre regolamentare la qualità dell’olio  importato dalla Tunisia- conclude Coltraro – affinchè sia comparato alle nostre produzioni e sia possibile la verifica delle componenti di qualità e corresponsione alla normativa UE. Così come sin qui deciso, con la liberalizzazione da dazi e privo di alcuna etichetta, l’olio tunisino sarà certamente più a bun mercato di quello italiano e, dunque, sconquasserà la nostra economia. Un’economia sino a questo momento basata su circa 250 milioni di piante esistenti su 1,2 milioni di ettari coltivati, con un fatturato del settore stimato in 2 miliardi di euro e con un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate”.

 

 

 

 

 

 

 

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