Ecco a voi Francesco Crispi, il primo degli ‘ascari’, il traditore dei Siciliani!

Condividi

PER NON DIMENTICARE/ RIPROPONIAMO QUESTO ARTICOLO AI NOSTRI LETTORI CONTRO LA PROPAGANDA DI PSEUDO INTELLETTUALI SALARIATI, CORTIGIANI SENZA PUDORE E SERVI DEL SISTEMA CHE CELEBRANO UN PERSONAGGIO DEL GENERE…

Continua il nostro ‘Viaggio’ tra i personaggi che ancora oggi, incredibilmente, danno il nome a vie, piazze e scuole della Sicilia e, in generale, del Sud Italia. Oggi è la volta del peggiore di tutti: Francesco Crispi. E’ stato il protagonista delle peggiori truffe in danno del Sud e della nostra Isola, dalla farsesca impresa dei Mille all’imbroglio dell’unità d’Italia, fino alla repressione delinquenziale dei Fasci siciliani, rinnegati e traditi anche dal nascente Partito Socialista. La megalomania di un mediocre politico che si manifesterà in pieno nel disastro di Adua. Il ‘mistero’ di Castelvetrano, dove per motivi inspiegabili (o quasi) veniva sempre eletto. Insomma, un personaggio da dimenticare

E veniamo alla testa più lucida (per via della calvizie, ovviamente) del Risorgimento, a Francesco Crispi. Quando penso a lui e alle sue guerresche imprese in patria e all’estero sempre più mi convinco che, se c’era una cosa da abbattere in piazza Croci, a Palermo, era (ed è) la sua statua. E non certo villa Deliella, la costruzione Liberty del Basile. Analizzare le sue benemerenze storiche nei confronti dei suoi conterranei acquisiti (cioè i siciliani; lui, com’è noto, era di etnia albanese), significa immettersi in un percorso ondivago e accidentato.

Se cambiare idea è prerogativa delle persone intelligenti, lui si può definire un genio. E per certi versi lo fu. Crispi all’inizio della sua variegata carriera politica fu un rivoluzionario repubblicano e mazziniano. Fu perfino arrestato dalla polizia torinese che se ne sbarazzò facendolo salire su di una nave che lo scaricò a Malta.

Quando però i Savoia e i francesi batterono gli austriaci nella seconda guerra di indipendenza si allontanò dalle idee repubblicane.   Nacque allora in lui la convinzione che, per unire l’Italia, sarebbe stato necessario (come scrisse a Mazzini) collegarsi direttamente al popolo e che qualunque insurrezione in Sicilia avrebbe dovuto avere l’appoggio esterno di una spedizione militare.

Ecco il colpo di genio. Ecco dunque inventata la ricetta.  

Ingredienti necessari: un audace condottiero, come Francesco II definì Garibaldi, dal grande carisma e dalle indubbie capacità militari; un manipolo di eroi idealisti in armi (e fin qui tutto era uguale alle spedizioni dei Fratelli Bandiera e di Carlo Pisacane, fallite e spente nel sangue). E poi, un esercito vero e ottimamente organizzato dietro, una vera e propria spedizione militare che  gradualmente rinforzasse il manipolo fino a diventare un esercito, appunto, irregolare nella forma, ma solidissimo nella sostanza. E infatti dai Mille a Marsala si passò agli oltre 22 mila nella battaglia del Volturno. E chissà se c’è ancora qualcuno convinto che a “liberare” il Sud furono sempre quei Mille).

E poi, ancora, il necessario consenso dei baroni (tanto un re vale l’altro, ecco il cambiare tutto perché nulla cambi) e la messa a disposizione dei loro picciotti, quei baroni da abbindolare con  la promessa di una futura approvazione, nel Parlamento unitario che verrà, di una legge che garantisca i loro privilegi e l’autonomia della Sicilia, che sarebbe stata governata da un luogotenente del Re Vittorio. Infine attrarre il popolo a sé con false promesse. Terra e libertà, libertà  e terra. Il popolo cadde nell’equivoco, perché per il popolo di allora la libertà equivaleva esattamente al possesso della terra.

Nel dicembre del 1859, attorno un tavolo, mentre Vittorio Emanuele fa finta di niente, attitudine che gli tornerà utilissima, e Cavour se ne sta sornione sulle sue, Crispi presenta il progetto a Luigi Carlo Farini, Urbano Rattazzi, Giuseppe La Farina, Agostino Bertani e a Giuseppe Medici. Dopo le iniziali, comprensibili titubanze il progetto viene approvato. Il compito di convincere Garibaldi ricadde su Crispi.

Garibaldi disse sì ma ci voleva il casus belli. Un’insurrezione. La minor spesa, avrà pensato Crispi, noi Siciliani siamo insurrezione in atto. Quando la vuole, generale? Andrebbe bene a primavera? D’accordo, gliela facciamo il 28 aprile!

Sappiamo che la spedizione partì da Quarto il 6 maggio 1860. Crispi si imbarcò sulla più piccola delle due navi, il Piemonte, insieme con Garibaldi (marcatura stretta!). A Salemi che, come ha osservato acutamente Vittorio Sgarbi, per un giorno fu capitale d’Italia, si gettano le basi del Grande Inganno.

Garibaldi si autoproclamò dittatore e Crispi si autonominò Segretario di Stato. Promesse, promesse, promesse. I Siciliani prontamente abboccarono. Si pentiranno amaramente purtroppo, come spesso gli capita, senza nemmeno capire di che e perché.

Crispi diventa il primo ascaro siciliano, aprendo una strada sempre frequentata. Se infatti l’aristocrazia siciliana sperava che, annessa subito al Piemonte, l’Isola avrebbe potuto godere di un’autonomia di fatto, Crispi auspicava il contrario. Crispi, infatti, vedeva la Sicilia integrata solo in una nazione italiana.

Fu perciò  organizzata a Palermo un’importante manifestazione contro di lui. Crispi diede le dimissioni da Segretario di Stato scrivendo nel suo giornale: “A voi interessa  la vostra autonomia non l’Unità d’Italia” (e che c’era di male, dico io?).

E così, quando Crispi si candidò alle politiche a Palermo, fu ovviamente, trombato. Purtroppo a sua insaputa (bei tempi!), un ricco proprietario della provincia di Trapani, Vincenzo Favara, lo aveva candidato anche nel collegio di Castelvetrano, dove fu eletto.

Crispi diventa monarchico e moderato. La sua abiura è scritta sotto quella statua in Piazza Croci, a Palermo:

“La monarchia ci unisce … (la Repubblica ci dividerebbe)”.

Almeno togliere la scritta,se non la statua!

La conseguenza fu un duro attacco di Mazzini che il 3 gennaio 1865 dalle pagine de L’Unità italiana accusò Crispi di tradimento e opportunismo (ma va’…).

Negli primi anni postunitari, grazie alla sua professione di avvocato, Crispi stava diventando un uomo ricco. Alla politica e all’attività forense accompagnò l’appartenenza alla massoneria (così come altri personaggi del tempo, quali Depretis e Carducci). Il 13 novembre 1860 era infatti diventato Maestro della loggia palermitana del Grande Oriente.

Ovviamente di terra ai contadini non si parla più, anzi per la Sicilia cala una cupa notte. L’inganno viene svelato. E la Sicilia, mentre il Nostro si arricchisce, subisce ben tre stati d’assedio: l’Isola è vittima di un arbitrio militare cinico e crudele.

La vita e la morte dei siciliani sono nelle mani di un macellaio, di un criminale di guerra, il generale piemontese Govone che, da buon contemporaneo del generale Custer, considera e tratta i siciliani allo stesso modo in cui Custer considera e tratta gli indiani.

Ma a Castelvetrano, per motivi misteriosi, Crispi lo rieleggono sempre, anche perfino quando, con la scusa che i siciliani hanno fatto l’ennesima rivolta, quella del ‘Sette e mezzo’ di Palermo, rivolta per il pane, il disegno di legge sull’autonomia, che faceva parte del patto stipulato con i Savoia, viene definitivamente accantonato.

La parabola di Crispi vira decisamente verso la reazione. Una reazione inconsulta, si potrebbe dire, che lo portò ad assecondare la svolta reazionaria di Umberto I che culminò con la stipula, nel maggio 1882, della Triplice alleanza con gli imperi illiberali centrali, Germania e Austria. E ad allontanarsi dalla Francia fino a punto di scatenare contro i transalpini una vera e propria demenziale guerra doganale che costò lacrime e sangue agli agricoltori e ai vignaioli del Sud che avevano nella Francia il maggiore importatore dei loro prodotti.

Per Crispi i destini dell’Italia si identificarono con la creazione di un  impero coloniale. E così il nostro Paese, fragilissimo, semianalfabeta e lacero, veniva catapultato in avventure costosissime e fallimentari. Solo per l’orgoglio di gridare “in faccia all’Europa” un folle sogno espansionista. Ma come vedremo Il Nostro ebbe il fatto suo.

Nell’ottobre 1893, con l’acuirsi della crisi finanziaria e la sommossa dei Fasci siciliani dei lavoratori, Crispi ritornò capo del governo, succedendo a Giovanni Giolitti.

Il primo compito di Crispi come Presidente del Consiglio fu di affrontare questa situazione.

Crispi lasciò circolare la voce per cui il movimento in Sicilia era stato fomentato da francesi d’accordo con il Vaticano e così ottenne la proclamazione dello stato d’assedio nell’Isola.

Vennero spediti in Sicilia 40.000 soldati, e furono istituiti tribunali militari. A capo delle truppe fu nominato con pieni poteri il generale Morra. L’azione di Crispi, assolutamente incostituzionale e liberticida, si risolvette in un massacro.

Rispondendo agli attacchi parlamentari, Crispi si difese appellandosi alla difesa dell’unità nazionale, dato che i rivoltosi avevano, secondo lui, intenzioni separatiste. Nessuno disse che i Fasci siciliani non furono un’insurrezione, ma una serie di scioperi e manifestazioni pacifiche organizzate da società di mutuo soccorso volte ad ottenere migliori condizioni di lavoro per contadini, operai e zolfatari, in linea con le rivendicazioni dell’allora nascente Partito Socialista che, però, inopinatamente li sconfessò, lasciando i Fasci  al loro destino.

Crispi recuperò il consenso (ovviamente!) e il movimento dei Fasci siciliani fu sciolto e i capi arrestati.

La sua Nemesi fu un inglorioso episodio della dissennata guerra coloniale in Etiopia che costò una sanguinosa sconfitta alle truppe italiane ad Adua.

Che riposi nel Pantheon dei Siciliani, nella chiesa di San Domenico di Palermo, accanto a Giovanni Falcone, non mi va proprio giù.

Qui di abbiamo raccontato perché è sbagliato dedicare via, piazze e scuoile a chi ha tradito il Sud Italia e, in particolare, la Sicilia. 

Qui c’è la nostra riflessione sul falsi ‘Padri’ del Risorgimento

E qui vi abbiamo raccontato le ‘gesta’ di Alfonso La Marmora, il militare che organizzava Safari nel Sud Italia per ammazzare uomini, donne e bambini!

 

Foto tratta da quotidiano.net

 

 

Visualizza commenti

Pubblicato da