Appello ad autonomisti, sicilianisti, indipendentisti: facciamo vincere ciò che ci unisce nell’interesse della Sicilia

12 gennaio 2016

Magari cominciando col difendere il nostro Statuto che, se applicato, potrebbe risolvere tanti problemi. Ma occorre uno schieramento in grado di opporsi alla vecchia politica che si riorganizza. Per questo le regioni dell’unità di chi oggi sogna una Sicilia senza ascari debbono prevalere sulle divisioni. Al professore Massimo Costa, a Giuseppe Scianò, a Trovato, a Francardo, a Tindara Mendolia, a Mirella Abela e a tanti altri che non ho il piacere di conoscere dico: uniamoci!

Ebbene sì, in tutte le graduatorie europee che classificano il vivere civile di una regione dell’Europa, in tutti gli indicatori del benessere e del livello di capacità di convivenza, siamo agli ultimi posti. In alcuni casi siamo proprio gli ultimi.

A quanti ci invitano con pelosa compassione a farcene una ragione io dico no! Dico che dobbiamo prima capire le ragioni di questo disastro e se tra queste  ragioni primeggia quello che Lombroso definiva l’inferiorità genetica delle genti del Sud, ebbene, allora pazienza.

Per capire basta porsi una sola domanda. In una regione collocata  anche a metà di quelle classifiche potrebbe mai immaginasi un Rosario Crocetta presidente della Regione? Che so, in Borgogna, in Baviera, o nel Sussex? No, vero? Lì persone come lui menerebbero  una grama vita a cavallo di una vecchia bici a distribuire giornali. E i suoi accoliti, i suoi sodali? A lavorare sotto padrone.

Questo, mi eccepirete, confermerebbe le tesi lombrosiane. A prima vista sì. Basta però andare più in profondità per capire che le cose stanno diversamente. I nostri politici e i loro predecessori negli ultimi 70 anni hanno lavorato duramente per creare un habitat che consentisse loro di vivere e prosperare, concorrendo a perpetuare e sfruttando dolosamente le condizioni di sottosviluppo che nei precedenti 150 anni di Unità sono state scientificamente costruite dallo Stato italiano.

Infatti, invece di mandarci insegnanti e professori, maestri di vita e di cultura, i Savoia hanno spedito in tutto il Sud, e in Sicilia in particolare, prefetti e generali, e invece di cercare di capirci, di approfondire le ragioni del solco che ci divideva, hanno preferito  nascondere quel solco, seppellendolo sotto il peso della repressione e con l’imposizione della  legislazione unitaria che ha fatto strame della nostra debolezza e mortificato la nostra diversità.

Esattamente il contrario di quello che  hanno fatto  i tedeschi dell’ovest quando  è caduto il muro di Berlino. Avrebbero potuto tenere i tedeschi dell’est nel sottosviluppo e nella miseria, tenerli economicamente e culturalmente soggetti e  usarli, come hanno fatto i Savoia con noi e invece hanno speso milioni di Marchi e poi di Euro, hanno lavorato sodo  per costruire una nazione ancora più  grande. Oggi la Germania tutta è in grado di dire alla mezza Italia che crede di contare qualcosa quello che deve fare, quando lo deve fare, e come lo deve fare.

I nostri piccoli ascari, dal dopoguerra in poi, si sono prestati e si prestano al gioco egoistico, miope e infantile del Nord Italia. Comprendiamoli, quando questa gente si butta in politica, trattandosi di gente  senza arte né parte, che cosa poteva e può fare se non il politico a padrone? Che cosa farebbero questi pagliacci, senza un padrone che li fa eleggere? Comprendiamoli. Ma perdonarli mai.

Ricordate che il loro elettorato, salva qualche eccezione, è fatto di gente come loro, che la pensa come loro, che vive come loro. Vivono nel terrore che qualcosa cambi e lotteranno perché nulla cambi. Non capiscono, sperano di avere o continuare ad avere qualcosa da loro, fosse anche un tozzo di pane, mentre,  grazie al loro voti, quei cialtroni avranno il “full monty”, cinque pasti assicurati al giorno.

Le elezioni regionali non sono poi così lontane, a giudicare dai movimenti carsici, o alla luce del sole, che sono in corso per  costruire raggruppamenti che possano garantire la conservazione dello “statu quo”, e cioè  un  consenso senza sviluppo. Ho parlato di conservazione dello “statu quo” perché, capiamoci, sia che dovesse vincere  la coalizione di centrodestra, sia che dovesse vincere quella di centrosinistra, il prodotto non   cambierebbe. Tutti andrebbero a Roma a prostituirsi, a portare la preda appena catturata  e offrirla in cambio della propria sopravvivenza politica.

Se la Sicilia non lotta per abbandonare il fondo della classifica questi soggetti vinceranno e si perpetueranno. Se  questi soggetti  non vinceranno, la Sicilia lascerà il fondo della classifica e crescerà. 

Le elezioni non sono lontane, dunque. Un’armata, l’armata delle tenebre, si sta costituendo. Ne parla questo  blog  nell’articolo su Papania, Dina e compagnia cantando. Al grido “Francia o Spagna, purché se magna”, un grande disegno criminoso,  concepito dalla  mente raffinata di grandi vecchi  pieni di rancore e senza scrupoli e attuato da pugili suonati e giovani trombati, sta aggregando i transfughi, gli impresentabili, gli insoddisfatti, gli espulsi del centro sinistra e dintorni, il cui attaccamento all’Idea si appalesa oggi per quello che era ieri, pura convenienza, bieco opportunismo, contrabbandati per fede politica. Quello stesso opportunismo che adesso gli fa cambiare allegramente bandiera. Il passato non conta per questa gente, conta il futuro, il loro, naturalmente. Vogliono il potere, soltanto il potere, è questo il loro progetto politico.

Dall’altro lato, “l‘esercito dell’indifferenziata”. Indifferenziata come la politica del purchessia, la politica senza ideali, l’ultima deriva di un motore di libertà spento da tempo, l’ultima luce di una stella morta da anni che ancora manda un tremolio prima di spegnersi nel buio del compromesso e del pragmatismo.

E intorno, continua il fuoco di copertura dei demolitori della nostra Autonomia. Dopo i ‘coraggiosi’, i ‘confusi’, i ‘buttanissimi’, ecco i cattedratici.

Un professore  dell’Università di Messina, tale Antonio Saitta, viene a farci la lezione. L’Autonomia è anacronistica, ha sentenziato. Non ci ha detto perché, com’è dovere di un buon professore,  ci dice solo che è una mitizzazione, che doveva durare solo due anni, fino a quando non fosse entrata in vigore la Costituzione (questa non la sapevo!). E dunque viva il centralismo! Viva i ministeri, con la loro velocità, con la loro competenza, con la loro autorevolezza, con la loro mitica  onestà!

Non si è chiesto il luminare se il concetto di Autonomia è un bene in sé e può concepirsi solo in astratto o è uno strumento che deve declinarsi in concreto, da uomini e in mezzo agli uomini che lo devono usare e che con loro deve fare i conti. Né si è chiesto, il luminoso, se può parlarsi di Autonomia regionale quando i politici regionali prendono ordini da Roma, quando per 70 anni l’asse Roma Palermo e l’omologazione politica tra partiti nazionali e regionali sono stati ferrei e asfissianti; se può parlarsi di Autonomia quando già nel 1948 il partito indipendentista fu fatto fuori con attacchi illiberali da parte dello Stato italiano.

Amici, amiche, se questa gente non viene fermata, se non riusciremo a contrapporre a questo pericoloso magma una forza autenticamente siciliana, il nostro futuro ripeterà questo squallido presente.  

Mi rivolgo a tutti i sicilianisti, gli autonomisti, gli indipendentisti, ai vespristi, a te, amico Scianò, e al tuo successore, Francesco Marsala, a te, lucido  ed  autorevole professore Massimo Costa, a voi, indignati Simili, Trovato, Francardo, a voi, donne  appassionate, Tindara Mendolia e Mirella Abela, e a tutti quelli che hanno veramente a cuore le nostre sorti. Facciamo vincere tutto ciò che ci unisce contro quello che ci potrebbe dividere, avendo la consapevolezza che ciò che ci unisce è la forza di un ideale, e ciò che ci divide sono le nostre umane debolezze. Creiamo una grande massa critica autenticamente siciliana. Incontriamoci, parliamo, discutiamo.

E’ giunto il momento di mostrare a noi stessi che  possiamo unirci e lottare, che è falsa e strumentale l’affermazione che siamo incapaci di stare insieme, di condividere, di unificare il nostro sentire. Presentiamoci ai nostri concittadini usando lo stesso linguaggio, facciamo  loro  capire che siamo  mossi dagli stessi ideali e che siamo indirizzati verso la stessa meta. Solo così potremo essere credibili, convincenti, e vincenti.

Facciamo capire a tutti e prima a noi stessi che lo Statuto della nostra Regione, questo Statuto e non un altro, può essere interamente attuato, che la politica regionale, la nostra, e il  governo regionale, il nostro,  avranno il coraggio, il senno e la forza  di  portare  al  Parlamento nazionale all’Unione Europea le nostre istanze e che non cederemo neanche se trovassimo davanti a noi  un muro.

Con il suo Parlamento, il suo territorio, la sua popolazione, il potere  di  imporre  e  riscuotere  i tributi, il potere di fare e di abrogare le leggi, il potere di farsi obbedire, e con un suo interno apparato giurisdizionale, la Sicilia sarà già una piccola Nazione.

Non è forse questa l’essenza della  sovranità  statuale? Mancherà  il  potere  di battere moneta, ma quello ormai non spetta più agli Stati, spetta all’Europa unita.

Accogliamo l’invocazione di un Grande. Diceva Dostojevskj: 

“Amici, noi abbiamo il potere di rendere meno difficile la vita della nostra gente, di costruire un futuro migliore per i nostri figli e se ne abbiamo il potere ne abbiamo anche il dovere. Come? Sarà sufficiente che ciascuno di noi sappia quanta lealtà e quanta onestà e disponibilità e buone intenzioni  ci sono in ognuno di noi, chiusi  in noi. Ebbene, portiamoli  fuori, sapendo bene che se lo facciamo possiamo contribuire a rendere felici gli altri”.

 

 

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