La morte di Stefano Cucchi: perché l’Italia è un Paese parafascista

17 dicembre 2015

Ben tre verdetti non sono ancora stati sufficienti per chiarire come e perché è morto il giovane Stefano Cucchi, una vicenda che rimane, fino ad oggi, una pagine nera dell’Italia, delle sue forze dell’ordine e della Giustizia

Tre verdetti non sono stati sufficienti a spiegare come e perché morì Stefano Cucchi una settimana  dopo essere stato arrestato. Ci vorrà un altro processo. Che tristezza!

L’ottimo zio Vincenzo, se lo accompagnavo in una passeggiata, quando passava davanti ad una caserma, guardando i piantoni davanti alla porta  soleva dire: “Li  hanno messi lì per  non  fare entrare la  logica”.

Purtroppo, col passare degli anni, mi sono reso conto che la cosa è ben più grave: sono lì per non fare uscire  qualche scomoda verità. Qualunque  cosa succeda dentro quei “limiti invalicabili”, non solo caserme, non  solo commissariati o stazioni di carabinieri,  a  privati  cittadini, troppo spesso non ha un colpevole, ma è  dovuto al caso, è stata una fatale  coincidenza, è stato frutto di provocazione  etc .. etc.. 

Un po’ come quando un agente, inseguendo  un  sospettato  tenendo  la pistola in pugno (perché poi), inciampa, cade, e dalla pistola parte accidentalmente un colpo che,  per  una serie di incredibili circostanze  sfortunate, colpisce a morte l’inseguito.

I difensori dell’ordine pubblico fanno  quadrato, tendono solidalmente i muscoli, dalla truppa ai graduati, dagli investigatori ai procuratori, dai medici  legali agli avvocati di Stato.

Il messaggio  è  forte  e chiaro: le forze  dell’ordine non si toccano, hanno  sempre ragione e la giustizia se la amministrano nel loro foro interno. Guai a chi, dall’esterno, cercasse la verità. Chi lo farà sarà bollato come provocatore, anti italiano, rompicoglioni e chi più ne ha più ne metta. 

Che cosa ci azzecchi tutto questo con la democrazia reale è presto detto. Nulla, proprio nulla. C’è da pensare che lo Stato, la  sua  coesione, la  sua tenuta  complessiva, si reggano  esclusivamente  su  di  loro; che,  se venisse a mancare la fiducia in loro, la nazione si sfalderebbe. Del resto, gli stessi giornalisti non si sono mai azzardati, loro che si gloriano di essere i guardiani della  democrazia, di affrontare il tema dei guasti nelle e delle forze dell’ordine in  un’indagine  approfondita, in quelli che una volta  nel vero giornalismo si  chiamavano reportage. Eppure tutti sanno bene che i danni che può fare un poliziotto o un carabiniere corrotto sono  incalcolabili ( e ne abbiamo avuto prova).

“Pericolosissima  è  l’ingiustizia  munita di armi”,  tuonava Aristotele (questo per dire quanto è antico il fenomeno). Ho preso spunto per questa  riflessione proprio dalla sentenza sul povero Stefano Cucchi e dalle puntuali  assicurazioni che giustizia sarà fatta. Belle parole. Sono le stesse assicurazioni che abbiamo già sentito per il caso Scieri e i tanti altri, una ghiacciata moltitudine di morti senza pace e senza tomba, i cui familiari e  avvocati  vengono sballottati  qua e là e la cui dignità viene calpestata e  vilipesa, probabilmente per difendere qualche tirannello manesco e  senza onore che ha approfittato del  suo  status per dare sfogo alle sue frustrazioni e disonorare  la  divisa.

Il nostro, non mi spavento a dirlo ma piuttosto me ne vergogno, è un Paese  parafascista, in cui se qualcuno si permette di levare la voce contro un comportamento palesemente violento  di componenti delle forze dell’ordine scatena le oche  in Campidoglio: tutte le  forze politiche, a cominciare dall’estrema destra (ed è comprensibile, la stupidità vi   pesca a piene mani), alla sinistra (che fu di lotta e che  ora  è  solo  di  governo), è un coro  univoco di elogi, di distinguo, di  “l’esercito non si tocca, i carabinieri nemmeno, la polizia  poi… guai a delegittimare”.

E chi li voleva toccare? Si è soltanto  stigmatizzato  il comportamento di un carabiniere, un poliziotto, un soldato e si è chiesto l’accertamento della  verità. E’  terrorismo? E’ antipatriottismo?

 

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