I trattati? Carta straccia

10 ottobre 2015

Il nostro articolo ‘Manifesto dell’ascarismo’ dedicato al segretario regionale del PD, Fausto Raciti, ha stimolato una interessante riflessione di Carlo Aragona, analista di politiche istituzionali e dello sviluppo, sull’intesa Stato-Regione del 1993 firmata dall’allora  Vicepresidente del Consiglio, Sergio Mattarella e dal Presidente della Regione Siciliana, Angelo Capodicasa. Che cosa è rimasto?

di Carlo Aragona

Roma, 13 settembre 1999. Il Vicepresidente del Consiglio Sergio Mattarella e il Presidente della Regione Siciliana Angelo Capodicasa firmarono l’Intesa Istituzionale di Programma tra il Governo della Repubblica e la Giunta regionale siciliana.

Oggetto dell’Intesa erano (e sono tuttora) “gli obiettivi di sviluppo in ambito regionale verso cui far convergere l’azione delle parti, i piani ed i programmi pluriennali di intervento nei settori di interesse comune le cui singole iniziative saranno individuate – in sede di definizione degli strumenti di attuazione – tenendo conto dell’esigenza di assicurarne i collegamenti funzionali, il quadro delle risorse impegnate per le realizzazioni in corso, nonché di quelle impegnate nell’orizzonte temporale considerato, gli strumenti istituzionali di attuazione e, in particolare, gli accordi di programma quadro per i quali vengono stabiliti i criteri, i tempi e i modi per la loro sottoscrizione”.
Le parti, concordarono nell’identificare settori prioritari di intervento quali: trasporti; approvvigionamento idrico e risanamento delle acque; energia; risorse umane e formazione professionale; ricerca scientifica e tecnologica; sviluppo locale; aree urbane; difesa del suolo e protezione della fascia costiera; aree naturalistiche; gestione rifiuti; beni culturali; turismo; sistema agroalimentare; reti della comunicazione; sanità; pari opportunità per donne e uomini”.
Il quadro finanziario prevedeva(e prevede tuttora)che le risorse (ordinarie e straordinarie, nazionali e comunitarie) destinate all’Intesa saranno individuate nel loro complesso avendo a riferimento: “1) per le risorse straordinarie: la ripartizione concordata tra le Regioni per l’attribuzione dei fondi comunitari; 2) per le risorse ordinarie: in prima applicazione la proiezione della spesa storica, per la Regione, del bilancio dello Stato ed, in prospettiva, la proiezione delle quantificazioni risultanti dal processo di regionalizzazione del bilancio dello Stato in corso, da realizzarsi, previo accordo tra le Regioni, con parametri che incrocino: a) popolazione; b) territorio: c) PIL”.
Le parti concordarono di stipulare Accordi di Programma Quadro nelle seguenti aree: viabilità stradale; rete ferroviaria; aeroporti; porti; risorse idriche; energia; ricerca e formazione; sviluppo locale; legalità, pari opportunità e recupero marginalità sociale; sanità. Inoltre si dettero atto che i predetti Accordi non esaurivano il complesso delle misure necessarie per conseguire gli obiettivi di sviluppo nei settori di comune interesse e pertanto si riservarono di valutare l’opportunità di stipulare ulteriori accordi relativi agli altri settori di intervento.

Che cosa rimane a 16 anni da quella firma di uno dei documenti più completi, organici e meglio strutturati tra i tanti che nel tempo hanno provato ad organizzare un diverso sviluppo della Sicilia? Ben poco. Una serie ormai piuttosto disarticolata di decine di Accordi di Programma Quadro e loro atti integrativi con progetti che spesso si trascinano anni ed anni tra carte, burocrazia, monitoraggi e completamento rinviato a non si sa quando.
Ma l’Intesa in quanto tale, in quanto cornice programmatica globale di ogni genere di rapporto di sviluppo tra Roma e Palermo è come una nave avviata verso il disarmo. E di cui peraltro non sembra interessare granché a nessuno. Il processo di neocentralizzazione che, ormai da tempo, anno dopo anno, caratterizza il rapporto tra Stato e Regioni ne ha fatto una vittima illustre, la più importante per quanto ci riguarda. Superata dalle nuove tendenze in tema di rapporti tra Stato e Regioni e, nel caso, tra Roma e la Regione Siciliana, è come caduta in prescrizione senza neppure necessità di una abrogazione formale. Perché di fatto – come si direbbe con linguaggio oggi ricorrente – l’Intesa “non è più in agenda”. Oggi lo Stato dispone e le Regioni eseguono. E a monte la Commissione Europea e il Consiglio Europeo dispongono e lo Stato esegue.

Il nuovo Titolo V della Costituzione che – riformandola – voleva rendere più paritario il rapporto tra le Regioni e le Istituzioni centrali ha finito invece per renderlo una torre di babele di norme e ricorsi in cui ogni singolo procedimento diventa un percorso ad ostacoli poco meno che inestricabile. Le Regioni ci hanno messo abbondantemente del loro con ritardi e sprechi. Sulle Regioni e sugli Enti Locali i governi nazionali hanno scaricato i loro tagli di bilancio, stringendoli sempre più in una condizione di debolezza. Si contiene così il bilancio statale ma la “spending review” mette al buio città e paesi e spegne anche progetti di sviluppo, manutenzioni di arterie e strutture, servizi ai cittadini.
In questo clima di neocentralizzazione in cui, per definizione, i “buoni” stanno tutti a Roma ed i cattivi” nei capoluoghi regionali, l’Intesa istituzionale di Programma siciliana è scivolata piano piano nel dimenticatoio. E’ finita in soffitta come un vecchio arnese quando in effetti è tuttora e più che mai uno strumento di straordinaria completezza e modernità. Ha una lungimiranza ed una impostazione programmatica così attuale da non meritare affatto quel destino. Al contrario, occorre riprenderla, aggiornarla nei dati e nei numeri, aggiungendo o riformulando qualche settore d’intervento, farla ridiventare “lo” strumento del rapporto istituzionale con Roma e delle regole per avviare uno sviluppo coordinato e seguìto della nostra regione.

Per un caso e per l’imprevedibilità della storia – sia quella delle vicende politiche collettive che delle vicende politiche personali – l’Intesa venne firmata per lo Stato da un siciliano (gesto di cortesia di D’Alema nei confronti del suo vice) che adesso è inquilino del Quirinale.
Può avere un senso ed essere una opportunità. A 16 anni da allora le stagioni politiche, il quadro finanziario ed i rapporti istituzionali sono molto diversi e le condizioni economiche e sociali della Sicilia sono peggiorate. Ma, appunto perché le condizioni della Sicilia sono peggiorate, una esigenza è ineludibile: bisogna registrare e riformulare il rapporto Roma – Palermo, troppo sbilanciato e deterministico a favore del centro. Il progressivo scadimento a continui “diktat” e “prendere o lasciare”, soprattutto sul piano contabile e finanziario, esige un rinnovato modello di intese e reciproci impegni. Che siano rigorosamente rispettati.
Non ci sarebbe da inventarsi né la luna né l’acqua calda. Basterebbe riprendere e rilanciare l’Intesa, la cui attualità non è stata scalfita di una sola virgola, togliere la polvere che vi si è sedimentata sopra per l’incuria e la sudditanza delle classi politiche regionali a chi è di turno al timone a Roma. Basterebbe farla ridiventare quello per cui era stata concepita, il Documento-cornice o, se si preferisce, la Carta “vera” e cogente di ogni genere di rapporto tra Stato e Regione nella regolamentazione ed attuazione delle politiche economiche di sviluppo.

Basterebbe, in una parola, riapplicarla.

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